Di Sergio Calistri, foto: Francesco Cataldo, Sergio Calistri

Sono stato a Nairobi per un viaggio conoscitivo organizzato dalla Fondazione AVSI per coloro che, negli anni, hanno collaborato con AVSI promuovendo le sue attività nel campo della cooperazione internazionale. Al gruppo dei volontari AVSI si è aggiunto anche quello di 10 dipendenti dell’azienda Sacchi Elettroforniture di Desio che collabora con AVSI sostenendo a distanza oltre 300 bambini in diversi paesi del mondo.

Primo giorno

Descrivere le prime impressioni non è semplice. L’arrivo in aeroporto a Nairobi non restituisce immediatamente l’idea di ciò che si vedrà nella città: l’aeroporto è grande e moderno, dotato di infrastrutture che potrebbero far pensare a una metropoli avanzata. Uscendo, l’impatto iniziale è quello di una città con ampie autostrade e un traffico intenso, paragonabile a quello delle grandi arterie europee nelle ore di punta. Certo, il traffico qui è più caotico, ma non troppo diverso da quello del Grande Raccordo Anulare di Roma nei momenti più congestionati.

Siamo ospiti della diocesi di Nairobi, che dispone di diverse strutture un compound che riunisce la cattedrale, il seminario ed anche una foresteria con standard di ospitalità internazionali. All’arrivo, ci accolgono i responsabili di AVSI Kenya, guidati dal dottor Antonino Masuri, un italiano presente nel paese da 18 anni. Lo conosciamo già da tempo, perché spesso si reca in Italia per promuovere e sostenere le attività della fondazione.

Le opere della Fondazione AVSI in Kenya

Il dottor Masuri ci ha guidato nei giorni successivi nella visita di alcune opere realizzate da AVSI in Kenya anche grazie al supporto della Cooperazione Italiana. Tra queste, scuole, case di riposo, piantagioni e altre iniziative di sviluppo.

La casa di riposo FOTO 00-01

La nostra prima visita è a una casa di riposo. La struttura è chiamata “Nyumba Ya Wazee”, che in Swahili significa: “casa degli anziani”. Le suore che la gestiscono appartengono alla famiglia delle “Piccole Sorelle dei Poveri”, congregazione che non riceve contributi statali, che sostiene la casa di riposo esclusivamente grazie alle elemosine e alle donazioni di benefattori privati. Le suore, fedeli alla loro regola, ogni giorno chiedono l’elemosina per sostenere la casa di riposo. Pur non ricevendo grandi somme, riescono a integrare le donazioni di benefattori privati affascinati dalla bellezza dell’opera.

La struttura è immersa in un parco, e ospita più di 70 anziani, ciascuno con una stanza propria. Questo aspetto appare importante, perché nelle case di riposo spesso sorgono tensioni a causa della mancanza di spazi personali. Non mancano, comunque, ambienti comuni come il refettorio, il giardino e persino una palestra attrezzata con tapis roulant per mantenere in forma gli ospiti.

La scuola professionale San Kizito FOTO 01-02-03-04-05

Accompagnati dal dottor Masuri e dai suoi collaboratori, visitiamo poi la scuola professionale San Kizito, intitolata a un santo africano martire. Questa scuola, finanziata da AVSI e dal governo italiano, è un’eccellenza nel panorama educativo di Nairobi: l’80% degli studenti trova lavoro entro pochi giorni dalla fine del ciclo di studi.

La scuola dispone di laboratori all’avanguardia, grazie anche al supporto di aziende come Schneider e Bosch. Tra le specializzazioni offerte ci sono falegnameria, elettronica, elettrotecnica, meccanica, saldatura, estetica e persino una scuola guida. Fondata 40 anni fa, si è guadagnata una reputazione di eccellenza in Kenya.

Uno degli aspetti più significativi della scuola è il metodo educativo. In Kenya, infatti, l’insegnamento è spesso molto autoritario e gli studenti vengono comunemente puniti fisicamente, un metodo largamente accettato dalle famiglie. San Kizito, invece, valorizza gli studenti senza ricorrere alla violenza, rappresentando un’eccezione rispetto alla maggior parte delle scuole del Paese. La scuola ha ricevuto visite illustri, tra cui quella del Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, che alcuni mesi fa ha messo in moto un’automobile restaurata dagli studenti. Questo evento ha avuto una grande risonanza nazionale e internazionale, riconoscendo il lavoro di AVSI e della Cooperazione Italiana nel promuovere lo sviluppo umano e sociale nei Paesi in via di sviluppo.

