di Michele Raviart

Papa Francesco prega per la pace, gravemente minacciata nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, “specialmente nei territori di Beni e Minembwe, dove divampano i conflitti, alimentati anche da fuori, nel silenzio complice di tanti” e, per intercessione della Beata Marie-Clèmentine Anuarite Nengapeta, chiede che “in nome di Dio-Amore e con l’aiuto delle popolazioni vicine, si rinunci alle armi, per un futuro che non sia più gli uni contro gli altri, ma gli uni con gli altri, e ci si converta da un’economia che si serve della guerra a un’economia che serva la pace”.

Questo l’appello che il Papa ha rivolto nell’omelia della Messa solenne celebrata ieri mattina nella Basilica di San Pietro per il 25 esimo anniversario della nascita della Cappellania cattolica congolese di Roma, fondata nel 1994 nella chiesa della Natività a Roma, per volere del cardinale Frédéric Etsou, arcivescovo di Kinshasa.

Nella prima domenica d’Avvento, primo giorno dell’Anno liturgico, Papa Francesco ha poi ricordato la certezza della venuta del Signore in mezzo a noi – l’Avvento, appunto – come radice della speranza cristiana. Il verbo venire, sottolinea il Papa ai fedeli provenienti dal Congo, non si coniuga però solo per Dio, ma anche per noi. “Tutti vengono insieme al monte del Signore”, profetizza Isaia. Siamo infatti gli invitati di Dio, e “chi è invitato è atteso, desiderato”: Avete lasciato le vostre case, avete lasciato affetti e cose care. Giunti qui, avete trovato accoglienza insieme a difficoltà e imprevisti. Ma per Dio siete sempre invitati graditi. Per Lui, per il Signore, non siamo mai estranei, ma figli attesi. E la Chiesa è la casa di Dio: qui, dunque, sentitevi sempre a casa.

A volte, tuttavia, si può rispondere di “no” all’invito del Signore ad andare da Lui, come “ai giorni di Noè”, quando “mentre qualcosa di nuovo e sconvolgente stava per arrivare, nessuno ci badava, perché tutti pensavano solo a mangiare e a bere”. “Tutti riducevano la vita ai loro bisogni”, spiega Francesco, “non c’era attesa di qualcuno, soltanto la pretesa di avere qualcosa per sé, da consumare”: Il consumismo è un virus che intacca la fede alla radice, perché ti fa credere che la vita dipenda solo da quello che hai, e così ti dimentichi di Dio che ti viene incontro e di chi ti sta accanto. Il Signore viene, ma segui piuttosto gli appetiti che ti vengono; il fratello bussa alla tua porta, ma ti dà fastidio. E’ questo l’atteggiamento egoistico del consumismo.

Dipendere dai consumi, infatti, “anestetizza il cuore”, perché “si vive di cose e non si sa più per cosa”. “Si hanno tanti beni, ma non si fa più il bene” e “le case si riempiono di cose, ma si svuotano di figli”, “si butta via il tempo nei passatempi,  ma non si ha tempo per Dio e per gli altri”:

 E quando si vive per le cose, le cose non bastano mai, l’avidità cresce e gli altri diventano intralci nella corsa e così si finisce per sentirsi minacciati e, sempre insoddisfatti e arrabbiati, si alza il livello dell’odio: “Io voglio di più, voglio di più, voglio di più. Lo vediamo oggi là dove il consumismo impera: quanta violenza, anche solo verbale, quanta rabbia e voglia di cercare un nemico a tutti i costi! Così, mentre il mondo è pieno di armi che provocano morti, non ci accorgiamo che continuiamo ad armare il cuore di rabbia.

Ecco allora che Gesù vuole ridestarci da tutto questo, invitandoci a vegliare e non cedere al sonno che avvolge tutti, con la speranza che la notte non durerà per sempre e che presto arriverà l’alba. Ma adesso, afferma Francesco, sta a noi il compito di vigilare, di “vincere la tentazione che il senso della vita è accumulare”, “smascherare l’inganno che si è felici se si hanno tante cose”. In particolare, nel mese di Natale, “bisogna resistere alle luci abbaglianti dei consumi, che brilleranno ovunque in questo mese, e credere che la preghiera e la carità non sono tempo perso”, ma sono “i tesori più grandi”.

Solo così, quando il cuore si apre al Signore e ai fratelli, le spade si faranno aratri e le lance si faranno falci e, come dice Isaia – parole che fanno pensare all’attuale situazione in Repubblica Democratica del Congo – “una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione” e non si imparerà più l’arte della guerra.

 

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