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ZENIT – di Federico Cenci

Sarà un Natale intenso in Venezuela. Il Paese latino-americano, investito da una profonda crisi economica che perdura dal 2013, sta vivendo da qualche mese una recrudescenza del conflitto sociale.

Lunedì scorso episodi di vandalismo e saccheggio di negozi si sono verificati in diverse zone del Paese, ad opera di gente disperata, che non riesce più nemmeno a mettere insieme i soldi per acquistare beni di prima necessità.

Il giorno dopo, martedì 20 dicembre, drappelli di persone sono scesi in strada per chiedere le dimissioni del presidente Nicolas Maduro, accusato con il suo apparato di essere il responsabile del disastro.

Le notizie che giungono sono tuttavia poche e confuse. Comprendere dall’esterno cosa stia accadendo precisamente in Venezuela è un’impresa impervia. Tra censure interne e interferenze straniere, la verità rischia di rimanere ai margini di questo caotico contesto.

Chi tramite contatti personali è costantemente aggiornato sui risvolti del caos venezuelano è Alberto Sotillo, esponente politico dell’opposizione e membro del movimento di ispirazione liberale Vente Venezuela. Trasferitosi in Italia a giugno, dopo aver ricevuto minacce e atti intimidatori, su di lui pende ora anche un mandato di cattura.

La sua esperienza testimonia – spiega in un’intervista a ZENIT – il livello di corruzione nonché il clima vessatorio che si respira in Venezuela fin dall’ascesa al potere di Hugo Chavez, nel 1999.

Era un cittadino comune quando, nel 2012, propone tramite alcuni esponenti dell’opposizione – racconta – “un piano di ristrutturazione del sistema penitenziario venezuelano, che verte su quattro cardini: educazione, sicurezza, certezza della pena, reinserimento sociale”.

È qui che iniziano i suoi problemi. Il progetto carcerario – presentato e apprezzato in convegni sul tema in Francia, Italia e Svizzera – non arriva nemmeno in Parlamento, giacché la Guardia Nacional vede in questo riordino dei penitenziari una minaccia del suo monopolio di gestione delle carceri – dice Sotillo – basato su “prevaricazione, controllo e gestione del narcotraffico”.

Un’accusa pesante la sua, corroborata dal fatto che Nestor Reverol Torres, ex comandante della Guardia National nominato ad agosto ministro dell’Interno e della Giustizia da Maduro, è ricercato dalla magistratura statunitense per complicità nel traffico di droga.

Senza avere un retroterra ideologico ma solo per il bene del proprio Paese, Sotillo decide così di non desistere dal suo impegno civile. E lo fa aderendo a Vente Venezuela, guidato da Maria Corinna Machado.

Vente Venezuela è oggi uno dei movimenti che chiede un referendum sulle dimissioni di Maduro. “Ne sta subendo gli effetti – spiega Sotillo -, ad esempio la Machado è stata estromessa dal Parlamento e impossibilitata a uscire dal Paese”. A lei è andata anche meglio rispetto ad altri oppositori. Sotillo è in contatto quasi quotidiano con Lilian Tintori, moglie di Leopoldo Lopez, e con Mitzy Capriles de Ledesma, moglie del sindaco di Caracas.

Entrambi i loro mariti sono oggi dietro le sbarre, in condizioni disumane: “Viene usata la tortura come strumento di pressione psicologica – afferma Sotillo – e il cibo viene fornito soltanto una volta ogni due giorni”. Se per Lopez l’accusa è di aver fomentato tafferugli, per Antonio Ledesma, primo cittadino della capitale, è di voler organizzare un golpe eterodiretto dagli Stati Uniti.

Quella dell’ingerenza americana è un un’ossessione dei Governi bolivaristi. Tutt’altro che peregrino che una potenza non alleata possa intromettersi in affari interni, evocare ogni volta lo spettro del golpe a stelle strisce – ritiene Sotillo – è però una messinscena, utile solo a creare un nemico potente e a mostrare al popolo i muscoli.

Già nel 2012, durante un fallito colpo di Stato, Chavez accusò Washington. “Quella – racconta Sotillo – fu un’insurrezione del mondo imprenditoriale e finanziario, priva tuttavia di un’organizzazione efficace”.

Oggi ciò che accade è diverso. “È il popolo che scende in strada, per chiedere, oltre al pane, democrazia e diritti umani”, afferma. Tra le cause della crisi, Sotillo vede la mancata diversificazione nell’economia, legata quasi esclusivamente al petrolio, a cui va aggiunta l’espropriazione da parte dello Stato ai tempi di Chavez delle compagnie petrolifere straniere: “Dirigenti capaci sono stati sostituiti da persone non in grado di condurre una saggia gestione, così nel lungo termine la politica si è rivelata fallimentare”.

Oggi il Venezuela si ritrova con enormi industrie petrolifere ferme per mala gestione e con la necessità, benché lo Stato sia a corto di liquidità, di importare petrolio dall’estero, finanche dal nemico statunitense.

Per uscire dall’empasse, Papa Francesco due mesi fa ha indicato a Maduro “la via del dialogo sincero e costruttivo”. Ciò è avvenuto durante un incontro inatteso in Vaticano, organizzato a seguito di una sosta del presidente venezuelano a Roma per il rifornimento di carburante del suo aereo.

Quell’incontro ha dato avvio a un tavolo di dialogo tra Governo e opposizione, mediato da mons. Claudio Maria Celli, ex sottosegretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati. “Forse sarebbe stato più indicato scegliere anziché un argentino un mediatore venezuelano – l’osservazione di Sotillo -, poiché conosce meglio la realtà di questa crisi. Quel dialogo finora non ha portato a nulla”.

Sotillo che apprezza invece la nomina del venezuelano Enrique Porras Cardozo, arcivescovo di Mérida, a Cardinale. “È anzitutto un riconoscimento che si è meritato, ma secondo me è anche un incoraggiamento da parte del Papa al popolo venezuelano”, dice l’oppositore.

Si legge un po’ di delusione dagli occhi di Sotillo quando racconta che il 5 dicembre scorso, Lilian Tintori, Mitzy Capriles de Ledesma e Antonieta Mendoza (madre di Leopoldo Lopez) hanno inscenato una protesta in piazza San Pietro per denunciare le condizioni carcerarie dei loro mariti e di tutti gli altri prigionieri politici venezuelani. “Nessuno da parte del Vaticano è venuto ad incontrarle”, sospira Sotillo.

Quali scenari futuri? Le opposizioni chiedono l’operatività di una disposizione costituzionale che riconosce alle forze di minoranza a metà mandato presidenziale – scattato ad aprile 2016 – di proporre un referendum per la revoca del presidente.

Secondo Sotillo “l’intento di Maduro sarebbe di guadagnare tempo per protrarre tale situazione fino al 10 gennaio 2017”. A partire da tale data, infatti, decorrerebbero due anni esatti dalla fine del suo mandato e ciò consentirebbe di far ricorso a un’altra disposizione costituzionale che prevede la possibilità di passare le consegne al suo vice. L’eventuale referendum non avrebbe a quel punto più senso.

 

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