GROTTAMMARE – Oggi, martedì 21 Marzo si terrà a Grottammare la XXII Giornata della memoria e dell’impegno contro le vittime delle mafie, organizzata da “Libera Associazioni, nomi e numeri contro le Mafie”.

Il programma è il seguente:
ore 9 – Piazzale Stazione ferroviaria, raduno partecipanti
ore 10 – partenza corteo (percorso : via Crucioli, via Laureati, via Matteotti, corso Mazzini, lungomare della Repubblica, Piazza Kursaal)
ore 11.15 – Piazza Kursaal – commemorazione vittime delle mafie in contemporanea alla commemorazione nazionale che avrà luogo a Locri
ore 14.30 – Sala Consiliare, seminario “Vite in gioco” / Sala Kursaal, seminario “Dal terremoto alla speranza”/ Biblioteca comunale, visione del film “La nostra terra”, di Giulio Manfredonia.

Pubblichiamo l’intervento integrale di Don Luigi Ciotti durante l’incontro con tutte le associazioni e movimenti promotori della giornata del #21marzo, in memoria delle vittime della mafia. Dopo aver ringraziato per l’invito l’assemblea, comincia dicendo che c’è rischio di essere una società che si preoccupa dei giovani ma non se ne occupa appropriatamente.

In Italia circa due milioni e trecento giovani hanno terminato gli studi ma non trovano il lavoro. Questo problema deve essere una priorità nelle scelte del paese. Non bisogna giudicare nessuno ma dobbiamo interrogarci su cosa si può fare di più per non lasciare soli quanti sono impegnati e quanti credono che bisogna migliorare le cose. L’Italia ha 4500000 persone sulla povertà assoluta. Uno si deve interrogare su tutto questo. Tullio De Mauro, il più grande studioso della letteratura italiana nonché famigliare di vittima di mafia, aveva un chiodo fisso: gli analfabeti di ritorno italiani (oltre seicento mila). Un dato grave che ci deve far riflettere, perché è la cultura che dà la sveglia alle coscienze. È necessaria una rivoluzione culturale, etica, sociale, del nostro paese, proprio per affrontare le fragilità che ci circondano. Le mafie sono forti in una società  diseguale, culturalmente depressa.
Vi sono, tre passaggi sulla nascita di “Libera” e su come nasce il 21 marzo. “I segni sono importanti” afferma Don Luigi, “due mesi prima della strage di Capaci mi trovai a Gorizia per un corso di formazione per la polizia di stato sui temi delle droghe e delle dipendenze in cui c’era Falcone e lì ci siamo dati un appuntamento a Palermo che non ci è mai stato. Il giorno della strage di Capaci ero in Sicilia per un corso agli insegnanti, sempre sulla dipendenza. Stessa cosa il 18 luglio, il giorno prima della strage di Via d’Amelio: ero lì, sempre per il gruppo Abele, sempre per parlare di dipendenze. Libera nasce proprio dopo quelle stragi, così, per aiutare tutte quelle realtà, per incoraggiare il lavoro di tanti che in Sicilia facevano antimafia. Sempre con la consapevolezza che le mafie hanno radici storiche al sud ma la testa al nord. Don Luigi Sturzo diceva: la mafia risalirà sempre più crudele verso il nord per andare oltre le Alpi. Aveva predetto, la forte espansione che avrebbero avuto le mafie”.
U Il nostro dovere è illuminare nei nostri territori tutte le cose positive che ci sono ed avere, però, lo sguardo lucido per vedere le cose che non vanno: prendere coscienza della società fragile in cui viviamo. Cose positive ci sono state, altrimenti non ci sarebbe libera, con le sue 1600 associazioni, percorsi nelle scuole, i grandi risultati, come quello della raccolta di un milione di firme per quella che sarebbe poi diventata la 109/96, la legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati: cose che abbiamo costruito dal basso, ma partendo da dentro. Il movimento deve partire da dentro, ma deve essere continuativo, un impegno costante nel mettersi in gioco. La lotta alla mafia è una questione di legalità e civiltà. Se fosse stato solo un problema di ordine criminale, la battaglia fatta in questi anni dai giudici e dai poliziotti sarebbe bastata. È venuta meno la civiltà, che vuol dire scuole, lavoro, servizi, politiche per la famiglia, la dimensione sociale.
Le mafie non sono figlie della povertà e dell’arretratezza, ma di queste si avvalgono e trovano terreno fertile per poter espandere la loro forza. D
obbiamo richiamarci tutti in una forte attenzione, soprattutto in questo periodo di profonda crisi finanziare ed economica. Loro (i mafiosi), hanno il denaro, lo riciclano, lo investono. Ci può essere una politica senza mafia, ma non ci può essere una mafia senza politica. La mafia non è l’antistato: è strutturalmente legata allo stato, soprattutto al sistema imprenditoriale. Non si può sconfiggere la mafia se non si può sconfiggere la criminalità politica ed economica. Questo non vuol dire non fidarsi e non stimare i tanti politici che dedicano la vita al bene comune. Sono tanti i politici onesti, ma ci sono anche quelli malati di potere. Siamo chiamati ad alzare la voce: non dobbiamo tacere quanto viene calpestata la dignità delle altre persone. Ci vuole coraggio e umiltà, cose che non richiedono eroismi, ma generosità e responsabilità: questo siamo chiamati a fare.
Dobbiamo respingere gli specialisti della perplessità e prendere le distanze dai mormoratori. Non dobbiamo essere poveri di coraggio, ma avere coraggio di avere coraggio, cominciando dalle piccole cose.
“Abbiamo bisogno di una politica di ampie vedute, molte volte la stessa politica è responsabile del proprio discredito, a causa della corruzione e della mancanza di buone pratiche pubbliche” (Papa Francesco)

