“La speranza interpreta l’esperienza se c’è una attesa”.

Lo ha affermato Carmelo Dotolo, docente di Teologia delle religioni presso la Pontificia Università Urbaniana, intervenendo alla seconda giornata della 74ª Settimana di aggiornamento di aggiornamento pastorale, organizzata dal Centro di orientamento pastorale (Cop) sul tema “Aprire un varco alla speranza”. Evidenziando la complessità che abita l’esistenza odierna e la velocità (o rapidità di valutazione) che caratterizza i nostri processi, il docente ha offerto alcune coordinate interpretative. Anzitutto alcune peculiarità della speranza, per rimettersi in discussione. Speranza – ha sottolineato – è anzitutto definire la propria identità in relazione: apre agli altri come compagni di viaggio. La speranza, poi, alimenta il quotidiano laddove c’è il rischio: è sempre connessa con la paura. È capacità di futuro in termini trasformativi, di riforma, ovvero di reazione ragionata al nostro modo di approcciare alla realtà. Implica una salvaguardia delle differenze: queste non sono ostacolo ma confine in cui elaboriamo cultura. Dotolo ha poi rilevato che “la speranza si introduce tra lo spazio dell’esperienza e l’orizzonte delle attese. Fa da ponte tra esperienza storica culturale quotidiana ed alimenta attese diverse dallo spazio dell’esperienza. Di fatto quando questo spazio è insignificante nascono le attese”. Per il docente, “occorre dare un nome alle attese, in un momento in cui le parole non riescono a dare senso… dove c’è scissione tra significante e significato. Proviamo a pensare alle parole del nostro quotidiano. Possiamo vedere come il senso sia polimorfo… pensiamo alla parola amore”. Tre i luoghi antropologici individuati per questa esperienza: il web, come luogo antropologico perché il digitale è esperienza di una qualche forma di “trascendenza”; la ricerca del sacro, capace di produrre soggettività; il desiderio di spiritualità che produca un cambiamento.

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