
Di Massimiliano Padula
Sacerdote da 32 anni, don Paolo Asolan, trevigiano di origine, è ormai un prete romano. Già incaricato diocesano per la formazione permanente del clero, ora il suo ministero abbraccia e integra la pastorale del pellegrinaggio, lo studio e la ricerca accademica e la rettoria di sant’Agata in Trastevere. Presiede l’Istituto Pastorale “Redemptor hominis” della Pontificia Università Lateranense, dove insegna Teologia pastorale, disciplina originalmente connessa in quell’Istituto con la Dottrina sociale della Chiesa, che ha ispirato il nuovo Papa fin dalla scelta del suo nome petrino: Leone XIV, successore cioè del grande Papa della Rerum Novarum.
Don Asolan, perché la Dottrina sociale della Chiesa è così profondamente legata alle prassi ecclesiali?
Lo è per una serie di ragioni; ne possiamo richiamare qui solo qualcuna. Innanzitutto la Dsc si occupa di temi che possiamo definire di “ordine creaturale”: il lavoro, il creato, la vita sociale dell’essere umano, la pace, l’economia, il potere. Ovvero dell’ottanta per cento di ciò che occupa la concreta giornata di ognuno, credente o non credente che sia. Anche i cristiani impiegano il loro tempo a dare forma cristiana a questi compiti che riguardano l’uomo in quanto uomo. Dunque sono parte dell’azione ecclesiale perché i cristiani vivono tutto questo. Quando ci occupiamo di Dsc non trattiamo qualcosa che dobbiamo studiare dall’esterno per poi andarlo ad evangelizzare, ma di realtà che stiamo già vivendo, che costituiscono la nostra vita, il nostro quotidiano impegno di uomini e donne.
E poi c’è il significato cristiano, evangelico, che tutto questo è chiamato ad avere, ossia la forma cristiana che questa dimensione creaturale della vita può assumere nel momento in cui la si evangelizza, quando si porta all’evidenza la sua origine in Cristo e la forma originale che viene ad assumere in Lui, il suo senso ultimo, la sua verità. Proprio in campi come questi si gioca la santità specialmente dei fedeli laici.
Infine, mi piace citare Giovanni Paolo II quando diceva che la DSC è “parte integrante della Nuova evangelizzazione” ed è così anche per un’altra necessità interna: la conversione interiore, personale, senza il cambiamento delle strutture è puro idealismo; così come la conversione delle strutture senza la conversione personale sarebbe puro materialismo.
Professore, Papa Prevost è intervenuto più volte su temi sociali, attingendo certamente dal patrimonio magisteriale del passato, ma intercettando prospettive nuove. Come, secondo lei, Leone attualizzerà il pensiero sociale cristiano?
È passato poco tempo per farsi un’idea completa del pensiero sociale di Robert Prevost e come questo possa determinare anche la pastorale sociale del nuovo pontificato. Posso però immaginare una ripresa dei temi sociali di papa Francesco e una loro rilevanza dovuta anche all’esperienza pastorale che ha maturato in Perù e dunque in seno alla Celam. Spero che papa Leone curi molto la Dsc non solo come capitolo della morale speciale, o come esortazione retorica, ma anche come ambito dell’azione ecclesiale ordinaria, così come lo intendiamo nel nostro Istituto pastorale. Ossia con quella visione profondamente unitaria e unificante – che non separa teologia biblica, patristica, magistero, vita nello Spirito, comunione ecclesiale – e che finora stiamo imparando a conoscere anche ascoltando i suoi interventi.
Da queste prime settimane di pontificato due, tra le istanze maggiormente sottolineate dal Papa, sono la pace e l’intelligenza artificiale. Il suo Istituto, essendo parte di quella che a titolo speciale è l’università del Papa, accoglie queste questioni? Se sì, in che modo?
La pace, anche per le terribili congiunture che stiamo vivendo, è un tema decisamente centrale. La sfida di una prassi riconciliatrice è il cuore stesso della vita – anche sacramentale – di una comunità cristiana. I nostri studenti ucraini ce lo ricordano pressoché in tutte le loro tesi di licenza. L’intelligenza artificiale rimane un cantiere aperto, ancora da elaborare e sistematizzare. L’interesse che il Papa ha manifestato per le implicazioni che essa ha sia nell’antropologia che nella ristrutturazione del mercato del lavoro naturalmente ci interpellano, chiamando il nostro Istituto a un rinnovato dialogo interdisciplinare.
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