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Le grandi domande di Francesco per una fede che arriva in profondità

Diego Pancaldo

Francesco ha ventiquattro anni. L’ho conosciuto per la prima volta alla Gmg di Cracovia. Nel lungo viaggio in pullman da Pistoia a Cracovia sedeva dietro di me insieme a Nara, la sua accompagnatrice. Subito avevo capito che questo giovane autistico aveva molteplici interessi culturali. Sapevo che aveva frequentato il liceo pedagogico della nostra città, che due giorni alla settimana trascorreva il pomeriggio in biblioteca; ma ignoravo la sua grande passione per la musica, per la grande letteratura, per la filosofia – in quel periodo leggeva le “Enneadi” di Plotino per capire più a fondo Agostino -, soprattutto per la storia della Chiesa. A un certo punto del viaggio mi pose una domanda: “Ma Ireneo di Lione quando è diventato vescovo di Lione?”. “Francesco – risposi – non saprei dirti con precisione. Se vuoi ti posso parlare un po’ del suo pensiero, ma i dettagli della vita non li ricordo”. In realtà Francesco sapeva esattamente la data (177 d.C.), ma aveva voluto verificare la mia preparazione.

Nei giorni successivi dimostrò di essersi inserito molto bene nel gruppo dei giovani pellegrini della nostra associazione. Rimase molto toccato dalla visita ad Auschwitz e successivamente dalla celebrazione nella chiesa parrocchiale di Wadowice, dove era stato battezzato Giovanni Paolo, a lui molto caro.

L’unico sostanziale problema che aveva era relativo al cibo: non era facile trovare a Cracovia il tipo di spaghetti e di altri alimenti che prediligeva, ma Nara riuscì anche in questo.
Durante i giorni della Gmg ascoltavamo le catechesi insieme ai giovani pellegrini nella chiesa dei Bernardini, accanto a Casa Italia proprio nel centro di Cracovia. Il cardinale Gualtiero Bassetti tenne la seconda catechesi della settimana, parlando a più di un migliaio di giovani. Al termine Nara mi si avvicinò e mi disse che Francesco, come facevano altri giovani, voleva porre una domanda al cardinale. Temevo una domanda come quella che mi aveva rivolto su Ireneo. “No – risposi – assolutamente no, rischiamo di mettere in difficoltà il cardinale e i giovani presenti. È meglio che siano altri a porre domande”. Ma Francesco nel frattempo aveva alzato la mano e il giovane sacerdote che animava la catechesi gli porse il microfono. Francesco esordì facendo riferimento ad Apocalisse 21 e a quanto il Papa aveva detto nei giorni precedenti, chiedendo al cardinale come i giovani oggi avrebbero potuto essere costruttori di un’autentica civiltà dell’amore. E tutto questo con grande appropriatezza e maturità espressiva. Il cardinale, sollecitato da una domanda così riuscita, rispose citando la testimonianza di Giorgio La Pira e articolando una ricca riflessione. Nel frattempo io mi sentii profondamente messo in questione, perché capivo che, se fosse stato per me, avrei bloccato ingiustamente la richiesta di Francesco, e soprattutto l’azione dello Spirito che passava per quella domanda. Capii che il Signore mi stava dando una lezione straordinaria. Avvertii anche il bisogno di andarmi a confessare al più presto. Molti fra i presenti, anche vescovi e cardinali, andarono a ringraziare personalmente Francesco. Qualcuno venne anche da me. Ma io sapevo bene che specialmente in quel caso non c’entravo nulla.

A volte dimentichiamo che lo Spirito è il vero maestro interiore che opera aldilà di qual che possiamo pensare e immaginare.

Da allora Francesco frequenta continuamente la nostra comunità. Le sue preghiere sono sorprendenti per la loro profondità e aiutano l’intera assemblea a cogliere i grandi orizzonti di Dio e il suo agire nella storia. Il Papa, non a caso, ripete spesso: “Lasciatevi sorprendere da Dio”.

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