
Di Giovanna Pasqualin Traversa
Marco e Margherita Invernizzi, di Novara, sono delegati regionali Piemonte e Valle d’Aosta per la pastorale familiare. Marco, 56 anni, è un imprenditore nel campo dell’informatica; Margherita, 53 anni, è un medico. La loro è davvero una bella famiglia: cinque figli, di cui quattro naturali di 27, 25, 23 e 17 anni, e una bimba in affido da 11 anni, Jasmine, arrivata quando aveva otto mesi. In occasione del Giubileo delle famiglie, dei bambini, dei nonni e degli anziani (30 maggio – 1° giugno), abbiamo raccolto la loro testimonianza.
Tra progressivo impoverimento, donne ancora costrette a scegliere tra maternità e lavoro, difficoltà educative, come parlare di speranza in famiglia?
Margherita: La famiglia non è un’entità avulsa dal tempo e dalla società in cui vive. Sicuramente queste criticità esistono e ci interrogano, e non solo perché oggi Papa Leone XIV propone la dottrina sociale in modo esplicito. Tuttavia, la lettura di famiglia come luogo dei problemi non è la nostra:
per noi la famiglia è soprattutto una risorsa.
Marco: L’essere famiglia e genitori comporta dei paradossi. Non si può essere felici finché ciascuno dei nostri figli non è felice. Allora, chi ce lo fa fare? La quantità di vita che c’è nell’essere genitori e la quantità di felicità che si genera ne fa valere assolutamente la pena.
E’ un esercizio di speranza.
La presenza dei figli riempie di speranza e fa sì che la speranza abiti il mondo.
Margherita: Sì, la presenza dei figli rende concreta la speranza; ma anche lo sforzo del vivere in coppia, la continua ricostruzione di equilibri; vedi un futuro che è possibile, non facile, ma possibile.

(Foto: Famiglia Invernizzi/SIR)
Che valore aggiunto rappresenta Jasmine nella vostra famiglia?
Margherita: Un valore enorme! La nostra famiglia si era impostata sull’apertura, sull’accoglienza, e i nostri figli – il più grande allora aveva 16 anni – sono stati partecipi della scelta, sollecitata come prova di credibilità rispetto ai valori che professavamo.
Marco: Un altro grande valore aggiunto è stato accorgersi che i figli non sono “nostri”. Jasmine non è nata da noi, non è una nostra estensione, e ogni tanto questa “differenza” emerge, ma neanche gli altri sono nostra proprietà. Sono altro da noi, hanno una vita loro, ma non è scontato esserne consapevoli.
Nei giorni scorsi Papa Leone XIV ha ribadito che la famiglia è quella fondata sull’unione stabile di un uomo e una donna. Quanto è difficile oggi far passare questa verità?
Margherita: Anche se ha suscitato molto scalpore, questa affermazione non è una novità. Noi crediamo che il matrimonio tra uomo e donna sia una realtà da testimoniare, da vivere.
Marco: E di cui testimoniare la bellezza.
Margherita: Il Papa, nell’omelia della messa di insediamento a San Pietro domenica scorsa, ha affermato: “Questa è l’ora dell’amore”, sottolineando la necessità di uno spirito missionario. Non dobbiamo chiuderci in noi stessi o sentirci superiori, ma
testimoniare la bellezza della realtà che viviamo ed accogliere le fatiche delle persone che incontriamo.
Che oggi sono tante, anche in famiglia, tra difficoltà nelle relazioni, tensioni, tradimenti, talvolta violenze, oppure situazioni delicate con figli in difficoltà. Anche la presenza di figli gay oppure con identità ancora incerta: tutto questo come interpella la pastorale familiare?
Marco: La invita e concentrarsi sulla sua essenza: il portare lo stile della famiglia ovunque nella società: uno stile fatto di vicinanza, accoglienza, affetto, non giudizio.
Margherita: Su questi temi distinguerei due livelli. Da un lato il livello della teoria: il magistero della Chiesa, spesso impugnato in alcune di queste situazioni, offre un’indicazione di cammino ma anche dei paletti di felicità. Dall’altro, nella vita quotidiana, l’accoglienza. Nessuna madre, di fronte a un figlio gay, direbbe “non è mio figlio”. Così anche la Chiesa, che è madre, di fronte a certe situazioni, pur riaffermando la verità delle cose non rinnega i suoi figli. C’è questo doppio piano:
una verità che va capita, accolta e riaffermata, e un’umanità che va esercitata.
Per noi la pastorale familiare è uno stile familiare di fare pastorale.

(Foto: Famiglia Invernizzi/SIR)
Alle giovani coppie preoccupate e scoraggiate dalle difficoltà oggettive di mettere su famiglia, che messaggio di speranza lancereste?
Margherita: Nella seconda lettura di domenica 18 maggio, si dice che il Signore fa nuove tutte le cose. Io credo che la famiglia sia un luogo dove con un minimo di attenzione, e di silenzio ogni tanto, si possa cogliere proprio questo: il Signore fa nuove tutte le cose; fa nuovi noi nella vita di coppia, fa nuovi i figli, li fa nuovi tutti i giorni. In famiglia si può toccare con mano questa novità. Durante la pandemia la famiglia ha vissuto momenti di tensione e scoramento; eppure, in quel periodo abbiamo visto anche tante gemme fiorire dentro le case. Il messaggio di speranza che può dare una famiglia è questo:
è un luogo nel quale fiorisce la novità giorno dopo giorno.
Marco: E’ anche il luogo in cui incoraggiarsi a vicenda con la stupenda esortazione che Papa Leone ha rilanciato riprendendo Giovanni Paolo II:
“Non abbiate paura”.
Occorre ripeterselo tra marito e moglie, dirlo ai figli. Questo direi anche alle giovani coppie: “Non abbiate paura, aiutatevi e incoraggiatevi sempre l’uno con l’altra”.
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