SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Cosa sia la violenza di genere e in quali forme si manifesti; quali siano le fasi del ciclo della violenza; in cosa consistano gli abusi domestici; cosa fare e a chi rivolgersi per chiedere aiuto; cosa possano fare le comunità per non lasciare sola alcuna donna: di questo e di tanto altro si è parlato all’incontro “Se è amore, non alza le mani, ma ti prende per mano”, che si è svolto Venerdì 23 Maggio 2025, alle ore 21:00, presso i locali parrocchiali della chiesa dei Padri Sacramentini in San Benedetto del Tronto.

L’appuntamento, rivolto ai giovani del gruppo del dopo Cresima della parrocchia San Giuseppe, ha registrato la partecipazione di tre illustri ospiti: l’avvocata Francesca Biancifiori, presidente dell’associazione “Giustizia Donna“; la dott.ssa Rosanna Zamparese, dirigente medico dell’Unità Operativa di Medicina Legale dell’A.S.T. di Ascoli Piceno; la dott.ssa Silvia Michelangeli, ispettrice della Polizia di Stato che opera nel Commissariato di San Benedetto del Tronto.

Oltre ai giovani e ad alcuni genitori, erano presenti tra il pubblico anche il parroco della comunità di San Giuseppe, padre Mario Amodeo, e la catechista dei ragazzi, Anna Fortunato.

Non nascondersi o vergognarsi, bensì chiedere aiuto

A rompere il ghiaccio è stata l’avvocata Francesca Biancifiori, la quale ha spiegato che la violenza di genere si declina purtroppo in tante diverse forme: la violenza fisica, quella psicologica, quella sessuale, lo stalking, il revenge porn, la violenza economica, l’aborto forzato, la sterilizzazione forzata, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali, le molestie sessuali, la violenza assistita e la violenza domestica. È violenza qualsiasi atto, legato alla differenza di sesso, che provochi un danno fisico, sessuale o psicologico oppure una sofferenza della donna, compresa la minaccia di tali atti, la coercizione e l’arbitraria privazione della libertà.
Molto spesso questa violenza si consuma all’interno delle mura domestiche, quindi in relazioni familiari, sentimentali, nei contesti familiari e affettivi” – ha detto la presidente dell’associazione “GiustiziaDonna“, elencando una serie di comportamenti con cui l’uomo esercita un potere e un controllo nei confronti della donna: l’accesso negato alle finanze domestiche, la minaccia di portare via i bambini, l’utilizzo di intimidazioni o abusi emotivi, l’isolamento della donna dai parenti e dagli amici, lo spostamento della responsabilità del comportamento violento sulla vittima.

Le donne e le ragazze oggi corrono un rischio allarmante di violenza in qualsiasi ambito: a scuola, al lavoro, a casa, nella comunità e persino online – ha proseguito Biancifiori –. Tutto ciò a volte ha delle conseguenze fisiche, psicologiche e sociali drammatiche. Per questo è importante non nascondersi, bensì chiedere aiuto. Spesso, dopo un atto violento, l’uomo si scusa e promette di non farlo più. È una falsa promessa. Chi usa violenza una volta, lo farà ancora“.
Esiste infatti un vero e proprio ciclo della violenza che prevede tre fasi: la fase di tensione, in cui la donna conosce l’irascibilità dell’uomo e cerca quindi di non farlo arrabbiare; la fase esplosiva, in cui avviene l’abuso sulla donna; infine la fase cosiddetta della luna di miele, in cui l’uomo promette che non succederà più. “Ma si tratta di un’illusione – ha specificato l’avvocata –: il ciclo presto ripartirà daccapo e seguirà le stesse fasi, a meno che la donna o qualche altra persona non lo interrompa, chiedendo aiuto e denunciando”.
Biancifiori ha specificato che la violenza di genere è trasversale, non riguarda una sola fascia economica, sociale o culturale di persone, bensì tutte: “Il nostro sportello accoglie tutte le donne, più o meno giovani, chi senza figli, chi con molti bambini, donne migranti che hanno subito maltrattamenti, violenze e atti persecutori, ma anche donne italiane che si sono ritrovate imprigionate in una spirale di violenza e non sanno come uscirne”.

L’amore non fa mai male

È stata poi la volta della dott.ssa Rosanna Zamparese, la quale ha approfondito il tema della violenza fisica.
La primaria di Medicina Legale ha esordito manifestando la sua gioia nell’essere stata chiamata a parlare ad un pubblico giovane: “Ho accettato molto volentieri l’invito, perché ritengo un mio dovere denunciare la violenza con la quale purtroppo mi confronto tutti i giorni, sia come professionista della salute, in quanto medico legale, sia come genitore che guarda con preoccupazione a quanto viene riportato dalla stampa. Credo che sia un dovere, da parte di noi adulti, quello di costituire per i nostri figli una società che stia in pace, in cui possibilmente non ci sia violenza; ma, laddove ci sia, una giovane donna sappia riconoscerla e uscirne prima che sia troppo tardi. Il titolo di questo incontro è molto bello: se è amore, non alza le mani, ma ti prende per mano. L’amore non fa mai male. Quando provoca dolore, quando provoca umiliazione, quando provoca paura, una relazione è tossica“.

