
Di M. Chiara Biagioni
10 milioni di euro in meno quest’anno rispetto al 2024. Diminuiscono in maniera importante gli aiuti verso la Caritas-Spes Ucraina. Dall’inizio della guerra, e cioè dal febbraio 2022 ad oggi, l’organizzazione della Chiesa cattolica ha potuto contare su una somma complessiva di oltre 45 milioni di euro. Quest’anno però il budget è letteralmente crollato. Per tutto il 2025 gli operatori possono contare “solo” su una previsione di 6,6 milioni di euro. L’anno precedente, nel 2024, era di 16,5 milioni e nel 2023, di quasi 15 milioni. “E’ certo che nel mondo ci sono tante emergenze. Siamo stati aiutati molto all’inizio dell’aggressione russa su vasta scala ma questi aiuti stanno subendo purtroppo un calo drastico”. A raccontare le difficoltà finanziare dell’organizzazione è mons. Oleksandr Yazlovetskyi, vescovo ausiliare di Kiev-Zhytomyr e presidente di Caritas-Spes. “Anche le fondazioni religiose che operano sul nostro territorio ed hanno dato un contributo fondamentale nell’aiuto alla popolazione all’inizio della guerra – aggiunge il vescovo -, adesso non sono più capaci di rispondere a tutte necessità”.

Mons. Oleksandr Yazlovetskyi (Foto Rkc)
Diminuiscono gli aiuti ma l’emergenza umanitaria come sta evolvendo?
La guerra sta continuando. I russi stanno avanzando ogni giorno, occupando qualche nuovo villaggio. La gente scappa da questi territori. Abbiamo quindi ancora tanti profughi di guerra. Prima la gente scappava senza niente, solo con qualche borsa in mano. Ora sono più organizzati, raccolgono le loro cose, però la situazione è la stessa. Arrivano nelle grandi città. C’è chi si ferma a Kiev. Chi decide di andare più avanti, in Ucraina occidentale. Non vanno più in Europa. Ci sono Paesi che chiedono agli ucraini di tornare a casa. In altri dicono che non sono più previsti per loro degli aiuti. In altri ancora non danno più il permesso per restare. La gente sfollata sente tutte queste voci e decide di rimanere in Ucraina. Arrivano nelle grandi città con i pochissimi risparmi che hanno. Prendono in affitto appartamenti, vanno in giro a cercare il lavoro, cercano di arrangiarsi. Ma le necessità crescono ogni giorno.

Mukachevo, anziani alla mensa del Centro Santa Elisabetta
Quindi sono loro, gli sfollati, a bussare alle vostre porte?
Non solo. A Zhytomyr, abbiamo avviato una cucina sociale. Cominciano ad arrivare non più solo gli sfollati o i poveri ma anche le persone che prima stavano bene e che ora fanno fatica ad andare avanti. Sono insegnanti, gente che aveva un lavoro e che ora l’ha perso.
Sono persone che non diresti mai che hanno problemi ma quando parli con loro, tutti dicono che non ce la fanno ad andare avanti.

Kharkiv, distribuzione in parrocchia di pasti caldi (foto suor Olexia)
Insomma, non si muore solo di guerra ma anche di povertà?
Quando arrivano i rappresentanti delle diverse organizzazioni che ci aiutano, rimangono colpiti nel vedere che i negozi funzionano ancora e che all’apparenza non manca niente. Ma è la gente ad essere cambiata. Si fa fatica a comprare le cose, anche quelle più necessarie, perché non si hanno soldi. I prezzi crescono e gli stipendi rimangono quelli che sono.
Come state reagendo a questa situazione?
Come Caritas stiamo continuando a lavorare su progetti di ristrutturazione delle case bombardate così come proseguono gli aiuti alla popolazione con voucher e prodotti alimentari. Però ci sono nuove sfide da affrontare.
Tra queste ci sono i tanti soldati che dal fronte tornano a casa perché sono feriti o mutilati. Alcuni tornano con profondi traumi e problemi psicologici.
Li rimandano a casa solo perché non possono più combattere. Per cui anche come Caritas siamo chiamati a realizzare nuovi progetti per queste famiglie.
Chi sono le fasce della popolazione che stanno risentendo di più della crisi?
Direi le donne. Conosco tante famiglie nelle quali tutti gli uomini sono andati a combattere sul fronte. Sono quindi le donne a portare avanti le cose e a doversi arrangiare per farlo. Anche loro però hanno le loro crisi ed hanno bisogno di aiuto psicologico e spirituale. Ma gli psicologi mancano. Oltre tutto chi opera in questo settore, manca di formazione professionale. L’altra ferita di questa guerra è la famiglia. Secondo le nuove statistiche, sono quasi 8 milioni gli ucraini che vivono fuori dall’Ucraina e la maggior parte sono donne. Sono ormai tre anni che vivono lontano da casa, non hanno più contatto con i loro mariti al fronte e le famiglie sono separate.
In queste condizioni, sono aumentati i divorzi che si possono fare anche online, accedendo semplicemente ad una applicazione. La famiglia in Ucraina è ferita.

Stazione dei bus a Mukachevo, ci sono solo donne a mettersi in viaggio
Vuole fare un appello?
Siamo molto contenti di Papa Leone XIV che fin dall’inizio ha offerto la disponibilità sua e della Santa Sede per le negoziazioni. Il popolo ucraino ha manifestato subito un grande rispetto e una grande gratitudine per il Papa. C’è un proverbio che dice: “il buio più profondo arriva prima dell’alba”. In questo momento noi ci sentiamo così. Stanno bombardando le nostre città con un’intensità forse mai vista prima. E’ come se stessimo vivendo l’ultimo buio ma sappiamo che qualcosa di buono, con l’aiuto di Dio, sta nascendo.
Il nostro appello è sempre lo stesso: non dimenticateci e non dimenticate di pregare per la pace.
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