Di Gigliola Alfaro
“Sogniamo una grande comunità di educatori e catechisti per questa città: persone desiderose di lasciarsi contagiare l’un l’altra, sognatori di nuovi percorsi pastorali e capaci di vivere il carisma educativo dell’oratorio nei segni dei tempi contemporanei”: è il sogno missionario del Centro oratori romani-Cor, fondato nel 1945 dal venerabile Arnaldo Canepa, catechista. Nell’anno del Giubileo della Speranza, il Cor compie 80 anni e celebrerà il proprio giubileo il 18 ottobre. Intanto, la Chiesa universale, dal 26 al 28 settembre, celebra il Giubileo dei catechisti, “un dono anche per il Cor”, come dice al Sir il suo presidente, Stefano Pichierri, avvocato, sposato con 3 figli piccoli.
(Foto Archivio Cor)
Quanto è attuale la missione del Cor a 80 anni dalla sua fondazione?
È cambiata la società, però nella sostanza non è cambiata la missione, anzi, noi abbiamo fatto proprio un percorso negli ultimi anni per tornare sempre più alla radicalità di quel tipo di esperienza, perché alla finel’esperienza della promozione degli oratori, l’esperienza missionaria dei catechisti, è alla base della nostra associazione ed è al servizio della diocesi di Roma, ma in generale della Chiesa tutta, quindi è il nostro specifico: noi continuiamo a fare e a spingere su questo tasto, con modalità differenti, incontrando i territori, in una società diversa.Oggi magari non sono più i bisogni materiali dei ragazzi a preoccupare e la loro formazione al lavoro, piuttosto una formazione alla vita, l’educazione alla fede, un sostegno alle attività di gruppo e anche a trovare nella chiesa, nell’oratorio, un ambiente accogliente che possa supportare il loro percorso di iniziazione cristiana. Oggi la crisi di valori e di appartenenza alla Chiesa cattolica nelle fasce giovanili è forse similare a quella di quando ha iniziato Canepa, perché anche allora si parlava di secolarizzazione: oggi non ci si può basare su un’appartenenza data dalla tradizione, dalla partecipazione delle famiglie, perché spesso non c’è, sempre meno bambini vengono addirittura battezzati, quindi l’oratorio diventa un’esperienza inclusiva, ma anche di primo incontro. Quindi noi cerchiamo di sviluppare oratori che in cui ci siano giovani e adulti disposti a generare questi incontri.
(Foto Archivio Cor)
Qual è la specificità del catechista di oratorio?
Principalmente direi l’essere un testimone credibile e, quindi, maturare quella leadership, quell’adultità, indipendentemente dall’età che si ha, quel senso di cura verso gli altri, di attenzione che scaturisce da una propria esperienza di fede vissuta.
Vale più di tante parole, di tante catechesi fatte in un certo modo, perché quando i ragazzi vedono l’impegno dell’adulto, del fratello maggiore, l’interesse verso la loro vita e la testimonianza di fede credibile nelle scelte della propria vita, tutto questo ha una grande efficacia. Per cui al di là delle forme, che noi crediamo essere sempre quelle dell’animazione, il linguaggio del gioco, anche il linguaggio moderno dei multimedia perché dobbiamo assumere un linguaggio a livello dei ragazzi e dei bambini di oggi, ciò che conta è il contenuto.
Siete presenti in molte parrocchie a Roma?
Oltre 50 parrocchie seguono, si appoggiano, chiedono supporto e accompagnamento al Centro oratori romani per quelle che sono le loro attività di oratorio o per la formazione dei loro animatori e catechisti: il nostro programma è sempre stato investire su una formazione di qualità che prepari animatori e catechisti alla sfida della catechesi e dell’incontro con i bambini, quindi ci siamo spesso concentrati su questo tipo di supporto.Ora ci stiamo dirigendo sempre più verso un vero e proprio accompagnamento dei territori, con la formazione di educatori, leader, catechisti e diversi oratori di una particolare Prefettura o zona vengono accompagnati ad attuare delle azioni pastorali insieme, perché ci siamo accorti che lavorare in rete diventa sicuramente più sostenibile e ha una maggiore efficacia, perché poi coinvolge di più i giovani in dinamiche trasversali di chiesa.Bisogna alzare un po’ il naso dalla propria parrocchia e cercare di mettersi in rete e di unire le forze, perché siamo sempre meno, i ragazzi sono sempre di meno e aiutarsi vicendevolmente su un unico territorio dove magari a volte insistono più parrocchie, ma che parlano a una stessa comunità sociale e territoriale, aiuta. Già in 7-8 Prefetture di Roma sono sorti questi staff territoriali che noi ci premuriamo di accompagnare.