La visita alle famiglie sostenute da AVSI FOTO 30

Successivamente, ci dividiamo in piccoli gruppi per visitare alcune famiglie sostenute dal programma di sostegno a distanza di AVSI, un programma che aiuta bambini vulnerabili garantendo loro istruzione, alimentazione sana e cure mediche attraverso donazioni regolari da parte di donatori privati.

Raggiungiamo le loro abitazioni in tuk-tuk (un “Ape” a tre ruote trasformato in taxi), addentrandoci in una baraccopoli vicino alla scuola San Kizito.

Questa parte della visita è particolarmente dolorosa. Ci troviamo di fronte a condizioni di povertà estrema: famiglie che vivono in stanze di pochi metri quadrati, senza servizi igienici adeguati, con un solo bagno condiviso in cortile. L’aria è pervasa da odori indescrivibili, mentre bambini giocano nelle strade tra liquami a cielo aperto.

La famiglia che visitiamo è composta da una donna con quattro figli. Lei è una profuga congolese arrivata in Kenya otto anni fa, dopo essere stata abbandonata dall’uomo che l’aveva messa incinta. Vive grazie alla vendita di mais. Paga circa 25 euro al mese per un’abitazione in muratura, condizione relativamente migliore rispetto ad altre famiglie che vivono in baracche di lamiera, roventi d’estate e gelide d’inverno. Per noi, questa realtà è un pugno nello stomaco. Ci sentiamo impotenti, ma allo stesso tempo motivati ad impegno per promuovere la missione di AVSI.

L’impianto solare della scuola San Kizito

Dopo questa intensa esperienza, torniamo alla scuola San Kizito per visitare l’impianto di pannelli solari che la rende quasi autosufficiente dal punto di vista energetico. Si tratta di un impianto da 30 kW, realizzato con il supporto della Cooperazione Italiana.

La giornata si conclude con una cena in un ristorante etiope, dove proviamo un piatto tradizionale mangiando con le mani.

Secondo giorno

Nel cuore di Kibera FOTO 32

La giornata inizia presto per il nostro gruppo di volontari. Prima della partenza, si preparano i pacchetti da donare ai bambini delle scuole che visiteremo: zainetti, piccoli giocattoli, acquerelli, pastelli a cera, matite, album da colorare e pennarelli, tutti portati dall’Italia.

Dopo circa un’ora e mezza di viaggio attraverso il traffico caotico della capitale, il pulmino raggiunge Kibera, il più grande slum di Nairobi e tra i più vasti al mondo. Qui vivono circa un milione di persone in condizioni di estrema povertà, tra baracche di lamiera e vicoli sterrati che si intrecciano in un dedalo senza fine. Un’unica strada asfaltata attraversa l’insediamento, costeggiando cumuli di rifiuti e fogne a cielo aperto.

Le immagini viste nei reportage televisivi o nei documentari non bastano a preparare alla realtà. L’impatto è forte: l’odore acre della spazzatura e dei liquami permea l’aria, mentre le strade pullulano di vita, con bambini che corrono tra le baracche e negozi che vendono di tutto.

Ushirika School: un’oasi nel deserto FOTO 06-07-08-09

Nel mezzo di questa realtà, sorge la Ushirika School, un’istituzione costruita e sostenuta dalla Fondazione AVSI per offrire istruzione e protezione ai bambini di Kibera. La scuola, il cui nome in Swahili significa “lavorare insieme”, è nata con l’obiettivo di accogliere soprattutto bambine e giovani ragazze, spesso vittime di abusi e violenze, garantendo loro non solo un’istruzione, ma anche un rifugio sicuro.

In Kenya, infatti, gran parte dell’istruzione è a pagamento e molte famiglie dello slum non possono permettersi di mandare i propri figli a scuola. Per le ragazze, il pericolo è ancora maggiore: a Kibera, anche un gesto quotidiano come andare a prendere l’acqua può trasformarsi in un rischio. Per questo la scuola dispone di dormitori dove le studentesse possono trascorrere la notte, al riparo da possibili aggressioni. L’accoglienza è calorosa. Appena il gruppo di volontari scende dal pulmino, viene travolto dalla musica e dai canti dei bambini, che festeggiano l’arrivo degli ospiti con una gioia contagiosa. Ci prendono per mano, ci conducono in un cortile e iniziano a ballare. È impossibile restare fermi: il loro entusiasmo e la loro energia è trascinante.

