
Di Gigliola Alfaro
“Penso che il dramma di Martina si inserisca in un duplice ambito: da un lato, quello della violenza di genere, quindi del femminicidio, che è dovuto a una cultura ma anche a una mentalità psicologica in cui l’uomo tende a considerare la donna come proprio oggetto, come propria merce, quasi autorizzandosi alla rabbia distruttiva e mortifera laddove questa merce gli viene sottratta, dalla persona stessa in questo caso; dall’altro lato, c’è un ulteriore ambito che credo debba destare preoccupazione: quando si tratta di ragazzi così piccoli come Martina ma anche il suo assassino, dobbiamo anche interrogarci sulla nostra capacità di aiutare le nuove generazioni, gli adolescenti di oggi, a sviluppare una competenza nel gestire la propria rabbia, il proprio senso di frustrazione e di perdita. Questi due ambiti nel caso di Martina s’intrecciano: da un lato una cultura della sopraffazione, del dominio, di una cultura maschilista e, dall’altro, una fragilità psichica dei più giovani che sembrano mostrare una scarsa tolleranza alla frustrazione e alla capacità di tollerare un rifiuto”. Gennaro Pagano, coordinatore del Patto educativo lanciato dalle Chiese di Napoli e Pozzuoli – progetto voluto fortemente dal card. Mimmo Battaglia e da mons. Carlo Villano –, riassume così al Sir il dramma avvenuto ad Afragola, in provincia di Napoli, dove Martina Carbonaro, appena 14 anni, è stata uccisa dal suo ex fidanzato, Alessio Tucci, non ancora diciannovenne.

Gennaro Pagano – foto: F.Carloni/Caritas italiana
Purtroppo è già elevato il numero di femminicidi nei primi mesi del 2025 in Italia. Colpisce molto la storia di Martina, appena 14 anni. Come mai si sta abbassando l’età di vittime e carnefici?
Stiamo assistendo a un’emergenza che non è solo criminale, ma profondamente educativa e culturale. L’abbassamento dell’età coinvolta nei femminicidi ci dice che la fragilità relazionale, l’analfabetismo affettivo e la difficoltà a gestire le frustrazioni non sono più solo questioni dell’età adulta.
L’adolescenza oggi è terreno fertile per dinamiche relazionali malate perché manca un’educazione al limite, alla differenza, al no. L’adolescenza è un’età fragile e importante in cui si costruisce la propria identità, in cui si mette mano a un progetto di vita, ma anche in cui si fanno i conti con le trasformazioni, le fragilità, le paure, i dubbi. L’adolescente di oggi è il bambino di ieri. Nell’adolescente vengono fuori tutte quelle ferite, traumi, assenze educative o di mala educazione che poi caratterizzano in qualche maniera alcuni comportamenti. Nelle relazioni tra adolescenti già si sviluppano delle problematiche importanti, quali la dipendenza affettiva, il non riconoscere il senso del proprio limite e il confine dell’altro, la scarsa tolleranza della frustrazione rispetto a un no dell’altro. L’adolescenza è un tempo nel quale l’affettività va accompagnata, ma c’è bisogno di adulti capaci, mentre spesso sono i primi ad avere difficoltà – oggi si parla di adultescenza – ed è difficile immaginare che questi adulti possano accompagnare questi adolescenti.
- (Foto ANSA/SIR)
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Le prime relazioni affettive tra adolescenti, quindi, già possono implicare meccanismi perversi che portano a tanta violenza?
Purtroppo sì. Le prime esperienze affettive non sono giochi innocui. L’amore adolescenziale, se non accompagnato, può diventare un assoluto, qualcosa che si vive con intensità ma senza strumenti per gestirlo.
Se c’è immaturità, insicurezza, possessività e un modello affettivo povero o distorto alle spalle, la relazione può diventare terreno di controllo e violenza.
Il delitto è stato compiuto con una pietra: ha un significato l’uso di questo oggetto che rimanda a una brutalità del passato?
Sì, è un gesto che richiama un’aggressività primordiale, arcaica, quasi tribale.
L’uso della pietra non è solo strumento di morte, ma dice la disumanizzazione di sé dell’altro, la perdita completa di empatia.
