
Di Riccardo Benotti
“Gesù, ti ringrazio per aver regalato un’altra notte a me e alla mia famiglia… Liberaci dal maligno che si è infiltrato in questa casa”. È una delle tante preghiere scritte a mano nel libro delle intenzioni custodito nella parrocchia di Santa Rita a Tor Bella Monaca. Parole semplici, cariche di dolore e di affidamento, lasciate da una donna davanti alla statua della santa agostiniana. Parole che raccontano più di molte analisi. In questa porzione di Roma difficile da raccontare senza cadere nei luoghi comuni, padre Francesco Maria Giuliani vive da ottobre. Agostiniano, romano, sacerdote dal 2003, ha trovato una comunità che si muove su due piani:

(Foto Benotti/SIR)
“Ci sono le case costruite decenni fa con sacrificio, con gente che si è aiutata a vicenda. Una borgata autentica, dove ancora oggi si respira una fraternità concreta. Dall’altra parte, le case popolari: spazi di forte disagio, dove è stata ‘ammassata’ gente con un passato difficile e poca possibilità di scelta. In alcune strade la percentuale di arresti domiciliari è altissima. Eppure io non ho mai avuto problemi. Qui si vive una normalità che sorprende”.
La parrocchia è giovane: meno di mezzo secolo di storia. Ma è radicata nel quartiere, e ogni anno la festa di Santa Rita, con i suoi elementi popolari e conviviali, raccoglie intorno alla chiesa un’intera borgata: “Qualcuno può storcere il naso – commenta – ma per me è pre-evangelizzazione. La gente ha una fede fragile. Non possiamo chiederle di partire dalla vetta. Dobbiamo accoglierla dov’è, farla sentire a casa”.

(Foto Calvarese/SIR)
Servizi, catechismo e una vetrata che parla
Attorno alla parrocchia ruota una rete viva. La Caritas assiste con regolarità decine di famiglie, grazie al sostegno della diocesi, dell’Elemosineria apostolica e soprattutto dei fedeli. “Sono i parrocchiani stessi che contribuiscono, che portano, che si danno da fare. Questo dice molto”, osserva padre Giuliani. Il catechismo coinvolge numerosi bambini, molti dei quali figli di immigrati: “Parli in italiano ma non sempre ti capiscono. Ma ci sono. Vengono. La comunità c’è”. Il primo compito del parroco, spiega, è custodire chi c’è, creare un ambiente vivo, positivo, bello.
“Non per chiudersi, ma perché una chiesa viva attrae. È quello che accadeva con gli apostoli: la gente si avvicinava perché vedeva la comunione tra loro”
- (Foto Calvarese/SIR)
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Anche la bellezza, in questo percorso, ha un ruolo: “La grande vetrata sopra l’altare – racconta – è stata disegnata da padre Stefano Pigini, agostiniano che ha dedicato la vita all’arte. È un segno che educa lo sguardo e accompagna la preghiera”. La spiritualità agostiniana può offrire una bussola: “Una comunione interiore, radicata nella preghiera, nello studio, nella vita comunitaria. Non si tratta di essere solo buoni compagni. Si tratta di mettere in comune ciò che siamo e ciò che ci manca. Agostino ci chiede di abitare insieme la fatica dell’uomo di oggi”. In una realtà come Tor Bella Monaca, abitare le ferite significa non scandalizzarsi. “La Chiesa deve essere più madre che maestra. Le persone hanno paura di sentirsi giudicate. Di fronte a un prete si sentono a disagio. E allora prima dell’insegnamento, viene l’amore. Solo dopo puoi accompagnare e annunciare. Ma se parti dal giudizio, ti chiudi la porta”.
- (Foto Calvarese/SIR)
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Un Papa agostiniano per tempi complessi
La spiritualità agostiniana, prosegue, è quanto mai necessaria in un tempo segnato dal disincanto e dalla frammentazione. “Sant’Agostino – dice padre Giuliani – ti legge l’anima. Esprime ciò che tu stesso non riesci a dire. E per questo è universale. Una volta un confratello ha detto: ‘Agostino è della Chiesa, non dell’ordine. Come Dante è dell’Italia, non dei fiorentini’. Per questo, Papa Leone XIV non è il Papa degli agostiniani. È un Papa agostiniano. Cioè un uomo che cerca la comunione più del conflitto, che non ha bisogno di mostrarsi efficiente, ma autentico. Una figura capace di ascolto e di vicinanza. Una spiritualità che non teme la complessità, ma la attraversa.
Non è un caso – aggiunge – se lo Spirito ha chiamato oggi un Papa agostiniano. È il segno di un tempo che chiede meno rigidità e più prossimità”.
In parrocchia, padre Giuliani non è solo: la comunità religiosa è formata da cinque agostiniani, di età e provenienze diverse. “Non c’è un parroco solo – conclude –. C’è una comunità che serve insieme. Questo è il nostro stile. E forse è anche la risposta più forte a un tempo individualista. Camminare insieme, nonostante tutto, è ancora possibile. E resta la sfida più bella”.
Michael
Bravo.