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Di Riccardo Benotti

“Papa Leone XIV non ha cercato visibilità. Ha scelto la presenza discreta”. Per padre Anselm Grün, monaco benedettino e tra gli autori di riferimento per il mondo spirituale contemporaneo, il nuovo Pontefice sta indicando una direzione chiara: fare spazio all’essenziale.
“In ogni autentica forma di autorità, il sapersi fare da parte è un atto salutare”, osserva. È nel silenzio, spiega, che si impara ad ascoltare ciò che conta. Da lì nascono parole capaci di toccare davvero, oggi più che mai, in un tempo travolto da troppe parole.

Padre Grün, nei primi giorni del pontificato, Leone XIV ha scelto una forma di comunicazione trattenuta: silenzio profondo, poche parole, gesti semplici ma espressivi. Si può parlare di una “spiritualità del farsi da parte”?
Papa Leone non ha voluto rappresentare sé stesso. È stato semplicemente presente. Il farsi da parte è qualcosa di salutare per ogni autorità. Si percepisce che non si mette al centro, ma nella quiete si apre all’ascolto di ciò che è essenziale. E da quel silenzio emergono parole che riescono a toccare davvero le persone. Proprio queste parole sobrie rappresentano un messaggio importante per noi oggi, perché viviamo sommersi da una valanga di parole.

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Il nome scelto non veniva utilizzato da oltre un secolo. Evoca forza interiore, vigilanza, ma anche continuità e tradizione ecclesiale. Che significato spirituale può avere oggi un nome così carico di storia?
Il nome Leone esprime coraggio e chiarezza. Il leone sa ciò che vuole. È anche simbolo di lealtà e di attenzione alle relazioni. L’immagine del leone è dunque adatta a

un Papa che sa dove vuole andare, che è capace di portare avanti ciò che ritiene giusto, ma che al tempo stesso dà grande valore al rapporto con le persone.

Se guardo alla storia, penso a due pontefici: Leone Magno, che fu un grande teologo e al tempo stesso affrontò con coraggio il re degli Unni Attila, offrendo anche un segnale politico. E poi Leone XIII, che scrisse la prima enciclica sociale. La giustizia in un mondo globalizzato è certamente una preoccupazione anche per il nuovo Papa.

Chi è Anselm Grün

Nato il 14 gennaio 1945 a Junkershausen con il nome di Wilhelm Grün, padre Anselm Grün è monaco benedettino dell’abbazia di Münsterschwarzach, in Baviera, dove vive tuttora. Dopo gli studi teologici a Sant’Anselmo, a Roma, ha conseguito il dottorato nel 1974 e si è specializzato in economia a Norimberga. Dal 1977 al 2013 è stato cellerario dell’abbazia. Ha pubblicato il suo primo libro nel 1979 e nel 1991 ha fondato, con Wunibald Müller, la Recollectio-Haus, centro di accoglienza e discernimento di cui è ancora guida. Nel 2007 ha ricevuto la Croce al merito federale e nel 2011 l’Ordine al merito della Baviera. Con il suo stile essenziale e profondo, è una delle voci spirituali più ascoltate in Europa.

Tra le parole più frequenti in questo primo mese c’è la “cura”: verso l’altro, la comunità, la creazione. Lei ha scritto testi importanti sull’arte del prendersi cura, come via spirituale e umana. Riconosce in questa insistenza del Papa un’intuizione autentica per la guida spirituale oggi?
La cura per le persone – ma anche per la natura – nasce dall’amore per ciò che vive. E si esprime in una profonda compassione. Prima viene la compassione per ogni essere vivente. Se provo compassione per qualcuno, cerco anche di prendermene cura nel miglior modo possibile. Compassione e cura sono oggi atteggiamenti fondamentali per chiunque eserciti un ruolo di guida. Se il Papa vive questi valori, allora è un riferimento credibile per tutte le figure di responsabilità, anche in politica o nell’economia.

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Il nuovo Papa ha vissuto fin da subito gesti quotidiani e fraterni, privi di retorica: celebrazioni semplici, pranzi con gli agostiniani, attenzione concreta alla vita condivisa. Nella sua esperienza monastica e pastorale, quanto è importante che una guida spirituale riconosca e sostenga la quotidianità vissuta insieme?
Chi guida non dovrebbe elevarsi al di sopra delle persone, né chiudersi in una torre d’avorio. Deve condividere la vita quotidiana con gli altri. Solo così può capire davvero di cosa hanno bisogno. Un compito fondamentale di ogni guida è generare comunità.

Il Papa, come pontefice, è il costruttore di ponti. Oggi è essenziale costruire ponti tra le persone, tra i popoli, tra le diverse correnti nella Chiesa e nella società.

Papa Leone ha chiaramente compreso questa missione e l’ha già cominciata a incarnare nei primi passi del suo pontificato.

Lei ha scritto che ogni vera autorità spirituale nasce dall’umiltà, non dalla volontà di comandare. In questo primo mese ha riconosciuto in Papa Leone XIV i segni di un’autorità interiore fondata sull’umiltà?
Per san Benedetto, l’umiltà è l’atteggiamento fondamentale del cellerario, cioè di chi guida l’economia del monastero. Ma è essenziale anche per l’abate: deve essere sempre consapevole delle proprie fragilità. L’umiltà ci preserva dal bisogno di metterci in mostra e dal sentirci superiori agli altri. È ciò che ci permette di vivere la responsabilità come servizio.

Servire significa risvegliare la vita nelle persone, far emergere ciò che è già in loro.

Quando il potere è esercitato in spirito di umiltà, diventa una benedizione. Ma il potere contiene sempre anche il rischio di essere usato per schiacciare gli altri e innalzare sé stessi. Papa Leone, nel suo modo di esercitare il ministero, mostra questa umiltà. Per questo possiamo confidare che il suo servizio sarà una benedizione per molte persone e anche per la nostra casa comune.

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