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Le Parole del Vescovo per Mons. Giovanni Flammini

GROTTAMMARE – Pubblichiamo le parole del nostro Vescovo Gestori in occasione dei 50 anni di sacerdozi di Mons. Giovanni Flammini della parrocchia di San Pio V di Grottamare

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“Carissimi fratelli e sorelle,
con gioiosa partecipazione corale e con viva simpatia ricordiamo il 50° di Ordinazione di Don Giovanni, parroco a Grottammare ormai da tanti anni, da tutti conosciuto e cordialmente amato per la presenza continua, la discreta attenzione alle persone, la dedizione generosa alla comunità.

Confesso che abbiamo dovuto fare un poco di forza per avere questa celebrazione e per vivere un momento di festosa preghiera e di cordiale manifestazione del nostro affetto e della nostra riconoscenza. Avremmo provato un senso di colpa, se non avessimo potuto esprimere la nostra condivisione alla sua gioia personale per questa ricorrenza giubilare.

Carissimo Don Giovanni, sei stato ordinato prete 50 anni fa il 29 giugno, nella festa dei santi apostoli Pietro e Paolo, che anche questa sera ricordiamo, perché li consideriamo due colonne della Chiesa: essi sono due testimoni del Vangelo, due martiri del Signore.

Nella lettera al discepolo Timoteo, che abbiamo appena ascoltato, San Paolo umilmente confessava: “Ho combattuto la buona battaglia…Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato la forza perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio”. Il messaggio del Vangelo!

Sono parole queste, carissimo Don Giovanni, che potresti in qualche modo ripetere anche tu. In questi anni di ministero hai combattuto una battaglia con le armi della parola del Signore, spada tagliente, e con la forza della preghiera, medicina potente. Hai combattuto una battaglia buona, una battaglia spirituale, venendo incontro alle esigenze della gente di questa Comunità civile e cristiana. E devi riconoscere sinceramente di non essere stato solo in questa lotta faticosa: tanta gente ti è stata vicina in questi lunghi anni e ti ha sostenuto nella diffusione del bene.

Dove trovavi l’energia per combattere, dove la forza per lottare, dove il coraggio per andare avanti? Nel brano evangelico appena ascoltato Pietro, interrogato da Gesù, aveva detto parole di una grandezza impensabile da un punto di vista umano: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Parole grandi e vere, parole capaci di motivare la vita di quel pescatore fino ad andare a Roma, la capitale dell’impero, e fino a donare la vita con il martirio. Per fede in Cristo e per fedeltà a lui. Quale energia umana esprime la fede!

Più volte mi hai confidato, carissimo Don Giovanni, che specialmente durante tanti pomeriggi assolati o uggiosi, in questa chiesa di S. Pio V, ti raccoglievi davanti al tabernacolo, per ripetere sommessamente e rivivere intimamente le medesime parole di S. Pietro: “Tu sei il Cristo, tu sei il Figlio di Dio, Tu sei il mio sostengo, tu sei la mia forza, la mia consolazione, la mia gioia!”.

Anche nei momenti della prova per qualche problema di salute o per qualche normale difficoltà, non sei venuto meno a questa proclamazione di fede con la tua vita.

Forse qualcuno di quelli maggiormente vicini, che riescono a scrutare i sentimenti profondi del cuore, in alcune tue giornate ha potuto notare un senso di scoramento nel gesto, un velo di amarezza sul volto, uno sguardo meno sereno negli occhi. E forse avrà pensato: Don Giovanni sta attraversando una fase di pessimismo, vive una eccessiva fatica, subisce una qualche oppressione spirituale. Forse…

Potrebbe aiutarci a capire il grande vescovo S. Agostino, quando invitava ad “allargare il proprio desiderio alla misura del desiderio di Dio”. Allargare il proprio desiderio misurandolo su quello di Dio! Ma è mai possibile? Chi riesce ad arrivare a tanta grandezza? Il desiderio di Dio è infinito, come Lui è infinito, mentre i nostri desideri sono limitati dalla nostra dimensione personale e dal nostro egoismo.

Credo che nella sua passione di pastore d’anime, con addosso l’odore delle pecore, direbbe papa Francesco, don Giovanni coltivi questo desiderio tendenzialmente aperto all’infinito, ma purtroppo poi di fatto sempre umanamente limitato. Da qui quell’apparire meno soddisfatto, da qui

quel chiedere di più, che potrebbe sembrare lamentoso e che invece è il bisogno di andare oltre, per superare la povertà del nostro desiderio, quando viene confrontato con quello di Dio.

Nel cuore di un sacerdote autentico non deve mancare questa passione di infinito. Quando c’è questa ansia apostolica, allora il cuore non soffre il rischio della freddezza, non si accontenta del minimo, non vive una esistenza divisa e frantumata.

La mancanza di unità del proprio io, la rincorsa alle tante cose da fare, il lasciarsi dettare l’agenda dai fatti, dentro giornate piene di cose e povere di un centro propulsore, giornate quasi senza un’anima che faccia da guida, questo è l’avversario principale che un prete deve coraggiosamente combattere.

E’ stato scritto: “Un io che non ha un cuore e un centro non può sperimentare il compimento della vita. Se c’è separazione tra fede e vita, umana e cristiana, il ministero perde gusto al di là della volontà e dell’impegno che ci può essere”.

Il centro della vita di un sacerdote deve essere chiaramente il Signore Gesù, proclamato a parole e vissuto nella vita. La carità pastorale, cioè la dedizione piena e totale alle persone affidate alle proprie cure, è la fonte dell’unità di vita e dell’azione del prete. Qui c’è la gioia vera, qui si trova il gusto profondo del vivere, da qui scaturisce l’energia di andare avanti, nonostante l’età e contro la naturale stanchezza.

Scriveva S. Paolo: “Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo”. E aggiungeva: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Quando siamo convinti di questo, allora quanto cambiano tutte le cose di ogni giornata! Non esiste più da una parte la Messa da celebrare o il Vespro da recitare e dall’altra il rapporto con i ragazzi dell’AGESCI, la gita con i giovani di Azione Cattolica, la presenza alle Comunità del Cammino e l’ascolto di una mamma con problemi o dell’extra-comunitario che ha bisogno.

Tutto viene ricapitolato in Cristo, direbbe S. Paolo, tutto è dentro l’unica vocazione: l’ offerta della propria vita al Signore e l’impegno di donare l’amore di Cristo agli altri.

Allora quanto è bello fare il prete in questo modo e con questo stile. Allora quanto è affascinante vivere da prete così!

Don Giovanni carissimo, Monsignore del Papa, servitore della Chiesa, di questa amatissima Comunità di S. Pio V in Grottammare, innamorato di Gesù, grazie per la testimonianza del tuo sacerdozio, grazie per questa tua vita di prete vero. Avanti ancora. Ad multos annos!”

Redazione: