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Caritas, senza Empori della Solidarietà delle diocesi, 200.000 persone sarebbero senza beni essenziali

Di Marco Calvarese

Immaginate di entrare in un supermercato speciale: gli scaffali sono pieni, le casse aperte, tutto è illuminato come ogni giorno. Ma non c’è nessuno. Nessun cliente, nessun volontario, nessun operatore. Nessuno che riempie carrelli, nessuno che distribuisce generi essenziali a chi ne ha bisogno. Perché oggi, solo per oggi, gli Empori della Solidarietà – la rete di supporto alimentare legata a Caritas, diocesi e parrocchie – non aprono. E il silenzio pesa più di qualsiasi scaffale vuoto. Gli Empori in Italia sono circa 230, diffusi in città e periferie, spesso integrati nei Centri d’Ascolto e nei servizi diocesani. Ogni anno offrono aiuto a 200.000 persone, un numero cresciuto del 20% negli ultimi cinque anni a causa dell’aumento della povertà alimentare. Un Emporio medio distribuisce beni per un valore compreso tra 300.000 e 400.000 euro l’anno, grazie alla combinazione di donazioni, eccedenze recuperate e progetti finanziati dal Fondo Sociale Europeo e dall’8×1000 alla Chiesa cattolica italiana.Per molte famiglie, accedere a questi spazi significa risparmiare 70–120 euro al mese, denaro che può essere reinvestito nei trasporti, nelle bollette o nelle spese scolastiche.Ora proviamo a immaginare cosa accadrebbe se, proprio nel mese più critico dell’anno – dicembre, quando le richieste crescono fino al 30% – gli Empori rimanessero chiusi. L’impatto sarebbe immediato e visibile nel giro di poche ore: 200.000 persone senza accesso ai beni essenziali, famiglie costrette a rinunciare a prodotti fondamentali come latte in polvere, pannolini, detersivi, pasta, riso. I servizi sociali comunali verrebbero travolti da richieste che non possono soddisfare: i buoni spesa già distribuiti dal welfare locale coprono solo una parte dei bisogni e spariscono in fretta. Secondo stime elaborate su base regionale, la spesa pubblica aggiuntiva supererebbe i 10 milioni di euro in un solo mese, considerando l’acquisto diretto dei beni e l’aumento delle misure di emergenza.

Gli Empori, infatti, non sono semplici negozi. Sono ammortizzatori sociali che impediscono a famiglie vulnerabili di precipitare nell’indigenza totale.

Sono luoghi dove si incontra un assistente sociale, dove si parla con un volontario, dove si impara a gestire il bilancio familiare, dove si ricostruisce un minimo di stabilità. Molti Empori offrono anche corsi di educazione alimentare, piccoli sportelli di orientamento al lavoro e distribuzione di materiale scolastico per i minori. Senza questa rete, la società pagherebbe un prezzo alto: più indebitamento, più esclusione, più interventi d’urgenza.Il carrello vuoto non sarebbe solo un’immagine evocativa, ma l’emblema di una fragilità collettiva che rischiamo di dare per scontata. Nel mese in cui tutto brilla, il Natale rivela così il suo lato più concreto: la forza di una solidarietà quotidiana che tiene insieme l’Italia dove il mercato e le istituzioni non arrivano. In un Paese senza Empori, il carrello vuoto parlerebbe più di qualsiasi slogan — un monito silenzioso su ciò che succederebbe se questa rete, discreta ma vitale, si fermasse anche solo per un giorno.

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