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Il colore prima del blu – Puntata 13


Il romanzo “Il colore prima del blu”
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– Il colore prima del blu – Puntata 1

– Il colore prima del blu – Puntata 2

– Il colore prima del blu – Puntata 3

– Il colore prima del blu – Puntata 4

– Il colore prima del blu – Puntata 5

– Il colore prima del blu – Puntata 6

– Il colore prima del blu – Puntata 7

– Il colore prima del blu – Puntata 8

– Il colore prima del blu – Puntata 9

– Il colore prima del blu – Puntata 10

– Il colore prima del blu – Puntata 11

– Il colore prima del blu – Puntata 12

I rumori della festa si insinuano tra le case. Più mi avvicino alla piazza e più si fanno forti. Questa sera le vie appartengono ai gatti. Al mio passaggio li vedo rintanarsi negli angoli delle case. Tiro fuori di tasca le mance della serata, conto i soldi. Mi comprerò del croccante alla bancarella dei dolci. Mio padre ci andava matto. L’anno scorso ne portai un pezzo a casa. Mi dispiace andare alla festa sapendo mia madre malata. Improvvisamente il mio cuore si rattrista e sono tentato di non acquistare nulla, ma forse è una stupida forma di rispetto che mia madre non condividerebbe. Così mi fermo alla bancarella. Un bambino davanti a me compra dello zucchero filato. La madre paga. Se ne vanno. La signora mi allunga un sacchetto con la barretta di croccante dentro. Le porgo i soldi e, nell’attesa del resto, mi giro a guardare verso la piazza. Vedo Anna intrufolarsi tra la folla. Inizio a correre, la signora mi urla qualcosa, sembro un ladro, in realtà sono io ad avere un credito nei suoi confronti. Mi faccio largo tra la gente, ma non vedo più Anna. Sul palco suonano una tarantella e i più anziani ballano. Abbandono momentaneamente la ricerca. In fondo, non dovrebbe essere difficile ritrovare una persona in questo buco di paese. Gli spettatori bevono birra. Donne e bambini leccano un gelato. Don Piero parla con il Sindaco mentre con le mani sbuccia noccioline calde e se le mette in bocca lentamente. Poi scuote la testa. Il Sindaco punta il dito contro don Piero, glielo ficca in petto. Don Piero è fermo con lo sguardo e penetra quello del Sindaco. Il Sindaco fa un sorriso amaro, prende sotto braccio don Piero e si allontanano insieme. Prendo il mio croccante, lo spezzo e do un morso. Oltre ai turisti ci sono quelli che vengono dai paesi limitrofi. D’estate ogni paesino ha la sua festa e ogni sera ci si sposta in massa. Sembra che per i miei compaesani le feste siano le uniche occasioni per provare un po’ di allegria. Io, invece, non condivido la loro gioia perché se un evento non porta con sé un po’ di eternità, non potrà mai rendermi felice.

