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A diciassette anni Edgar ha già visto l’inferno

da Hawyward (California), Damiano Beltrami
Ha i capelli nerissimi, lucenti e ondulati, i tratti del viso indio e ama portarsi dietro grandi cuffie per ascoltare la musica hip-hop. Edgar Carrillo va a scuola a Hawyward, 30 minuti di macchina a sud-est di San Francisco, e sembra uno dei tanti ragazzini ispanici delle periferie californiane. Invece a 17 anni ha già visto l’inferno. Appena un anno fa era in Guatemala e nel suo villaggio un narcotrafficante gli aveva intimato di lavorare per lui: “Il gangster mi ha detto: ‘hai visto come è andata a tuo fratello? Vuoi fare la stessa fine?’”.
Minacce, violenze… e poi la fuga. Il fratello maggiore di Edgar era stato trovato pochi giorni prima in una piantagione di caffè, riverso a terra, con due proiettili in testa. Dopo cinque mesi chiuso in casa per paura che gli toccasse la stessa sorte, Edgar si fece “il segno della croce” e con un altro fratello, di due anni più grande, si avventurò verso il nord. “Non c’erano alternative”, spiega ora al Sir, allargando le braccia: “Se restavamo, ci avrebbero ammazzati”. Il piano era attraversare il confine nei pressi di Nogales e poi prendere un autobus e raggiungere una zia da tempo trasferitasi vicino a Hayward, nella California settentrionale. “Ma non tutto è andato per il verso giusto”. Gli ufficiali dell’immigrazione intercettarono Edgar e il fratello. Quest’ultimo, essendo già maggiorenne, fu deportato. A Edgar, invece, ancora minorenne, fu permesso di entrare negli Stati Uniti: per legge un minore può chiedere di restare negli States sulla base delle persecuzioni di cui si dichiara vittima. Otto mesi dopo Edgar, camicia bianca e pantaloni eleganti, si presentò in tribunale a San Francisco per spiegare, tramite un’interprete, le violenze subite in Guatemala. I giudici hanno infine accolto la sua richiesta d’asilo.
90mila piccoli oltre il confine. Edgar è solo uno delle migliaia di bambini e ragazzi del Guatemala, dell’Honduras e di El Salvador che, senza i genitori, attraversano illegalmente il confine Messico-Usa sperando di potersi riunire a familiari già residenti negli Usa. Alla fine di quest’anno il numero si aggirerà sui 90mila, un incremento di oltre il doppio rispetto al 2013. E questi minori sono sempre più giovani, a volte hanno solo 6 anni. Alcuni dati diffusi dalle autorità federali sono impressionanti: erano il 9% i minori di 12 anni arrestati nel 2013 alle frontiere del Paese, mentre le proiezioni per il 2014 indicano addirittura il 16 per cento. L’emergenza si riflette anche nei tribunali statunitensi, dove i giudici decidono la sorte di questi giovani. Negli Stati Uniti ci sono al momento oltre 375mila minori in attesa di giudizio, secondo dati governativi ottenuti dalla Syracuse University. E per farsi un’idea della situazione basta prendere in considerazione il caso del tribunale di New Orleans, in Louisiana: nei primi sei mesi del 2014 i casi sono stati già 450; nel 2013 il numero totale delle richieste era 540, tre anni fa solo 71.
Studio della Conferenza episcopale. I giovani centroamericani che sognano una nuova vita degli Stati Uniti scappano da estorsioni, rapimenti e omicidi impuniti di gang come la Mara Salvatrucha (Ms-13) e la 18th Street (gang anche nota come Barrio 18). Senza contare una sequela di altre bande emergenti che tentano di emularne le gesta criminali. Come si legge nel recente rapporto della Conferenza episcopale Usa, stilato dopo una missione guidata da monsignor Mark Seitz, vescovo di El Paso in Texas, gang e organizzazioni criminali transnazionali dettano legge in porzioni sempre più ampie del cosiddetto Triangolo nord (Honduras, Guatemala, El Salvador). Per numero di omicidi quest’area risulta più pericolosa di zone di guerra come l’Iraq, l’Afghanistan o l’Ucraina. Meno del 5% dei presunti assassini viene processato. La violenza delle gang è divenuta ultimamente sempre più brutale nei confronti anche delle bambine, che vengono spesso violentate in gruppo e costrette a far parte delle gang fin dall’età di 11 anni. “Le gang sono dappertutto”, racconta Edgar con gli occhi abbassati, “davanti alle scuole, sugli autobus, per le strade. O sei con loro, o sei contro, il che può costarti la vita”.
Coyotes e leggende. Oltre al tasso di violenze nel Triangolo nord, l’esodo è stato alimentato da una spietata campagna di disinformazione orchestrata con grande abilità dai coyotes (i trafficanti di persone) che hanno messo in giro la voce, rilanciata dai media locali, secondo cui una nuova legge del presidente Obama concede immediatamente l’asilo ai minori che arrivano negli Stati Uniti non accompagnati. Il pretesto per montare questa leggenda è stato un ordine esecutivo di Obama del 2012 con cui il presidente concesse la residenza a un piccolo gruppo di minori arrivati negli Stati Uniti non accompagnati prima del 2007. Sotto forte pressione di Washington, nelle ultime settimane il governo messicano ha preso misure che pubblicizza come “drastiche” per ridurre il flusso verso gli Usa, tra cui una inflessibile rete di checkpoint lungo la via dell’immigrazione. I dati degli ultimi due mesi indicano una flessione del flusso di disperati e di migranti, ma nel lungo periodo le nuove politiche potrebbero rivelarsi effimere come è già successo in passato.
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