CUPRA MARITTIMA – “Richiami di balene e altre voci” è il titolo del libro dell’autrice cuprense Evelina De Signoribus. Nel volume, i versi dell’autrice cuprense sono accompagnati dalle illustrazioni di Marco Petrella.

Venti storie e poesie, ognuna affiancata da una bellissima illustrazione di Marco Petrella. A quali di queste è più legata e perché?
Sono molto legata ad ogni breve storia di questo libro e ad ogni illustrazione di Marco Petrella ma, se ne dovessi preferire una in questo preciso momento, sceglierei la storia dell’agnello: è l’animale che forse ha un valore simbolico per eccellenza ed è una storia realmente accaduta tanti anni fa. Una bambina vede portare un agnello al macello e grida alla madre di non permetterlo, si oppone ma nulla può. Quando mi venne raccontata, da piccola, lasciò un’emozione indelebile nella mia infanzia e di conseguenza nella mia vita. Ritrovai un accaduto simile nel libro Le piccole persone di Anna Maria Ortese e questo passaggio mi lasciò letteralmente senza parole per la sua forza e trasgressione: “La giovane, al banco, ritira un pezzo avvolto in carta azzurrina, e paga, ed è in attesa del resto. Il bambino cammina muto e oppresso sotto una serie di corpi squartati. Chissà che pensa. Eccolo davanti a un agnello morto, il capino sanguinante. Si gira un momento a guardare la madre – non teme altro – e allunga, fuori dalla tasca, una mano impercettibile; a sfiorare e soffermarsi sul corpo piccino. ‘Ca-ro,’ dice ‘ca-ro’ e poi non dice più niente. Non ho idea di come crescerà questo bambino – e se a Pasqua riconoscerà e respingerà la sua porzione di fratello. Ma dico che se la madre si fosse voltata, e avesse capito, forse quel bambino sarebbe rimasto, per tutta la vita, piccolo e segreto, cioè vero: non si sarebbe gettato a creare un paese di forme tutte esterne, volgari, inutili. Tale è la nostra vita, infatti, a furia di respingere il piccolo e il segreto”.

Nel dare vita ad alcune storie prende spunto da fatti realmente accaduti.
Sì, è vero, diversi sono i testi che prendono spunto dalla realtà, non solo quello dell’agnello. Ci sono, per esempio, gli aironi salva buoi che si posano sui prati di collina quando arrivano i greggi e con loro stanziano. Simili ai gabbiani, insieme alle pecore, ai cani maremmani e alla rugiada mattutina, rendono il paesaggio ancora più bianco e ovattato. L’uomo non c’è, non è ancora arrivato. Uno squarcio della forza creaturale, almeno così come la immagino io. Scrive Filippo Golia nella postfazione: “Stando all’etimologia, l’animale è il luogo dell’anima. E se noi l’abbiamo perduta, nella nostra tortuosa storia umana, è lì che la si può cercare: tra gli animali”.

In questi suoi brani ci sono diverse reminiscenze ai paesaggi Piceni. Lei afferma: “In questo paesaggio vive la maggior parte degli animali che osservo”.
La maggior parte dei testi ha come sfondo un paese in collina che abbraccia il mare e la montagna nel giro di pochi chilometri. In realtà è il tragitto che faccio dalla mia casa in collina alla scuola dove insegno sul mare. E’ possibile vedere nitidamente la campagna coltivata, i boschi, la linea adriatica e la catena dei Sibillini: prima della quale si nota l’inconfondibile profilo del volto umano del Monte Ascensione. E’ in questo paesaggio che incontro gli animali che spesso “tagliano” la strada come apparizioni, segni di vita.  Scrive Kafka nelle Lettere a Felice: “Se non ti metti a terra in mezzo agli animali, non puoi neanche vedere il cielo con le stelle”.

Con i “Richiami di balene e altre voci” c’è un messaggio che vuole mandare ai piccoli lettori?
Non è un libro propriamente per bambini, un libro per l’infanzia come di solito ci si aspetta. E’ un libro che vuole dire ai più piccoli e soprattutto a chi li accompagna nella vita, di soffermarsi a vedere le cose, di “perdere” tempo a guardare ciò che ci circonda. Conoscevo un bambino che quando usciva da scuola non andava direttamente a casa, faceva la strada più lunga sotto gli alberi, guardava verso l’alto, a terra, esitava, contemplava. Sarà rientrato con qualche minuto di ritardo ma il suo non sarà stato tempo perso. E’ un libro che vuole dire ai grandi che i testi non vanno per forza capiti ma si possono leggere insieme, assaporare le sole immagini che dicono spesso più delle parole, che si possono dire anche parole e verità scomode. Mi piace sempre in questi casi citare Pennac, i suoi dieci diritti del lettore: 1) Il diritto di non leggere. 2) Il diritto di saltare le pagine. 3) Il diritto di non finire il libro. 4) Il diritto di rileggere. 5) Il diritto di leggere qualsiasi cosa. 6) Il diritto al bovarismo. 7) Il diritto di leggere ovunque. 8) Il diritto di spizzicare. 9) Il diritto di leggere ad alta voce. 10) Il diritto di tacere.

Questo non è il suo primo lavoro letterario. Ha già pubblicato il quaderno di racconti “La capitale straniera” e due raccolte poetiche “Pronuncia d’inverno” e “Le notti aspre”. Un’antologia per l’infanzia dal titolo Poeti in classe. Ha già qualche prossimo progetto nel cassetto?
A questa domanda non saprei rispondere ora, ma ringrazio comunque per avermela fatta. Posso però dire che se c’è un filo conduttore nei miei libri è sicuramente che cerco e aspetto l’affiorare di una presenza, altra da noi.

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