Un’educazione basata sull’amore, non sulla paura

Dopo il benvenuto del preside nel cortile della scuola e lo scambio di saluti coi ragazzi, ci dividiamo in gruppetti di quattro/cinque persone e veniamo guidati dagli insegnanti alla visita delle classi. Abbiamo l’occasione di vedere le aule e di rivolgere alcune domande agli studenti. Le classi sono piuttosto numerose, raccolgono circa 40 studenti, ma sono ben organizzate. L’edificio è uno dei pochi in muratura in questa parte dello slum, è usurato in alcune parti, ma appare molto dignitoso soprattutto se paragonato al contesto. I ragazzi sono gioiosi, spigliati e desiderosi di vivere.

La Ushirika School è uno dei pochi edifici in muratura dello slum, un simbolo di speranza tra le lamiere. Le classi sono affollate, ma ben organizzate. Il direttore della scuola spiega che qui si adotta un metodo educativo diverso da quello prevalente nelle scuole keniote, spesso basato sull’autoritarismo e sulla disciplina severa. Alla Ushirika School, invece, i bambini vengono educati con autorevolezza e amore, senza punizioni corporali, ma con un accompagnamento costante nel loro percorso di crescita.

Il futuro di Kibera: tra speranza e incertezze

Durante la visita, il direttore ci spiega anche che ai margini dello slum sono in costruzione 50.000 nuovi alloggi, destinati a circa 250.000 persone. In lontananza, si intravedono già le strutture in cemento armato dei futuri edifici. Un progetto che dovrebbe garantire condizioni di vita migliori a molte famiglie. Nel frattempo, scuole come la Ushirika School continuano a rappresentare un punto di riferimento essenziale, offrendo istruzione, sicurezza e una possibilità di futuro ai bambini di Kibera

La Scuola Little Prince di Nairobi: un faro di cultura e sostenibilità nello slum di Kibera FOTO 10-11

Dopo la visita alla scuola Ushirika, ci rechiamo alla Little Prince, un’istituzione scolastica d’eccellenza nel cuore dello slum di Kibera.

Questa scuola, dal forte impatto educativo e sociale, accoglie studenti grazie al sostegno a distanza garantito da AVSI che copre il 95% delle rette scolastiche. La struttura si distingue per la qualità dell’offerta formativa, con laboratori di chimica, fisica e musica, dove spicca persino una tastiera Farfisa, orgoglio del made in Italy.

Una delle peculiarità della Little Prince è la sua forte vocazione artistica, evidente nel laboratorio musicale e soprattutto nel grande teatro. Ogni anno, gli studenti leggono un libro che viene trasformato in una sceneggiatura e poi messo in scena. Il teatro della scuola ha ospitato importanti rappresentazioni, tra cui Pinocchio, Il Piccolo Principe, Il Mago di Oz e persino la Divina Commedia. Proprio quest’ultima è stata il fulcro del cortometraggio “Il cielo sopra Kibera”, coinvolgendo centinaia di giovani provenienti da tutto lo slum.

Il teatro della scuola, un ampio ambiente dotato di un grande palco, è dedicato alla memoria di Emanuele Banterle, scomparso prematuramente nel 2011 e principale promotore della vocazione teatrale della Little Prince. Nato con l’obiettivo di contrastare la dispersione scolastica, il teatro ha saputo coinvolgere e affascinare gli studenti, diventando uno strumento insostituibile di integrazione e formazione.

Durante la visita, un momento di festa ha visto protagoniste le volontarie che, all’alba, avevano preparato caramelle per i bambini. In pochi minuti, centinaia di piccoli studenti si sono raccolti attorno a loro, consumando in un attimo le mille caramelle preparate.

Oltre all’eccellenza educativa e artistica, la Little Prince si distingue anche per la sua attenzione alla sostenibilità e all’autosufficienza. La scuola può contare su un impianto fotovoltaico, una coltura idroponica, un allevamento di conigli e un impianto di produzione di biogas, risorse fondamentali per garantire una maggiore indipendenza energetica e alimentare in un contesto difficile come quello di Kibera.

L’ospedale St. Joseph: un rifugio per le madri più vulnerabili di Kibera FOTO 12-1-14

Dopo la visita alla scuola Little Prince, ci rechiamo nel quartiere di Kahawa Wendani, situato nella periferia a nord est della città per visitare all’ospedale St. Joseph, una struttura sanitaria costruita e gestita dalla Fraternità San Carlo Borromeo, un ordine di sacerdoti e suore missionari impegnati in tutto il mondo.

L’ospedale offre, tra l’altro, una assistenza alle donne, in particolare alle madri in difficoltà. In Kenya, molte donne affrontano la gravidanza e il parto senza alcun supporto medico, spesso perché rimaste incinte fuori dal matrimonio o vittime di violenza. In molti casi, vengono emarginate dalle loro famiglie, ritrovandosi senza mezzi per prendersi cura di sé stesse e dei propri figli.