Non dobbiamo essere amici ad intermittenza, a seconda delle emozioni: dobbiamo essere capaci di tradurre la domanda di cambiamento, che tutti sentiamo dentro, in forza di cambiamento.
Purtroppo alcuni temi vanno di moda, vengono abusati, se ne parla troppo poi non se ne parla più: la droga, l’aids ed ora, da un po’ di anni, la legalità: ma la legalità non può essere un obiettivo, ma uno strumento attraverso il quale si raggiunge l’unico vero obiettivo, cioè la giustizia.
Libera non educa alla legalità, Libera educa. Dobbiamo parlare sì della legalità, ma ad una condizione: che la saldiamo alla responsabilità, che viene prima della legalità E prima della responsabilità c’è la dignità delle persone.
Non si può pensare di sconfiggere le mafie se la società è afflitta da analfabetismo etico.
“Sono molto contento che il 21 marzo sia diventato legge all’unanimità: ma quante volte in questi anni, la proposta è stata tirata indietro perché c’erano venti contrari che hanno fatto di tutto per ostacolarla: c’è chi proponeva altre date, cercando di cancellare la storia che si era costruita attorno ai famigliari in questi anni. Come c’è la retorica della legalità, c’è quella della memoria. Le vittime non sono morti per la lapide, per la frase di circostanza con il quale ricordarli, ma sono morti per la democrazia del nostro paese. Ben venga, dunque, che la repubblica italiana faccia sua questa giornata. Abbiamo un grande debito con quanti sono stati assassinati, ma anche con quanti sono rimasti, i famigliari. Ricordare le vittime è un dovere sociale, non solo un’esigenza privata dei famigliari: per questo è importante che lo stato abbia votata tutto questo.
Come nasce il 21 marzo?
Don Luigi racconta che un anno dopo la Strage di Capaci, nella commemorazione della Strage, c’era vicino a lui una signora vestita in lutto, che piangeva ininterrottamente. Ad un certo punto, gli scuote il braccio e gli dice, sempre piangendo: “perché non si fa il nome di mio figlio?” Era la mamma di Antonio Montinaro, capo della scorta di Falcone. Purtroppo, durante la commemorazione, si facevano i nomi di Falcone e della moglie Morvillo, ma i poliziotti morti con loro venivano solo indicati come “uomini della scorta”, senza mai venire chiamati per nomi.
Per questo, si è sentita l’esigenza di una giornata che per ricordare tutte le vittime innocenti delle mafie, chiamarli per nome, uno per uno. Nasce il desiderio di istituire questa giornata, il primo giorno di primavera.
Quest’anno il 21 marzo, la manifestazione principale, si fa in Calabria, nella locride, per non lasciare solo chi è fortemente impegnato a combattere la ‘ndrangheta. Per la prima volta, in Calabria, tutta la CEI ha aderito, tutti i vescovi. La Locride non è semplice, anche per la chiesa, come ci hanno raccontato alcuni fatti di cronaca, su dei sacerdoti che hanno favorito una serie di fatti. È stata scelta la Locride anche perché un vescovo molto umile ha segnato la storia del cambiamento, perché