
Di Gigliola Alfaro
Una grande famiglia che va da nonna Michela, di 91 anni, con una frattura omerale ed altre patologie, alla nipotina, Maria Rosaria, nata il 22 maggio 2025. Una famiglia, quella di Michele Resta Corrado, 65 anni appena compiuti, e di sua moglie Rita, che, oltre ai quattro figli – Giuseppe, Miriam, Agnese ed Eugenio – e ai due nipoti (figli di Giuseppe), ha voluto allargare il cuore ed accogliere persone con disabilità intellettive. Al momento gli accolti sono sette nella comunità alloggio Kenosis, ospitata, grazie a un comodato d’uso gratuito, nel convento dei Frati minori cappuccini di Alessano, luogo legato anche a don Tonino Bello.
“Si chiama comunità alloggio in base alla nomenclatura del Regolamento regionale della Puglia, secondo me impropriamente perché noi siamo una casa famiglia – spiega Resta Corrado -. Il nome Kenosis deriva invece dalle peripezie degli ultimi due anni. Dopo essere stati costretti a lasciare la prima casa famiglia a Supersano, ci eravamo trasferiti nel 2023 ‘incautamente’ nel convento ad Alessano, per il rischio imminente di restare senza alloggio, e abbiamo ricevuto una visita dei Nas con un ordine di sgombero, perché mancavano dei requisiti. Il nome si riferisce quindi al concetto di sgombero, svuotamento. E quale svuotamento è più grande di quello di Gesù, che – come ci dice San Paolo – pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua appartenenza a Dio, ma svuotò se stesso assumendo la condizione umana?”.

(Foto Kenosis Alessano)
C’è una lunga storia pregressa. “Nel 1994 a Supersano, in provincia di Lecce, abbiamo aperto la nostra prima comunità alloggio, ‘La Goccia’. L’ospite che abbiamo da più tempo, schizofrenico, è con noi da 27 anni e ha oggi 56 anni. Attualmente abbiamo 7 ospiti, dai 36 ai 70 anni, l’ultimo arrivato ha la sindrome di down e sta con noi da circa 8 anni.
Gestiamo la comunità alloggio come una grande famiglia.
Il desiderio era di gestirla con i nostri quattro figli, ma Giuseppe lavora, come infermiere, al 118 di Copertino e Miriam, laureata in Scienze ambientali, è un’operatrice Laudato si’ ed è impegnata a sensibilizzare le comunità parrocchiali per l’efficientamento energetico. Agnese, la terza figlia, laureata in Educazione sanitaria al Policlinico di Bari e che ora sta studiando Psicologia, è l’educatrice della comunità alloggio. L’ultimo, Eugenio, studia musica”. “Noi – prosegue – nasciamo anche dall’esperienza della Comunità Emmanuel di Lecce, che opera in sei settori principali: famiglia e minori, salute mentale, dipendenze, migrazioni e sud del mondo, promozione sociale e diaconia. Dal 1980, infatti, un gruppo di uomini e donne, accompagnati da padre Mario Marafioti, gesuita, incarnano la loro fede in Dio nel servizio all’uomo soprattutto all’uomo più fragile, debole e solo”.Nella Comunità Emmanuel si dà molta attenzione alla “prima professione”, che “non è una professione accademica – chiarisce Resta Corrado -, ma una professione quotidiana, quella di stare vita con vita, di condividere la storia e la quotidianità degli accolti”.Michele fa parte del Coordinamento centrale di Comunità Emmanuel.
Prima di approdare ad Alessano “eravamo a Supersano, in provincia di Lecce. Avevamo aperto nel 1994 la comunità alloggio, ‘La Goccia’, sempre per il disagio intellettivo. Un rudere del comune di Supersano, dopo la ristrutturazione, ci è stato dato in comodato d’uso gratuito solo per 4 anni. Dopo 3 rinnovi, l’ultimo contratto era scaduto una decina di anni fa. Avendo il comune un deficit non poteva darci più gratuitamente l’immobile. Ma nel 2002 abbiamo costituito la cooperativa sociale Effatà, una realtà giuridico amministrativa per l’autonomia economica nella gestione della comunità alloggio, inoltre, abbiamo fatto la scelta di non usufruire di accreditamenti e di autosostenerci, perciò non potevamo sostenere un fitto e mi sono messo alla ricerca di una casa più grande, la nostra, di famiglia, è piccolina”. Ed è intervenuta la Provvidenza: ad Alessano c’è un convento dei Frati cappuccini che cercavano una comunità accogliente per evitare il decadimento della struttura. Ed“è stato come riavvolgere un film, come se andasse all’indietro la pellicola per trovare l’inizio della mia vocazione. Avevo 24 anni quando ho fatto il Servizio civile, proprio qui ad Alessano, in una struttura nascente per l’accoglienza di soggetti psicotici, chiamata L’Adelfia, frequentata spesso, già da vescovo, da don Tonino Bello. Quando c’è stata la possibilità di andare ad Alessano ho seguito questa scia, questa chiamata”.