Mi fermo davanti alla bancarella di Filì il rigattiere. In mano ha una vecchia pentola di rame, la allunga a un turista per mostrargliela.
Si avvicina il Maresciallo. Va dritto verso Filì.
‹‹Qua c’è qualcuno che fa le orecchie da mercante. Vero Filì?››
‹‹Venga domani alla mia bottega e saldiamo tutto Maresciallo, o no?››
‹‹Va bene! Va bene! Ma tu lo sai cosa succede a chi non rispetta le regole. Vero Filì?››
Fingo di non ascoltare, osservo un vecchio carillon che ho preso in mano. Sul bancone ci sono libri, piccoli quadri, alcuni fumetti. Vecchi 45 giri. Filì chiama la gente che passa. Le sue sono occasioni irripetibili, dice ai passanti. Ha una pipa in bocca e sa parlare senza farla cadere. Rovisto tra le cianfrusaglie, trovo cartoline così vecchie che ritraggono il disegno della piazza senza l’edificio del bar. Al suo posto c’è una balaustra e al di là di essa il mare. ‹‹Scusa ma il porto dov’era?›› gli chiedo.
Si toglie la pipa dalla bocca e sghignazza: ‹‹Il porto dei pescatori era alla Caletta degli innamorati, come la chiamate voi oggi, o no?››
Sapevo che il mare un tempo entrava prepotente sulla nostra terra, ma a immaginarle le cose non ci si stupisce. Un signore sposta dei libri alla ricerca di qualcosa. Ne appoggia uno con la copertina nera davanti a me. Lo prendo. È un libro sul cinema: “Dalla sceneggiatura al montaggio”, dice il sottotitolo. Lo sfoglio. Leggo qualche riga, alzo la testa e riprendo a leggere.
Credo di essere rimasto lì impalato per alcuni minuti perché d’un tratto Filì mi strattona e dice: ‹‹Ehi ragazzo! Te lo regalo, ma levati da qui che mi occupi tutto lo spazio, o no? Su vai, vai…››
Si avvicina Nunzia la pescivendola, mi tira per un braccio e mi dice di stare alla larga da Filì: ‹‹Si dice che sia un ladro, si intrufola nelle case e ruba le cose vecchie. Poi le rivende per oggetti antichi. Invece è solo robaccia. È un poveraccio! Lascialo stare.›› Mi sventola davanti il blocchetto della lotteria. Acquisto un biglietto, anche se non sono interessato ai premi. L’anno scorso mamma vinse un salame che poi regalò a don Piero. Nunzia dice che quest’anno sarò ancora più fortunato e vincerò il primo premio.
‹‹Qual è?›› le chiedo. Si gira, e con la mano mi indica qualcosa sul palco. ‹‹E che cos’è? Non ci vedo bene…››
‹‹Una radio, ragazzo. Una bellissima radio con il giradischi! Non ti piacerebbe?››
‹‹Sì, molto,›› dico.
In quel momento sento delle grida. Provengono dal fondo della piazza: c’è un gioco che si fa con i topolini vivi. Mi avvicino. Delle casettine colorate e numerate sono disposte sul fondo di un’area circoscritta. Sul lato in cui è schierato il pubblico un topolino in gabbia si agita per fuggire. Quando sarà liberato si rintanerà in una delle casette. Chi ha scommesso sul numero di quella casetta vince il premio.
Scelgo il numero due, ma sento una voce dietro di me ed è quella di Anna.
‹‹No, papà! Non dire due. Scommetti sul numero uno.››
‹‹Perché?›› chiede lui.
‹‹Perché il due non mi piace. È un numero che non ha senso: la somma di due numeri uno, per me, fa sempre uno.››
‹‹Quella è la moltiplicazione Anna, non la somma,›› dice, e poi grida: ‹‹mi dia il numero uno, per favore.››
A
nna lo abbraccia e gli dice: «Grazie papà! Il numero uno vince sempre: vedrai!»
Io mi sposto, evito di farmi vedere da Anna e mi sento uno sciocco per aver preso il due. Guardo il tratto che lo raffigura ed è un segno sbilenco, monco, mentre il numero uno è dritto, signorile, sicuro di sè. Il topolino bianco esce dalla trappola, corre, gira su se stesso, ha paura. La gente urla, lo incita, ognuno chiama il proprio numero. Ho pena per quel topolino. Si illude di aver trovato la libertà mentre il suo destino è già segnato verso un’altra trappola. Scegliersi una trappola non è libertà. Mi giro verso Anna e scopro il suo volto accigliato. Si rivolge al padre: ‹‹Andiamo, questo gioco non mi piace.›› Li seguo con lo sguardo per non perderli di vista, mi faccio largo tra la gente, mi alzo sulle punte.
‹‹Uno! Il vincitore è il numero uno. Chi ha il numero uno?›› un signore urla dal microfono.

Mi sento chiamare da dietro. Sono i miei compagni di scuola.
‹‹Che fine hai fatto? Sei diventato troppo grande per uscire con noi…?›› mi si rivolge con tono spiritoso uno di loro.
Rispondo con cortesia, ma sbrigativo: ‹‹Devo lavorare.››
‹‹Va bene, ma stasera è festa! Vieni a divertirti con noi,›› aggiunge questa volta con affetto inaspettato. Sono un ragazzo sfortunato, orfano di padre e con una madre malata. Questo pensano di me e la loro compassione mi ferisce, ma allo stesso tempo sento di averne bisogno.
‹‹Dove?››
‹‹Prima ci beviamo una birra al bar e poi andiamo a vedere i fuochi in spiaggia.››
Mi prendono sottobraccio e mi trascinano via ridendo. Inizialmente cerco di ribellarmi, poi comprendo che è meglio sopportare questo loro stupido gioco e li lascio fare. Al bancone del bar, Pippo il barista ci mette su quattro birre alla spina. Prendo i soldi dalla tasca.
‹‹Michè, siccome sei l’unico qui che lavora, paga per tutti, và.››
Conto le banconote, ma Pippo me le strappa di mano.
‹‹Ehi piccoletto! C’è poco da contare, qua. Con queste ne paghi al massimo tre, ma sono buono e una ve la offro.››
C’è confusione, i miei compagni sghignazzano, si divertono a prendere in giro i forestieri. Poi passa una ragazza di un paese vicino, le fanno un fischio e le urlano dei complimenti. Al padre, però, non sono piaciuti, così torna indietro e dà un ceffone al mio compagno. Ci alziamo tutti in piedi. Il padre cade all’indietro per uno spintone. Io mi tiro di lato: non voglio essere coinvolto. I tre si tuffano su quel povero signore. Alcune persone inizialmente osservano senza comprendere cosa stia accadendo, poi un giovanotto con i capelli rasati si avvicina per aiutare il padre della ragazza. Altri intervengono e la rissa si placa. Al bar le risse sono frequenti. Per questo mia madre mi ha sempre vietato di andarci. Io mi allontano lasciando la birra sul bancone. Ne ho preso solo un sorso, giusto per assaggiarla. Mi pulisco la bocca dalla schiuma e mi immergo nuovamente nella folla. Sul palco il presentatore della festa invita un bambino innocente a estrarre i numeri della lotteria. Nell’attesa ricorda i premi in palio. Riprendo il mio biglietto dalla tasca per ricontrollare il numero. È un numero che non mi dice nulla, quindi non vincerò. L’anno scorso il numero che capitò a mia madre formava la data della mia nascita e infatti vinse il salame. ‹‹Questo perché sei un salame,›› mi disse ridendo.

Alessandro Ribeca: