Oltre duemila ragazzi con disabilità al Giubileo dei Giovani

Di Riccardo Benotti

Esterno giorno, piazza di Cinecittà. Un vento leggero mitiga il sole di questa estate romana. Alle ore 7.30 arriva il primo pullman di giovani con disabilità partito dalla Francia: oltre cento ragazzi, di cui una ventina in carrozzina, accompagnati da educatori e volontari. È l’inizio di un pellegrinaggio collettivo che, al culmine del Giubileo dei giovani, porterà

(Foto Calvarese/SIR)

alla veglia di Tor Vergata con Papa Leone XIV centinaia di migliaia di partecipanti, tra i quali oltre duemila con disabilità fisiche, psichiche o sensoriali.

Le navette gialle fanno la spola tra i marciapiedi; alcune sono appena rientrate, altre attendono i prossimi gruppi. Attorno, zaini posati a terra, carrozzine in sosta, volontari con i giubbotti, ragazzi che si orientano, si danno appuntamento per il ritorno. L’organizzazione è solida, costruita anche per chi ha esigenze specifiche: parcheggi riservati, mezzi attrezzati, presenza attiva dell’Unitalsi e della Protezione civile.

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Storie che camminano
Molti sono giunti qui sulla spianata di Tor Vergata da lontano. Con disabilità evidenti o invisibili, con storie personali complesse, con il desiderio profondo di esserci. Come Elena, mamma di Gloria, una ragazza di 29 anni con disabilità grave, collegata a un respiratore. “Quando il Centro volontari della sofferenza ci ha detto che organizzava un pullman attrezzato, non me lo sono fatta dire due volte”, racconta. Partite da Montichiari, hanno compiuto un pellegrinaggio sulle orme del beato Luigi Novarese: “Gloria riesce a stare seduta solo per poche ore, poi chiede di essere sdraiata. Invece qui è rimasta sempre sulla sedia, con il sorriso sulle labbra. Ho fatto la scelta giusta da madre”. Dovevano alloggiare in hotel, ma all’ultimo hanno deciso di restare con il gruppo anche per la notte:

“Mi hanno garantito la corrente per il ventilatore e un sollevatore. Mi sono messa a piangere. E ho detto: restiamo”.

(Foto Calvarese/SIR)

Il dono di una fragilità accolta
Con loro c’è anche Nicola Zambaiti, 40 anni, di Bergamo. Da trent’anni fa parte del Cvs: “Abbiamo ripercorso le tappe del nostro fondatore, da Casale Monferrato a Roma. Stamattina siamo passati per la Porta santa di San Paolo. Un’esperienza intensa”. Nicola è nato prematuro, con tetraparesi spastica: “Non cammino, muovo a fatica gli arti, ma ho raggiunto tutti gli obiettivi che mi ero posto.

La mia disabilità non è una malattia: è una caratteristica.

E grazie al carisma del beato Novarese ho imparato a offrirla come parte della mia missione. Non sono bigotto, mi arrabbio spesso. Ma poi Dio ha sempre ragione. E il cerchio si chiude”.

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La fede che trasforma
Nella stessa carovana di storie c’è Maria, madre di Sara, una ragazza con mutazione genetica. “Quando è nata, nessuno ci disse nulla. Solo col tempo ho capito che c’era qualcosa che non andava. Dopo tanti ricoveri, è arrivata la diagnosi. Mio marito all’inizio era più distante. Poi è venuto a Lourdes – rivela – e tutto è cambiato. Dice sempre che

i miracoli non sono solo quelli in cui ti alzi in piedi. Ci sono anche quelli dello spirito”.

Maria parla con compostezza e gratitudine: “Senza Sara non avrei mai conosciuto il carisma del beato Novarese. Avrei continuato la mia vita di preghiera, certo, ma senza comprendere che la sofferenza, se offerta, può diventare dono per qualcuno”.

(Foto Calvarese/SIR)

Un musical per camminare insieme
Nel gruppo proveniente da Pistoia c’è anche la fondazione Maic. Il presidente don Diego Pancaldo racconta: “Abbiamo sempre partecipato, portando giovani e giovani con disabilità. Quest’anno siamo in 80, e abbiamo preparato un musical su Edith Stein, che abbiamo rappresentato prima a Pistoia e poi a Roma. I ragazzi del liceo Forteguerri e quelli della fondazione, disabili e non, hanno lavorato insieme su una figura di grande spessore”. Un’esperienza che ha fatto emergere uno scambio reciproco:

“C’è una ricchezza che passa da una parte all’altra. I santi ci aiutano ad andare in profondità.

Seguiamo oltre 2.500 persone con disabilità fisiche, intellettive e forme di autismo. Abbiamo anche residenze, centri diurni, case famiglia, un centro per bambini e una struttura estiva per l’accoglienza integrata”. Poi aggiunge: “Dopo l’incontro di giovedì in piazza San Pietro, tanti si sono commossi. Da allora non ho mai smesso di confessare. Una grazia non scontata”.

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Le parole che diventano luce
A Tor Vergata le carrozzine si confondono in mezzo agli zaini. Tra i ragazzi c’è Elia, 18 anni, apprendista in un’azienda agricola del bresciano: “Sono stato adottato nel 2007. In famiglia siamo in quattro. Mia sorella Betty è albina. In parrocchia abbiamo lavorato molto sull’inclusione, per aiutare gli altri ragazzi a capire cosa significa. Betty canta anche nel coro. È forte. Avrei voluto fosse qui con me”. Ogni anno, la famiglia celebra il giorno dell’adozione con una festa speciale: “Sono fiero della mia storia”. In oratorio Elia è una presenza viva e coinvolgente. Guarda la folla con emozione: “Non pensavo di vedere così tante persone insieme. È una cosa che ti cambia dentro”. Romeo, 29 anni, con sindrome di Down, lavora come cuoco in una casa di riposo e pratica canottaggio, la sua grande passione: “Sì, sono forte”, dice sorridendo. È arrivato a Roma il lunedì mattina con la sua diocesi, partecipando a tutti gli appuntamenti ufficiali e all’incontro delle Chiese toscane. “Abbiamo girato parecchio, anche se oggi ci siamo svegliati presto per venire qui a Tor Vergata. È lontano dalla città, ma ne vale la pena”. L’energia della giornata non lo spaventa:

“Mi piace essere qui, ci sono tanti ragazzi. Spero che il Papa passi vicino a noi”. Nello sguardo, una luce viva: l’attesa, la fede, il desiderio di esserci.

(Foto Calvarese/SIR)

Dal Medio Oriente con speranza
Dalla Siria, dal Libano, dall’Iraq arriva invece il gruppo dei giovani armeni. Sono circa centoventi, alcuni provenienti dal Collegio armeno di Roma, altri rifugiati in Germania o a Beirut. Li guida Milad, giovane diacono: “È un viaggio dentro di noi, perché veniamo da terre segnate dalla guerra. Ci ridà speranza. I ragazzi con disabilità sono parte della nostra comunità. Uno di loro, Fadi, è venuto dalla Germania.

È sempre sorridente, cresciuto nella fede. Vederlo qui, accanto al Papa, è un segno per tutti noi”.

La comunità armena ha vissuto anche un’ora di adorazione in suffragio delle vittime dell’esplosione del porto di Beirut: “Pregare insieme, nella città dei martiri e degli apostoli, ci ha fatto sentire un popolo unito, oltre le divisioni dei riti e delle lingue”.

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