Zamparese ha poi mostrato ai giovani uditori alcune immagini che documentano la violenza fisica sulle donne, specificando che un buon referto medico può essere la prima difesa verso la libertà e la giustizia. “La violenza, infatti, lascia dei segni sul corpo che fanno comprendere anche le dinamiche dell’atto violento – ha affermato la dottoressa –: sia dove e come l’uomo abbia colpito la vittima, sia se e come la donna abbia reagito. Il corpo parla e io, da medico, mi trovo tante volte a vedere gli effetti delle violenze fisiche, delle sevizie, delle torture e di tante altre esperienze veramente drammatiche che molto spesso le donne vivono. Quando una donna giunge sul mio lettino, è troppo tardi per fare qualsiasi cosa, perché significa che la sua vita è stata ormai spezzata. Per non finire così, è necessario che al primo gesto di violenza si chieda aiuto. Spesso le vittime subiscono e non dicono nulla ai parenti o agli amici, perché si vergognano o hanno paura delle conseguenze. Denunciare, invece, non è mai un atto di vergogna, bensì un atto di coraggio. Quando non denunciamo, quando cerchiamo di tenere tutto dentro, magari nella speranza che non capiti più, in realtà stiamo incrementando la possibilità che accada di nuovo e che finisca male. Magari queste immagini possono turbarvi – anche se ho scelto quelle meno crude – ma, come medico e soprattutto come educatore, penso che documentare sia l’unica strada per far conoscere che cosa sia la violenza e per far sì che ogni donna che ne è vittima possa trovare il coraggio di denunciare“.

Le donne non vengono lasciate mai sole

Ultima a relazionare è stata la dott.ssa Silvia Michelangeli. L’ispettrice, che è assegnata alla Sezione Anticrimine e si occupa prevalentemente di codici rossi, violenze su minori e misure di prevenzione, ha approfondito il tema della violenza psicologica: “Come è stato detto, la violenza purtroppo non si manifesta solo con aggressioni fisiche. Capita sovente che le donne non siano nemmeno consapevoli di subirla. Sto parlando di ripetute offese, umiliazioni, privazioni e minacce che magari provengono da una persona a cui la donna è legata sentimentalmente o pensa di esserlo. In questi casi il legame sentimentale rende più difficile riconoscere i maltrattamenti. Ecco perché sono molto importanti gli incontri di prevenzione e sensibilizzazione che facciamo”. Michelangeli ha quindi proseguito elencando una serie di stati emotivi che possono essere utili per riconoscere se una relazione sia positiva o tossica: riconoscersi in una o più di queste condizioni è un campanello d’allarme ed è consigliabile quindi parlarne con qualcuno.

L’ispettrice ha poi illustrato quali siano gli strumenti normativi e operativi per contrastare una situazione di violenza, come ad esempio il braccialetto elettronico. “Tra i vari strumenti – ha specificato Michelangeli – un posto importante è occupato dall’ammonimento, che è un atto amministrativo di competenza esclusiva del Questore, alternativo alla querela, che viene richiesto direttamente dalla parte offesa o da una persona che, per vari motivi, è a conoscenza di una situazione di violenza nell’ambito delle relazioni familiari o affettive. Può trattarsi di uno zio, una vicina di casa, un insegnante, un’amica”.
La relatrice ha poi spiegato come la Polizia di Stato agisca nel caso di una chiamata in codice rosso, illustrando il “sistema scudo“, che prevede il lavoro congiunto ed immediato di più poliziotti, che riescono quindi a fare in tempi molto rapidi una panoramica sulla persona e sulla sua famiglia: ad esempio possono verificare se ci siano stati già episodi di violenza o se in quella casa ci siano armi regolarmente denunciate.
“Una cosa mi preme sottolineare – ha concluso Michelangeli –: le donne non vengono lasciate mai sole. C’è un accompagnamento anche dopo la denuncia, che viene fatto da noi e dalle associazioni del territorio con cui facciamo rete”.

È necessario fare rete e cambiare mentalità

Al termine degli interventi è stato lasciato ampio spazio al dibattito, che è stato vivo ed intenso. Rispondendo alle domande del pubblico sulla paura di denunciare, le tre relatrici hanno sottolineato come l’assistenza alle vittime di violenza sia garantita dalla presenza di una comunità attenta e solidale e dalla stretta e proficua collaborazione tra i soggetti che fanno parte della rete antiviolenza: le Forze dell’Ordine, gli operatori sanitari, i consultori familiari e gli altri centri antiviolenza. “È solo grazie a questa collaborazione – hanno detto – che la donna non rimane sola dopo una denuncia, anzi trova un sostegno concreto e quindi la speranza effettiva di potersi liberare da una condizione di violenza“.

