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Scozia indipendente? Pesa l’incognita del voto dei poveri

di Silvia Guzzetti
Mancano meno di due settimane al voto che potrebbe staccare per sempre la Scozia dal Regno Unito, dandole, in prospettiva, un esercito e una moneta propri. Non mancano lanci di uova, insulti, attacchi verbali e non: le due fazioni, “Yes Scotland” (per l’indipendenza) e “Better Together” (meglio insieme), si incolpano a vicenda di eccessi. La realtà, come spiega a SirEuropa il professore di politica comparata Alan Renwick, è che “violenze ce ne sono state su entrambi i fronti perché questo referendum tocca nel cuore sia gli scozzesi che gli altri abitanti del Regno Unito e avrà un enorme impatto sull’economia e sul posto che la Scozia ha nel mondo”.
I “no” ancora in vantaggio. Secondo le proiezioni di “What Scotland thinks” (http://whatscotlandthinks.org), affidabile società di sondaggi, il fronte del “no” è in vantaggio, ma gli indecisi vanno spostandosi, di giorno in giorno, verso il “sì”, fatto che rende la possibilità di una bandiera con la croce di sant’Andrea, accanto alle altre dell’Unione europea, sempre più possibile (anche se in caso di indipendenza occorrerà ricontrattare la presenza della Scozia nell’Ue). Tra gli indecisi, ai quali tocca di spostare l’ago della bilancia del referendum del 18 settembre, vi è Anne McTaggart, scozzese, medico condotto sulla quarantina. “Non so ancora come votare, ma se otteniamo l’indipendenza abbiamo una possibilità maggiore di costruire una società più giusta anche se questo comporterà tasse più alte”, spiega la dottoressa. “Non sono una sostenitrice dello Scottish National Party, che si batte per l’indipendenza, ma mi preoccupa la destra inglese che vuole portarci fuori dall’Unione europea”.
Per una società più giusta. A favore dell’indipendenza, oltre a una fetta di cittadini che ha un buon lavoro come Anne McTaggart, sono i più poveri, dipendenti da quel welfare state già tagliato dalla Thatcher e ulteriormente ridotto dall’attuale premier inglese Cameron. Oggi Glasgow, una volta la seconda città dell’impero britannico, con una fiorente industria tessile, chimica e di ingegneria, è una delle parti più povere del Regno Unito, con la più bassa aspettativa di vita, 73 anni per i maschi e 78 per le femmine, e le peggiori cifre per povertà minorile, sanità, crimine, alcolismo e abusi di droghe. A questi esclusi Alex Salmond, il leader del partito nazionalista, promette un futuro economico migliore che non si trova nelle cifre. “Nessuno sa, veramente, che cosa succederà se vince il sì”, spiega il professore John Curtice, il più noto esperto sul referendum, docente di politica all’università di Strathclyde. Il quale aggiunge: “Molto dipenderà dai negoziati che faranno seguito al voto”.
Più poveri o più ricchi? Se vinceranno i “sì” la Scozia non diventerà uno Stato fino al 24 marzo 2016. I mesi precedenti quella data vedranno David Cameron e il primo ministro scozzese Alex Salmond impegnati a sciogliere nodi molto intricati come le sorti della base di Faslane, che ospita il deterrente nucleare britannico del quale i nazionalisti vorrebbero liberarsi, e la moneta, per non parlare dei termini di appartenenza all’Unione europea e alla Nato. Secondo il professor Iain McLean, che ha dedicato all’argomento il libro “The referendum and what happens afterwards” (“Il referendum e che cosa succederà dopo”), “subito dopo l’indipendenza la Scozia sarà più povera, ma, in un futuro più distante, l’economia si riprenderà”.
Maggiore indipendenza anche se vincono i “no”. Se i no all’indipendenza da Londra prevalessero, come vogliono tutti i leader di Westminster guidati da Cameron, potrebbe essere la fine per lo Scottish National Party di Salmond, ma la terra di Braveheart guadagnerà, quasi sicuramente, piena autonomia fiscale, ovvero il diritto di tassare oltre a quello di spendere. “Sarà importante la percentuale con la quale i no vincono”, spiega il professor Renwick. “Più alta sarà, maggiore sarà la pressione per ottenere più poteri da Westminster. E tra 10 o 15 anni potrebbe esserci un altro referendum”.
I vescovi cattolici invitano a votare. A credere nell’importanza del voto, qualunque sia il risultato, è la Chiesa cattolica scozzese. L’arcivescovo di Glasgow, Philip Tartaglia, e quello di Edimburgo, Leo Cushley, hanno scritto una lettera per invitare i fedeli ad andare alle urne. “I cattolici si impegnano nel dibattito in corso battendosi sia per il sì che per il no”, spiega al Sir l’arcivescovo di Glasgow Philip Tartaglia, “e voteranno per entrambi i campi in percentuali simili al resto dell’elettorato. La Chiesa cattolica, insieme con gli altri cristiani, prega che Dio ci aiuti a trarre del bene dal referendum e a vivere in unità, cooperando gli uni con gli altri”.

 

Categories: Politica Società
Simone Caffarini:

View Comments (1)

  • Pur considerando che la Scozia di fatto è già indipendente ed ha un suo parlamento, ormai lo sanno tutti che in Scozia vincerà il SI!
    Gli stati nazionali da sempre in mano a lobby parassite e alla finanza speculativa sono al tracollo...
    Il Veneto ha 1001 ragioni in più per essere indipendente e penso che nei prossimi mesi ne vedremo delle belle!