È un’aggressione brutale che esprime rabbia incontrollata, desiderio di annientamento, come se la ragazza non fosse più una persona ma un oggetto su cui sfogare il proprio rifiuto. E in un certo simbolo è il segno anche delle tante pietre interiori, le pietre di una fragilità non vista, non riconosciuta e non gestita adeguatamente. È il segno dei macigni che questo ragazzo non ha saputo gestire e contenere. Io sono psicologo e psicoterapeuta: non ho mai visto raptus in senso stretto, credo che questi agiti siano il punto di arrivo di tante pietre non rimosse, di tante ferite non elaborate, soprattutto di tanti mancati interventi educativi e psicologici che invece erano necessari per la sua crescita sana.
Colpisce anche il modus operandi del giovane assassino: prima massacra con violenza l’ex fidanzata e poi fa finta di essere preoccupato e partecipa alle ricerche. C’è anche lucidità nel cercare di intorbidire le acque malgrado un efferato omicidio. Com’è possibile?
Potrebbe trattarsi di una lucidità dovuta al tentativo disperato di sviare gli indizi, ma anche frutto di una forma di scissione psichica.Dopo un atto così estremo, alcuni adolescenti entrano in uno stato dissociativo: separano il gesto dalla realtà per proteggersi dal crollo interno.C’è anche una componente narcisistica: l’illusione di poter manipolare la realtà, di tenere sotto controllo le conseguenze.
All’origine di questi ripetuti femminicidi ci sono elementi comuni? O quelli in cui vittime e carnefici sono così giovani hanno caratteristiche diverse?
Ci sono elementi comuni: il possesso, il dominio, la paura dell’abbandono. Il non saper gestire la frustrazione. Negli adolescenti tutto questo si acuisce perché stanno costruendo la loro identità e difatti manca una struttura solida, capace di contenere l’impulso.Si tratta di immaturità emotiva e, in alcune situazioni ma spesso, anche di mancanza assoluta di modelli relazionali sani. In questi casi una rete educativa – famiglia, scuola, Chiesa, contesto sociale – pesa enormemente. Può fare la differenza.
Il femminicidio di Afragola ha peculiarità sue o sarebbe potuto avvenire in qualsiasi luogo d’Italia?
Non è un problema locale.È un dramma che attraversa l’Italia intera, anche se in certi territori dove il disagio sociale è più forte, dove c’è povertà educativa e culturale, la probabilità di queste tragedie può aumentare. Ma nessun contesto è immune!
- (Foto ANSA/SIR)
- (Foto ANSA/SIR)
- (Foto ANSA/SIR)
Quanto questa violenza di genere è legata all’emergenza educativa che viviamo oggi?
La violenza di genere nasce sempre da una distorsione relazionale. Se non educhiamo i ragazzi a riconoscere e gestire le emozioni, a vivere la differenza come ricchezza, a tollerare la frustrazione e il limite, lasceremo spazio all’aggressività cieca.
L’amore non si improvvisa: si impara, con fatica e presenza. Tuttavia, penso che dovremmo iniziare a parlare di emergenza psico-educativa.
La situazione psicologica di molti ragazzi è veramente fragile. Ci troviamo in un’epoca di grandi mutamenti anche da un punto di vista neuro scientifico: i nativi digitali hanno non soltanto un modo di pensare diverso ma delle reti neuronali che si muovono in modo diverso da chi nativo digitale non è. Per questo credo che in tutti i campi la dimensione psicologica non vada tralasciata. Ricorrendo anche a professionisti capaci e competenti di coadiuvare chi educa nel suo compito. Serve inserire nei percorsi scolastici una vera educazione affettiva e relazionale. Non necessariamente deve essere staccato dai programmi curriculari: l’Odissea, i Canti di Leopardi, l’Inno alla Gioia e la Pietà, le tragedie e le conquiste della Storia possono essere strumenti forti di educazione.
Come Chiesa e società possono aiutare le famiglie nel compito educativo?
Offrendo spazi di ascolto, formazione, accompagnamento. La Chiesa può essere una casa dove si impara a vivere le relazioni in modo evangelico, dove si costruisce comunità. E la società deve investire in politiche educative, culturali e di sostegno alle famiglie fragili. Anche la Chiesa può contribuire ad un cambio di mentalità. Dobbiamo smettere di indignarci solo dopo.
Serve una cultura del rispetto, della relazione, del limite. Della prevenzione. Della cura psicologica. Ogni storia salvata vale più di mille proclami.
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