(Foto Michele Resta Corrado)
Ma “il tutto nasce anche come famiglia. Il matrimonio è stato la concretizzazione di tante promesse fatte durante gli anni del fidanzamento. Questa opportunità ci è giunta appena trovato un lavoro presso l’organismo di volontariato internazionale Comi – Cooperazione per il mondo in via di sviluppo a Roma. Questo organismo fa parte della famiglia de gli Oblati Missionari dell’Immacolata. Legato a questa famiglia vi è l’Istituto secolare delle Cooperatrici Oblate Missionarie dell’Immacolata. A questa realtà secolare ci siamo legati in quanto ausiliari. È stata una chiamata del ‘Cristo povero’, che potevamo trovare in questi ‘Cristi poveri’. Praticamente non è avvenuta una formazione specifica, ma nella quotidianità abbiamo tirato fuori un po’ le competenze degli studi universitari che abbiamo fatto. Rita è assistente sociale, io ho studiato Sociologia a Roma. Prima della nascita del nostro primo figlio, Giuseppe, avevamo già accolto per diversi mesi un ragazzo con problemi mentali che non poteva più stare a casa perché litigava continuamente con la madre. Lo portavamo con noi a fare volontariato perché abbiamo sempre creduto che la solidarietà si riceve ma si dà anche.
La persona con disabilità non è da aiutare e basta, è anche una risorsa”.
Anche l’inizio ad Alessano è stata complicato. “Appena avuta l’opportunità ci siamo trasferiti, senza fare lavori di adeguamento in convento, per non restare per strada, ma non abbiamo superato l’ispezione perché non rispettavamo gli standard necessari per la grandezza dei bagni, considerata per persone con disabilità fisica. È stato impossibile combattere contro una mentalità burocratica che vuole a tutti i costi identificare tutte le disabilità con le disabilità fisiche. In attesa dei lavori, costosi, per cui ero stato tentato di rinunciare a tutto, siamo stati prima nella nostra casetta a mare e poi nella casa dei genitori di uno dei nostri ragazzi, che erano morti”.
Come convivono tra loro queste persone con problemi intellettivi?“La quotidianità ci ha insegnato ad accoglierci a vicenda. Siamo una famiglia con tanti figli. Se qualcuno ha qualche problema o malattia, cosa fa un papà o una mamma? Li porta dal medico, ma noi ci siamo sempre come un papà e una mamma ed ogni ‘figlio’, dei 7 accolti, è prezioso e unico”.

(Foto Kenosis Alessano)
Ora in convento, dove la comunità alloggio potrà stare per 9 anni con comodato gratuito, rinnovabile tacitamente, è stata accolta anche un’altra cooperativa: “Noi siamo di tipo A – di aiuto alle persone – e l’altra di tipo B, per l’inserimento lavorativo, ora stiamo vivendo una forma di fidanzamento, per arrivare a un matrimonio”. Michele dice:“Dopo tanta tribolazione ora assaporiamo ancora di più la bellezza di stare qui. Siamo una famiglia accogliente. Vogliamo aprire le porte, tante porte ci sono state chiuse in faccia, invece in convento si è spalancato un portone. Non vogliamo essere inquilini in uno stabile. Vogliamo camminare insieme alla comunità religiosa. Vogliamo creare fraternità e qui abbiamo dei ‘professionisti’ della fraternità francescana”.

(Foto Michele Resta Corrado)
L’accoglienza e il dono sono nel Dna della storia di Michele dalle origini. Nonna Michela, in realtà, è la sua mamma adottiva, la sorella del padre:
“La parola che lega tutte quante le esperienze della mia vita è dono”.
Racconta: “Ho avuto il dono di avere quattro genitori. Mia madre ha avuto la tubercolosi ed è stata in ospedale quasi per un anno e noi fratelli siamo stati divisi tra i vicini. Io sono stato preso dagli zii, senza figli. Quando è tornata mia madre io mi ero affezionato alla zia, ma incontravo quotidianamente i miei genitori e i miei fratelli. A 18 anni sono stato adottato e porto il doppio cognome della mia famiglia d’origine e di quella adottiva. Mia madre ha accettato che mi facessi adottare sicura che era bello donare il figlio così come mia zia, mia madre adottiva, ha ricevuto il dono con grande cura e amore”. In questa catena di amore, c’è anche Sara, minore presa in affido da Michele e Rita, da poco maggiorenne, che da qualche mese è tornata a vivere con il papà naturale, ma ha mantenuto il legame con la grande famiglia Resta Corrado.
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