
Di Marco Testi
La sua caduta da un cavallo che non è esplicitamente citato negli Atti degli Apostoli è una delle tracce più forti di Paolo di Tarso nell’arte. Basterebbe recarsi nella Cappella Paolina in Vaticano per ammirare la celebre Conversione, resa ancora più interessante per il fatto che le sembianze dell’apostolo delle genti sono quelle del genio dell’arte rinascimentale: questa sorta di autoritratto all’interno di una scena più vasta, in realtà, secondo alcuni era stato dettato da un momento di profonda crisi di Michelangelo.
Paolo è un uomo che è stato folgorato da una luce che gli donerà una nuova visione del mondo e del divino.
E siamo nella stessa Cappella dove è rappresentato il martirio dell’altro grande protagonista dei primi passi della Chiesa, il suo primo pontefice, Pietro il pescatore.
Anche Paolo, nel suo ruolo di inesausto viaggiatore, propagatore della nuova parola che sta cambiando il mondo, è protagonista della storia dell’arte, e non solo: come vedremo anche la letteratura lo ha posto al centro di alcune narrazioni.
Ma torniamo alla sua presenza nell’arte: cinquant’anni dopo, un altro controverso artista – per il caratteraccio, non per il suo genio – sempre un Michelangelo, lui però Merisi, consegnato alla leggenda come Caravaggio, rende Roma sede di un altro capolavoro:a Santa Maria del Popolo, Paolo è ancora una volta raffigurato ai piedi del cavallo, investito da una luce soprannaturale, resa magistralmente dal grande artista.
Ne avremmo di cose da dire della fascinazione di Saulo nell’arte, compresa quella delle origini, e della sua presenza anche nei codici, ad esempio in una miniatura conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana, copia del nono secolo di un originale più antico di tre secoli, con la presenza del libro, uno dei simboli paolini, insieme alla spada del martirio.
In letteratura, ma anche in filosofia, le cose vanno in modo diverso: Nietzsche, il filosofo del superuomo, che sarebbe meglio chiamare oltre-uomo, gli imputa la “colpevole” diffusione di una visione del mondo di amore e servizio all’altro, e da questa visione dell’opera paolina prende il via una sommaria, talvolta ridicola, accusa di essere praticamente il solo responsabile della penetrazione della Parola del Cristo nelle antiche civiltà pagane.
Al contrario di Nietzsche, un antico ribelle e iconoclasta, Giovanni Papini, protagonista del nostro Novecento, fa di Paolo il portatore di una rivoluzionaria concezione del mondo in cui non contano più l’osservanza ossessiva delle leggi o una cultura fine a se stessa, ma l’amore e il bene per l’altro. E non è un caso che uno dei più grandi e profondi poeti del secolo breve, Mario Luzi, lo abbia visto come uno dei demolitori di un materialismo e razionalismo fini a se stessi e relitti di una visione del mondo disperata. Al contrario,
Paolo pone l’amore per l’altro al centro della propria predicazione.
Anche uno dei più importanti scrittori polacchi, Jan Dobraczyński, ha fatto di Paolo, in “La spada santa”, il portatore di una nuova, “scandalosa” visione della vita in cui al centro non erano più il piacere e il potere, ma l’amore sconfinato per gli altri e per un uomo morto in croce. Un nuovo modo di vedere l’esistenza che i pagani e gli intellettuali di allora hanno interpretato come una minaccia.
Anche uno dei protagonisti dei Focolari di Chiara Lubich, il tiburtino Igino Giordani, ha dedicato a Paolo una biografia, datata 1939: “Paolo, apostolo martire”. Qui l’autore della “Città Murata” spinge la sua ricerca fino a ipotizzare lontane radici platoniche di un uomo “scandalosamente” nuovo.
Un uomo che combattendo la sua battaglia per la nuova Parola – e contro parole fini a se stesse -, ha affascinato e continua ad affascinare il pensiero e l’arte d’Occidente.
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