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ZENIT

IRAQ – Mentre prosegue l’offensiva governativa in Iraq per riconquistare la città di Mosul e strapparla dalle mani dello Stato Islamico, i jihadisti hanno compiuto una strage a Kirkuk. A nord della città, kamikaze e cecchini hanno colpito la centrale elettrica di Dibis, uccidendo 16 persone in totale, tra 12 ingegneri e tecnici iracheni e quattro iraniani.

Le forze di sicurezza sono intervenute uccidendo uno degli attentatori, mentre gli altri due si sono fatti saltare in aria, secondo quanto riferito da fonti della polizia locale. Altre decine di jihadisti, armati di granate e fucili automatici, sono stati tuttavia avvistati in diversi punti della città.

A sud, testimoni oculari hanno riferito di gruppi di militanti che sono entrati nelle moschee, in edifici pubblici o negli hotel. Tre di questi erano stati occupati dai terroristi, con cecchini appostati sui tetti e kamikaze pronti a lasciarsi esplodere all’arrivo delle forze di sicurezza. Presto gli alberghi sono stati liberati dai militari che hanno messo in salvo gli ostaggi. Un bombardamento aereo ha poi ucciso 15 donne.

Intanto l’esercito iracheno ha annunciato la liberazione di Qaraqosh, il più grande insediamento cristiano della piana di Ninive, occupato dagli uomini del Califfato dal 7 agosto 2014. Secondo le stime, a causa delle violenze e persecuzioni almeno 100mila cristiani erano stati costretti a lasciare la città, centro strategico posto tra Mosul ed Erbil.

Qaraqosh è infatti un tassello fondamentale per l’operazione per la liberazione di Mosul, una delle più grandi degli ultimi anni. Ieri, l’esercito iracheno ne ha annunciato quindi la riconquista, notizia presto confermata dalle Unità di mobilitazione popolare, che hanno diffuso decine di immagini a testimoniare la vittoria sui jihadisti. Una di queste fortemente significativa, ritrae un militare mentre pulisce e rimette al suo posto un’immagine della Vergine Maria.

Poche ore dopo, a Erbil, nel Kurdistan iracheno, centinaia di cristiani in fuga si sono riversati nelle Chiese cittadine, quelle che durante i due anni di occupazione erano state adibite a carceri o centri di tortura, dove i diversi simboli religiosi erano stati distrutti. Con candele in mano, i fedeli hanno ringraziato Dio con canti, danze e soprattutto preghiere per la ritrovata libertà.

 

 

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