ha ordinato ad un sacerdote che aveva preso le offerte da un boss dell’ndrangheta di restituirgli tutti i soldi, perché erano di provenienza mafiosa. In un’altra parrocchia è stato sciolto il consiglio parrocchiale perché aveva sostenuto e non si era ribellato alla scelta di un sacerdote, che aveva celebrato una messa pubblica in memoria di un boss, che non si era mai convertito né aveva mostrato in vita segni pubblici di cambiamento e pentimento.
Come in tutti i territori, anche nella Locride il problema più grave non è solo chi fa del male, ma chi guarda fare del male e tace e nel silenzio diventa complice.
“Per il 21 marzo” afferma Don Ciotti “abbiamo chiesto ad ogni regione di decidere un punto forte nel quale celebrare la giornata della memoria e dell’impegno, che avesse un significato ben preciso. Mi fa piacere che le Marche abbiano scelto Grottammare, una città vicino ad una terra ferita dal terremoto. Anche se non ci sono parole per descrivere cosa state vivendo, vi prego di sentire la nostra vicinanza, il nostro affetto.”
Il 21 marzo è la giornata della memoria e dell’impegno, che deve durare 365 giorni all’anno. Bisogna continuare il proprio impegno: trovare il coraggio di non tacere, di alzare la testa e la voce, di impegnarsi con tutte le forze per restituire l’economia alla vita. Se l’economia non torna ad essere al servizio della vita delle persone, non si uscirà mai fuori da questa crisi. C’è bisogno di restituire l’economia alla sua dignità e sapere che deve garantire lo sviluppo della società, della crescita e della cultura.
“Nessuno di noi è indispensabile” continua “ma nessuno nemmeno può agire al posto nostro. Ecco perché siamo chiamati a non voltarci dall’altra parte e siamo tutti chiamati a scelte più coraggiose”.
Don Luigi afferma di avere due riferimenti: il vangelo e la Costituzione Italiana. Nel vangelo c’è molta politica, nella definizione che gli dà Paolo VI: “la politica è la più alta ed esigente forma di carità”. C’è molto politica nel vangelo, nella denuncia dei soprusi, delle ipocrisie. E c’è molto vangelo nella costituzione, nella misura in cui stabilisce pari dignità alle persone ed il loro diritto a vivere in pace.
“Lasciate perdere coloro che dicono che è tutto tempo perso, che le cose non possono cambiare. Dobbiamo non dimenticarci mai che la prima mafia si annida nelle diffidenze, nella superficialità, nel puntare il dito senza fare nulla e girarsi dall’altra parte. Siamo chiamati a fare uno scatto avanti.”
Cita ancora una volta Papa Francesco che dice: “bisogna entrare in una fase di maggior consapevolezza. No ad una fiducia irrazionale nel progresso e nelle capacità umane. Bisogna prendere dolorosa coscienza e osare trasformare in sofferenza personale quello che accade nel mondo e così riconoscere il contributo che ciascuno può portare.”
Conclude dicendo, invitandoci ad alzare la voce, quando in molti scelgono un più prudente silenzio.

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