“La coscienza rettamente formata non può non esprimere un giudizio critico ed esprimere il proprio dissenso verso qualunque provvedimento che identifichi, tacitamente o esplicitamente, la condizione illegale di alcuni migranti con la criminalità”.
Lo scrive il Papa, in una lettera – in inglese e spagnolo – inviata ai vescovi degli Stati Uniti, in cui ribadisce la necessità di riconoscere “il diritto di una nazione a difendersi e a mantenere le proprie comunità al sicuro da coloro che hanno commesso crimini violenti o gravi mentre si trovavano nel Paese o prima di arrivarvi”.
Ma l’atto della deportazione – il riferimento alle politiche di Trump subito dopo il suo insediamento – si configura come una ferita per la dignità umana, “infinita e trascendente”, donata da un “Dio sempre vicino, incarnato, migrante e profugo”. Ai presuli statunitensi, Francesco ricorda il dovere del “riconoscimento permanente” della dignità di ogni essere umano, “nessuno escluso”. “Tutti i fedeli cristiani e gli uomini di buona volontà sono chiamati a guardare alla legittimità delle norme e delle politiche pubbliche alla luce della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali, e non viceversa”, il monito ai credenti, perché “solo affermando l’infinita dignità di tutti, la nostra propria identità come persone e come comunità giunge a maturazione”.
“La persona umana non è un semplice individuo, relativamente espansivo, con qualche sentimento filantropico!”, scrive il Papa: “La persona umana è un soggetto dignitoso che, attraverso la relazione costitutiva con tutti, soprattutto con i più poveri, può maturare gradualmente nella propria identità e vocazione”.
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