(Foto Archivio Cor)
Quali sono le vostre principali attività quindi?
La principale attività è occuparsi della formazione dei catechisti,
c’è poi l’esperienza estiva residenziale, che coinvolge il maggior numero dei ragazzi dai 15 fino ai 25 anni e poi ci sono esperienze disseminate nel corso dell’anno, oltre a eventi di preghiera, di celebrazioni o feste. Inoltre, come dicevo prima, accompagniamo le attività dei diversi oratori attraverso la creazione di staff più vicini sul territorio in cui l’associazione si sposta dalla sua sede e va ad ascoltare e ad aiutare la promozione delle attività direttamente in loco, quindi supportando i responsabili di oratorio, i catechisti di una parrocchia a svolgere le loro attività, fornendo sussidi, incontri di formazione, materiali, soldi anche attraverso bandi che possano finanziare i progetti, insomma il supporto è di ogni genere.
La Chiesa celebra ora proprio il Giubileo dei catechisti…
Ci godremo questo momento come un dono, parteciperemo e ascolteremo con grande attenzione le parole del Santo Padre.
Quest’anno cade il nostro ottantesimo anniversario di fondazione e vivremo un Giubileo associativo il 18 ottobre.
(Foto Archivio Cor)
Lei è stato catechista nella parrocchia di nella parrocchia di Regina Mundi a Torre Spaccata…
Sì, in quella parrocchia ho vissuto prima l’oratorio da bambino e da ragazzo e poi da catechista e da responsabile. Poi dopo anche nello stesso quartiere, alla parrocchia a fianco, perché bisogna comunicare quantomeno con i vicini e poi ho vissuto altre esperienze missionarie dove il Cor mi ha mandato a fare servizio, ad attivare degli oratori nella diocesi. La prima esperienza è stata quella più significativa nel percorso della mia vita, perché l’oratorio è stato il luogo dove ho trovato la mia comunità di fede e il mio riferimento attraverso catechisti che sono stati, per me, testimoni credibili. E poi ho cercato di mettermi al servizio, coordinando l’oratorio insieme agli amici con cui eravamo cresciuti, quindi una bellissima esperienza tuttora.Posso dire che sono la mia comunità di riferimento e gli amici di una vita, quindi ho conosciuto la fede in oratorio e da lì non mi sono più staccato.
(Foto Archivio Cor)
Secondo lei, quali sono le sfide più grandi per un catechista oggi?
Credo che una delle più grandi sfide, per noi che dobbiamo parlare o, comunque, incontrare e ascoltare, sia uscire dai nostri schemi. Non possiamo rispondere a questa emergenza di valori e anche di perdita del senso della fede con le solite ricette. Quindi,
penso che la sfida più grande sia avere il coraggio di cambiare.
È cambiata la società, è cambiato il modo di vivere dei bambini ed è inutile fare i nostalgici e presentare ancora il catechismo come l’ennesima lezione di nozioni. A mio avviso, bisogna avere il coraggio di cambiare, puntare su esperienze significative che partono dalla vita dei ragazzi e che soprattutto si ascoltino anche i loro desideri più profondi. Non dobbiamo dare nulla per scontato, perché anche fare un segno di croce e recitare un Padre nostro non è più scontato. La potenza liturgica deve esprimersi con dei segni che siano però compresi dai bambini e dai ragazzi. Dobbiamo uscire da un approccio moralizzante. Quello che vedo nelle parrocchie è che siamo ancorati ancora a una forma di iniziazione cristiana e di catechismo a mio avviso un po’ desueta. Io tiro l’acqua al mio mulino: a mio avviso,
l’oratorio è un linguaggio che oggi potrebbe essere molto più attuale di quello che si pensa, perché è informale e permette un dialogo con il mondo reale, con il mondo che vivono i ragazzi.