SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata agli autori locali. Oggi parliamo del romanzo “Giuseppe nei tempi del mare”, edito da Manni, della scrittrice sambenedettese Benedetta Trevisani, presidente emerito del “Circolo dei sambenedettesi”.

Protagonista di questa storia, che si svolge sul mare, è Giuseppe. Quanto c’è di reale nella figura del protagonista?
Giuseppe è effettivamente il protagonista del romanzo, ma attraverso la sua figura e la sue vicende si vuole rappresentare in generale l’uomo di mare, come colui che sa guardare lontano, riportando dai suoi viaggi il frutto di una sapienza che si è misurata con il pericolo e la diversità. Possiamo infatti considerare il marinaio l’emblema della nostra storia nel suo sviluppo espansivo, che a livello geografico lo ha visto muoversi dal mare vicino, cioè l’Adriatico, ai mari lontani e sconosciuti, come gli oceani, sviluppando conoscenze che solo l’esperienza diretta può garantire. Il personaggio fa riferimento a una figura reale, vale a dire mio padre che già a dieci anni attraversava l’Adriatico approdando con l’equipaggio della sua barca sulle coste croate. La sua storia individuale, però, si proietta su quella dei tanti marinai sambenedettesi che con il loro duro lavoro hanno consentito il benessere delle famiglie e la crescita del nostro paese.

Professoressa, in queste pagine, lei parla di un ritorno al porto nel senso reale e metaforico.
Proprio recentemente, nell’ambito delle iniziative culturali del “Circolo dei sambenedettesi”, ho avuto modo di parlare del sentimento del ritorno nella letteratura e nell’arte, nonché ovviamente nella nostra storia di mare. Mi è capitato in varie circostanze di citare un modo di dire diffuso qui da noi a livello popolare: “Bisogna andare per ritornare”, ad indicare come la necessità di affrontare il viaggio che crea il distacco non possa prescindere dalla volontà di recuperare il rapporto fisico e sentimentale con la terra da cui si è partiti. Emblematico a questo proposito il monumento di Paolo Annibali, creato per iniziativa del Circolo insieme alla nostra marineria. Il suo titolo è “Il mare, il ritorno” e sta lì, sulla banchina Malfizia, come piccolo altare sacrale in attesa delle barche che tornano in porto dopo le campagne di pesca. Ed è proprio davanti a quel monumento che si celebra annualmente la cerimonia dell’Approdo negato, per tornare con il pensiero e la memoria alle tante barche e ai tanti uomini che sono andati persi per mare.

Cosa rappresenta per lei il mare?
Sono figlia e nipote di marinai, quindi il mare, nel bene e nel male, è stato sempre presente nella mia famiglia come orizzonte di vita. Per me dunque non ha rappresentato soltanto un elemento del paesaggio, ma una dimensione esistenziale profondamente interiorizzata. E’ stato il mare del lutto quando sono morti nei vari naufragi mio nonno e poi altri parenti, è stato il mare dei giochi per me bambina che ho imparato presto a rispettarlo ma anche a farmi rispettare cavalcando le onde.

Lei sta terminando un nuovo romanzo. Ci può anticipare qualcosa in merito?
“Michele e la Luna”, così si intitola il nuovo romanzo pubblicato da Infinito edizioni, che sarà in libreria verso la fine di febbraio.  E’ un’opera narrativa che delinea scenari completamente diversi da quelli rappresentati nei miei libri precedenti, dove appunto il mare era protagonista. Stavolta si racconta la mia esperienza in Pakistan nei primi anni Settanta, quando appena laureata in Lettere classiche all’università di Bologna raggiunsi mio marito che lavorava per l’Impregilo nei luoghi in cui si stava costruendo, sul fiume Indo, una diga grandiosa, a quei tempi la più grande del mondo. Lì è nato mio figlio Michele e la sua storia, così come la nostra, si è intrecciata con quella dei tanti occidentali e dei tanti pakistani impegnati a condividere, pur nella differenza di mentalità, lingue e culture, i momenti comunitari di un’impresa straordinaria.

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