Il St. Joseph offre servizi essenziali, tra cui monitoraggio della gravidanza, esami ecografici, assistenza al parto e cure postnatali. Ma il suo impegno va oltre la semplice assistenza sanitaria: rappresenta un luogo di accoglienza per madri e neonati, garantendo loro protezione e dignità in un contesto sociale spesso ostile.

Una delle peculiarità della struttura è il modello di finanziamento: pur essendo un’opera no-profit, l’ospedale chiede ai pazienti un contributo economico, mantenendo però i costi volutamente bassi. Questo sistema ha un duplice scopo: responsabilizzare i pazienti che possono permetterselo e sensibilizzare chi ha maggiori possibilità a sostenere l’ospedale, permettendogli così di continuare la sua missione a favore delle donne più vulnerabili.

Terzo giorno

Il Giraffe center FOTO 15-16-17

Nel terzo giorno il nostro viaggio inizia con la visita a due realtà: il Giraffe Center di Nairobi e una piantagione di tè, due simboli del Kenya.

Il Giraffe Center, situato nella periferia a sud di Nairobi, è stato fondato nel 1979 da Jock e Betty Leslie-Melville, una coppia anglo-americana appassionata di fauna africana. Il loro obiettivo era salvare la giraffa di Rothschild, una specie allora a rischio di estinzione.

Oggi, il Giraffe Center non riceve finanziamenti pubblici e si sostiene esclusivamente grazie ai biglietti d’ingresso. I visitatori possono osservare da vicino questi animali e dar loro da mangiare. Inoltre, il centro adotta pratiche di sostenibilità ambientale: ricicla i liquami attraverso un sistema di depurazione naturale con piante, recupera bottiglie di plastica, fondi di caffè e carta, garantendo un impatto minimo sull’ambiente.

Il tè del Kenya: una risorsa strategica FOTO 18-19

Nella tarda mattinata ci siamo spostati in una piantagione di tè, coltura che rappresenta un pilastro dell’economia keniota. Il Kenya è tra i principali produttori mondiali di tè, con un’industria che coinvolge circa 5 milioni di persone, tra agricoltori e lavoratori della trasformazione.

Circa il 95% della produzione viene esportato, mentre il restante 5% è destinato al consumo interno. Dalla stessa pianta si ottengono tre varietà di tè: bianco, verde e nero, a seconda delle foglie raccolte e della lavorazione.

La visita si è conclusa con un pranzo all’aperto, immersi in un ambiente rigoglioso, tra profumi intensi e colori vivaci.

Le scuole delle suore domenicane FOTO 20-21-22-23-24

Il pomeriggio del terzo giorno del viaggio in Kenya è nuovamente dedicato alla visita di attività educative. Questa volta, il gruppo si reca presso due scuole gestite dalle suore domenicane, con il supporto della fondazione AVSI. Le religiose amministrano due strutture: una dedicata all’istruzione primaria e secondaria e una scuola professionale all’avanguardia che offre nove indirizzi di studio, tra cui informatica, metallurgia, idraulica, diritto, agricoltura e falegnameria.

Oltre alle scuole, le suore gestiscono anche un villaggio composto da otto case, ognuna delle quali accoglie 14 bambini abbandonati. Qui, i piccoli sono affidati alle cure di una “mamma”, una donna che si occupa di loro come una madre. La struttura dispone di spazi comuni per il gioco, lo studio e la socializzazione, creando un ambiente familiare e accogliente.

Una cena tra sapori unici e tradizioni africane

La serata si svolge in un contesto completamente diverso: il gruppo cena al Safari Park Hotel, un ristorante noto per la sua vasta offerta di carni esotiche. Dopo un antipasto a base di insalate e verdure, viene servito un piatto di ghisa rovente, appoggiato su un vassoio di legno. Su di esso, uno spiedo carico di diverse varietà di carne viene progressivamente tagliato al tavolo.

Nel corso della serata, i commensali assaggiano 12 tipi di carne, tra cui pollo, vitello, manzo e maiale, ma anche specialità più insolite per il palato italiano, come coccodrillo e cammello. Sorprendentemente, il coccodrillo si rivela una delle carni più apprezzate, con un sapore delicato e piacevole. Tutti i tagli vengono rigorosamente cotti alla brace, esaltandone i sapori.

Ritmi tribali e danze coinvolgenti

A rendere la cena ancora più speciale è l’esibizione di un gruppo di 20 ballerini – 10 uomini e 10 donne – che danno vita a un entusiasmante spettacolo di danze africane. Le coreografie, accompagnate dal ritmo incalzante di tamburi, bongo e altre percussioni, richiamano i riti tribali Masai.

