Diana Papa

Ai nostri giorni siamo abituati a leggere pro-vocare tutto attaccato. Un termine che porta con sé una serie di accezioni negative che vanno nel senso di causare reazioni, azioni e sentimenti aggressivi o irruenti. Il verbo tipico della contestazione gradassa, più o meno intellettuale. Se si pensa alla provocazione, immediatamente viene in mente uno dei tanti salotti televisivi o social, dove qualcuno che tende a spararla grossa poi si rifugia dietro la scusa di una perspicace finezza volta a suscitare reazioni e a studiarle. Quindi dire che qualcosa è provocatorio finisce per essere un alibi a buon mercato per chi, invece di scusarsi, preferisce ammantare di presunta intelligenza un’azione scorretta.
Eppure pro-vocare ha un’etimologia chiara: deriva da pro (avanti/fuori) e vocare (chiamare), quindi, a ben vedere, se lo scriviamo staccato riportandolo all’origine, ecco che diventa un’esortazione a tirar fuori qualcosa da noi. Qualcosa di buono. Perché i cristiani sono invitati a lasciarsi provocare dal Vangelo? Perché prendiamo coscienza del nostro vivere la Parola, perché ci facciamo chiamare fuori dalle logiche del mondo perché troviamo il bello e il buono che sono in noi. Pro-vocare ci chiama alla verità della vita, ci spinge (pro) avanti e fuori: una Chiesa in uscita che chiama a raccolta e a testimonianza. E se ci lasciamo chiamare, vuol anche dire che ci siamo messi in ascolto e abbiamo sentito il nostro nome.
Con questo spirito inizia oggi questa nuova rubrica che si chiama proprio Pro-Vocati dal Vangelo, in cui una monaca clarissa, una volta al mese, ci aiuterà a trovare la strada per capire che lasciarsi pro-vocare non è più cadere in contestazione per finezze intellettualoidi o alibi per risse, ma piuttosto raccogliersi in silenzio e ascoltare a cosa ci chiama il Signore.

Siamo all’inizio di un anno e di fronte a noi si apre un cammino. Non conosciamo che cosa il 2018 ci riserverà, che cosa ci aiuterà a scegliere, passo dopo passo, la via illuminata dal senso della vita: Gesù Cristo e il Vangelo.

Come tutti i viventi, in questo tempo, anche noi cristiani ci imbattiamo in una storia spesso costellata di incognite. Ci accade di sperimentare la confusione che fa perdere i confini dell’esistenza o che ci fa percepire monadi sparse nello spazio e non nel tempo: non sappiamo dove siamo e dove andiamo. Riempiamo di impegni la nostra esistenza e, in nome delle cose fatte per Dio, atrofizziamo l’umanità che ci è stata donata e la capacità di essere sempre in relazione.

Esautorando la vita nell’attimo presente, non ci alleniamo a strutturare l’esistenza alla presenza di Dio, a rimanere in contatto con la soglia del Mistero e in relazione con gli uomini e le donne del nostro tempo. Mentre ci lamentiamo per la mancanza di tempo, in realtà lo svuotiamo di significato.

Come possiamo testimoniare l’incarnazione di Cristo e rendere visibile la prossimità di Dio all’umanità, se non siamo sempre in contatto con la nostra vita abitata dallo Spirito e in atteggiamento di apertura verso ogni relazione?

Presi dal vortice, rischiamo di diventare burocrati del sacro, che esplicano solo delle funzioni: programmiamo, organizziamo convegni, partecipiamo alle tavole rotonde, stiliamo documenti, ecc. A volte questi eventi rimangono cantieri non conclusi, soprattutto se manca la verifica dei risultati, dell’assimilazione dei contenuti, degli strumenti e del metodo acquisiti, per poter progettare, in seguito, nuovi percorsi.

Che cosa fare per non identificare il Vangelo con un insieme di elaborazioni mentali e attivarci per vivere evangelicamente? Come scegliere di sporcarci le mani con coloro che abitano le periferie materiali ed esistenziali, che spesso testimoniano l’amore alla vita che noi rischiamo di teorizzare? Come possiamo condividere con loro anche la nostra esperienza di relazione, quale riflesso dell’amore Trinitario, che ci porta ad accogliere ogni altro semplicemente perché umano?

Forse è giunto il tempo di vivere il Vangelo sine glossa. Questa scelta ci porterà a lasciare volentieri le stanze dei palazzi, le sacrestie, i conventi, le sale delle decisioni, gli ambienti autoreferenziali, la preoccupazione amministrativa, i nostri gruppi rassicuranti, ecc. Il Vangelo ci guiderà sulle strade del mondo, per rendere credibile che veramente il Figlio di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14). Gesù ci invia verso gli uomini e le donne del nostro tempo, per condividere con loro, anche lontani dalle nostre storie, il rispetto del valore dell’esistenza, della persona e della vita relazionale.

Apprendendo dalla relazione con il Signore l’arte di amare ogni persona senza condizioni e nella gratuità, siamo chiamati a vivere la “mistica dell’incontro” (Papa Francesco). Allora possiamo abitare con passione il terreno dell’umanità animato dallo Spirito: mentre ci sentiamo parte dell’universo e frammento che si armonizza con il tutto, diventiamo alla presenza di Dio persone capaci di condividere con ogni altro la bellezza della vita, rimanendo sempre in relazione, come ha fatto Gesù. Da qui passerà la credibilità della nostra testimonianza.

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