Sempre in risposta alle sollecitazioni dei presenti, l’avvocata Biancifiori, specializzata in diritto di famiglia, ha ricordato che dall’inizio del 2025 sono stati 17 i casi di femminicidio e che si è molto abbassata l’età media sia di chi agisce la violenza sia della vittima: “Questo è molto grave e ci fa comprendere come purtroppo il problema sia culturale. La normativa stessa riconosce che la violenza contro le donne è una grave forma di discriminazione che si fonda su principi sbagliati, su stereotipi comuni e popolari che vedono la donna in una posizione di inferiorità rispetto all’uomo. Per poter prevenire e contrastare la violenza di genere, quindi, occorre prima di tutto un cambiamento culturale. È per questo motivo che la sensibilizzazione al tema, che facciamo nelle scuole, nelle aziende e nelle comunità, è una parte fondamentale dei servizi offerti dall’associazione che presiedo”.

I servizi offerti dall’associazione “GiustiziaDonna”

La serata è stata anche l’occasione per illustrare i molteplici servizi offerti dall’associazione “GiustiziaDonna”, la cui sede legale è in via Serafino Guartattorni n.4, a San Benedetto del Tronto, sotto il Torrione, all’interno dell’Istituto Santa Gemma: lo sportello di ascolto e di accoglienza, presso il quale ci sono sempre delle operatrici formate che accolgono le donne che subiscono violenza e già dal primo colloquio sono in grado di capire ed indirizzare la donna vittima verso il percorso più adatto da fare per uscire dal ciclo della violenza; il sostegno psicologico, che non consiste in un appuntamento isolato, bensì in un percorso che accompagna la donna vittima di violenza di genere; la tutela legale, così da favorire l’atto di denuncia delle donne che subiscono una violenza e che spesso non sono indipendenti economicamente; il supporto ai minori che hanno assistito alla violenza, un’esperienza che, se non elaborata, potrebbe lasciare strascichi psicologici molto intensi e duraturi nel tempo.
Lo sportello dall’associazione “GiustiziaDonna” è aperto dalle ore 9:30 alle 12:30 del mattino e dalle ore 18:00 alle ore 20:00 del pomeriggio nei giorni di Lunedì, Martedì, Giovedì e Venerdì. È inoltre possibile contattare telefonicamente l’associazione al numero 375 743 6775. Oltre al numero dell’associazione, si è ricordato che ci si può rivolgere sempre, in ogni momento della giornata, anche al 1522, il numero antiviolenza gratuito ed attivo 24 ore su 24 in Italia per le vittime di violenza e stalking, promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Attraverso entrambe le linee telefoniche, si può chiedere aiuto e ricevere supporto da operatrici specializzate.

Le riflessioni del giovane Nicholas Isopi

Nicholas Isopi, un giovane di 18 anni della parrocchia di San Giuseppe, commenta l’incontro con queste parole: “Torno a casa molto più informato e con la consapevolezza che si può uscire da una spirale di violenza di genere. Ma per farlo, è necessario chiedere aiuto e sentire il sostegno di una comunità attenta e solidale che non fa sentire sola nessuna donna“.

“Dopo aver ascoltato le parole delle relatrici – prosegue il giovane – mi sento di dire a tutte le ragazze che al primo accenno di violenza, anche minima, devono chiedere aiuto. Se non vogliono sporgere una formale denuncia, possono comunque parlarne con qualcuno di fiducia: un’amica, una docente, una vicina di casa o anche semplicemente una persona dell’associazione.
Ai ragazzi invece dico che non si può pensare di poter forzare i sentimenti di una persona. In amore è necessario essere ricambiati. L’amore a senso unico non è amore. E se diventa possesso, controllo, manipolazione, urla, violenza, non è mai amore. Di fronte ad un rifiuto bisogna fermarsi. Non c’è nulla di male ad essere rifiutati. Vuol dire semplicemente che quella ragazza non era quella giusta per te e tu non eri quello giusto per lei”.

Conclude infine Nicholas: “Durante l’incontro ho potuto riflettere molto sul fatto che la disparità di genere sia un fatto soprattutto culturale, insito nei nostri pensieri e nelle nostre azioni. C’è una differenza enorme tra come viene percepita una donna e come viene percepito un uomo. Se un ragazzo esce con diverse ragazze ed ha molta esperienza, viene considerato un figo. Se invece una ragazza esce con più di un ragazzo, viene considerata una facile. Purtroppo si fa molta fatica a scardinare questi stereotipi. Ho capito anche che purtroppo le donne sono molto meno libere degli uomini nel loro agire e devono fare attenzione o limitarsi in molte situazioni.  Anche nella mia vita di adolescente, noto molte differenze anche nella percezione che le ragazze hanno del mondo. Questo non è affatto giusto. Faccio un esempio. Non sempre le ragazze si sentono sicure ad andare in giro la sera da sole e, quando stiamo con gli amici fino a tardi, noi ragazzi cerchiamo sempre di accompagnarle, così da evitare incontri potenzialmente pericolosi. Chiaramente questa è solo una gentilezza da parte nostra, non certo la soluzione definitiva, che resta invece quella di poter vivere in un mondo in cui tutti, uomini e donne, ci sentiamo sicuri, liberi e felici”.

 

 

 

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