Il momento più spettacolare arriva con un gruppo di acrobati: gli artisti formano piramidi umane fino a cinque persone, dimostrando forza ed equilibrio straordinari. Dopo la foto di gruppo accanto ai performer, la serata si trasforma in una vera festa. Al ritmo della celebre canzone keniota Jambo Bwana, tutti si lasciano coinvolgere dalla musica e iniziano a ballare in un’esplosione di energia e allegria.

Quarto giorno.

 ùSimba Village: speranza e futuro per bambini in difficoltà FOTO 25-26-27-28-29

Il viaggio ci porta al Simba Village, un centro di accoglienza per bambini vittime di abusi, matrimoni precoci e infibulazione. Situato in una regione arida e ventosa, il villaggio ospita attualmente 150 bambini, di cui molti vivono stabilmente nella struttura. Negli anni, più di 500 minori sono passati da qui, trovando protezione, istruzione e una possibilità di riscatto.

Gli operatori parlano di questi bambini come figli: “Noi siamo i loro genitori”, dicono. Il loro compito è ridare fiducia e dignità a chi ha vissuto traumi profondi, offrendo cure mediche, supporto psicologico e istruzione. Qui i bambini trovano dormitori separati per maschi e femmine, insegnanti, educatori e operatori sanitari che li accompagnano in un percorso di guarigione. 68 membri dello staff si occupano del loro benessere, garantendo assistenza, cibo e formazione.

La priorità è garantire un’istruzione di qualità: i ragazzi frequentano scuole primarie e superiori. Durante le pause scolastiche, vengono organizzati corsi professionali per evitare che i ragazzi si perdano nella droga o nell’inattività. Il villaggio incoraggia i giovani a sviluppare talenti manuali, come la scultura, la parruccheria e la falegnameria, per avviarli a un futuro lavorativo dignitoso.

 Autosufficienza e risorse per il sostentamento

Garantire pasti e istruzione a 150 bambini è una sfida economica. Il centro si autosostiene grazie ad attività agricole e di allevamento: si producono latte, miele e ortaggi, destinati al consumo interno e alla vendita. Partecipando a bandi e gare locali, il Simba Village cerca ulteriori finanziamenti, ma il bisogno di fondi è costante.

L’acqua è una risorsa fondamentale in questa regione secca. Il villaggio dispone di un pozzo e una parte dell’acqua estratta viene venduta alla comunità locale, contribuendo così al bilancio della struttura.

Dall’accoglienza al lavoro

Il percorso non si conclude con l’infanzia. Quando i ragazzi raggiungono l’età adulta, il centro li aiuta a inserirsi nel mondo del lavoro. In Kenya la disoccupazione è alta, ma il Simba Village collabora con aziende locali per attivare tirocini (internship), offrendo ai giovani un’opportunità di assunzione.

L’educazione non è solo scolastica, ma anche etica: i ragazzi vengono istruiti alla puntualità, all’onestà e al rispetto delle regole. Alcuni ex ospiti hanno già trovato lavoro all’estero, come una ragazza che oggi lavora in Canada, mentre altri hanno avviato carriere locali grazie al sostegno del centro.

Reintegrazione e riconciliazione familiare

Il percorso di accoglienza non si esaurisce nel villaggio: l’obiettivo finale è la reintegrazione familiare. Per legge, i bambini non possono rimanere più di tre anni nei centri di accoglienza, a meno che la struttura non sia riconosciuta come scuola con dormitorio, come avvenuto nei centri dei Salesiani.

Tuttavia, il rientro in famiglia è un processo delicato. Spesso i genitori sono gli stessi che hanno abusato o maltrattato i bambini. In questi casi, si cercano parenti più lontani, come zii o nonni, in grado di accoglierli. Per alcuni minori, la sfida è ancora più complessa: abbandonati da piccoli, non ricordano nulla della loro famiglia o hanno ricordi vaghi e frammentari.

Gli educatori del Simba Village lavorano con dedizione per ricostruire i legami familiari. Raccogliendo testimonianze e dettagli dai bambini, viaggiano per giorni alla ricerca di parenti, spesso affrontando il rifiuto o l’indifferenza. Alcuni adulti negano di conoscere il bambino, soprattutto se nato da relazioni extraconiugali. In altri casi, i genitori sono morti.

Il centro offre supporto anche alle famiglie, grazie alla collaborazione con AVSI, proponendo percorsi di formazione per aiutarle a comprendere l’importanza di un’accoglienza serena e responsabile. Ogni caso viene seguito con attenzione, nella speranza di garantire ai bambini una casa sicura e amorevole.

Exif_JPEG_420
Exif_JPEG_420

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *