Foto Penny Wirton

Di Giovanna Pasqualin Traversa

Un “Cammino della pace” che vuol essere una sorta di pellegrinaggio della mente, dell’anima e del cuore. Eraldo Affinati, scrittore e insegnante romano (nella foto), fondatore 17 anni fa con la moglie Anna Luce Lenzi della scuola Penny Wirton per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati – oggi una settantina di sedi su tutto il territorio nazionale – accompagnerà da Milano a Roma i ragazzi delle Penny Wirton disseminate lungo il percorso. Una carovana colorata e rumorosa partita il 5 maggio, per arrivare nella capitale mercoledì 14. Con Affinati parliamo di questo cammino ed anche della sua ultima fatica letteraria, “Testa, cuore e mani. Grandi educatori a Roma” (Libreria Editrice Vaticana 2025) che, con la prefazione del card. José Tolentino de Mendonça, uscirà a metà maggio.

Foto Siciliani-Gennari/SIR

Eraldo, da dove nasce l’idea del Cammino della pace?
Credo che parlare o scrivere di pace sia importante, ma non sufficiente. Secondo me è necessario compiere azioni simboliche in grado di suscitare riscontri emotivi e intellettuali.

Soprattutto i giovani hanno bisogno di gesti in cui riflettersi, cercando qualcosa di sé stessi.

Non possiamo lasciare questo tema ai responsabili politici o agli opinionisti. Sono consapevole che la storia è frutto di un equilibrio di forze contrapposte; tuttavia, ho sentito l’esigenza di organizzare degli eventi pubblici, piccoli ma spero significativi, che possano creare degli spazi magnetici in alcune zone del nostro Paese.

Quali saranno le tappe del percorso e come vi muoverete?
Io e Piero Arganini, responsabile della Penny Wirton di Parma, avremo

una pergamena da riempire di frasi, firme, richieste, auguri e possibili vaticini.

Utilizzeremo treni regionali, autobus, passaggi di amici, faremo anche qualche tratto a piedi sulla via Francigena in pieno spirito giubilare. Milano, Parma, Massarosa, monastero di Cellole, Siena, Chianciano, Montefiascone, Roma: in ognuno di questi posti ci saranno incontri con studenti e volontari delle varie Penny Wirton che ci regaleranno storie e parole da condividere.

Sarà un “incrocio” di cammini?
Sì, perché mentre io e Piero spiegheremo ai ragazzi l’Italia che attraverseremo, loro ci racconteranno i cammini compiuti per venire da noi: chi da Lampedusa, chi dalla rotta balcanica. Chissà,

forse faremo comprendere a qualcuno che gli stormi degli uccelli in cielo non sono poi così diversi da quelli degli uomini in terra:

un’intuizione lirica che è stata recentemente riattualizzata da Nathacha Appanah nel suo bel libro “La memoria fragile”.

(Foto: Issr Marvelli)

Una pergamena da riempire, quindi un’esperienza di scrittura collettiva? Perché?
Ho deciso di riprendere la lettera che il 29 luglio 1999 venne ritrovata nelle tasche di due adolescenti africani, Yaguine Koita e Fodé Tounkara, morti assiderati nel carrello di un aereo a Bruxelles, nella quale i due giovani sventurati chiedevano istruzione, cibo e medicine. La riformuleremo con la nostra sensibilità recuperando la dimensione corale che ci ha insegnato il priore di Barbiana.

Il 14 maggio è previsto l’arrivo a Roma. Come si concluderà questo pellegrinaggio della mente, dell’anima e del cuore?
Contiamo di fare l’ultimo tratto a piedi dal parco dell’Insugherata, sulla via Cassia, a nord di Roma, fino a piazza San Pietro, dove, attingendo all’eredità spirituale di Papa Francesco, consegneremo la lettera al nuovo pontefice.

Francesco si è speso instancabilmente per la pace. Qual è per te la grande eredità che ci ha lasciato? E alla vigilia del Conclave, quali caratteristiche dovrebbe avere a tuo avviso il nuovo pontefice?

Papa Francesco è riuscito a parlare a credenti e non credenti.

Tanti sono gli aspetti del suo pontificato che mi hanno colpito: oltre alla bandiera della pace, sventolata in forma nuova, vale a dire senza dimenticare i contesti storici nei quali si deve configurare, la consapevolezza della necessità di rinnovare il linguaggio religioso; l’attenzione profonda alla dimensione educativa; la sensibilità ambientale; il costante richiamo ai migranti e ai poveri come simbolo del confronto con gli altri in una sorta di nuovo paradigma relazionale; la luce accesa sui detenuti, che non si dovrebbero arrendere al fallimento ma continuare a nutrire la speranza. Tutto questo non avrebbe avuto l’impatto cui abbiamo assistito, se non ci fosse stato il tratto umano che ha contraddistinto l’azione di Jorge Mario Bergoglio: chiunque verrà dopo di lui dovrà tenerne conto, al di là delle posizioni riformiste o conservatrici che assumerà, in quanto il carattere deciso, eppure misericordioso del suo operato, aveva

una matrice evangelica capace di coniugare tradizione e modernità.

Parlando di Francesco, hai fatto riferimento anche alla sua profonda attenzione agli aspetti educativi. Più volte, infatti, aveva sintetizzato il segreto dell’educazione nel trinomio “testa, cuore, mani”, tre linguaggi da declinare insieme e che danno il titolo al tuo ultimo volume dedicato ad alcuni grandi educatori. Chi sono?
Nel 2025 pubblicherò due libri nel tentativo di rispondere a questa domanda: il primo, in uscita a metà maggio, riprende la preziosa intuizione di Papa Francesco; il secondo, previsto in autunno per le edizioni San Paolo, sarà una sorta di manifesto sull’educazione oggi. In “Testa, cuore e mani” ho seguito le tracce di alcune figure fondamentali della tradizione cristiana e non solo, che hanno operato attraverso i secoli nella Città eterna. Dai classici Santi Pietro e Paolo, Sant’Agostino e Sant’Ignazio di Loyola, a Santa Francesca Romana, San Filippo Neri e San Giuseppe Calasanzio, fino ad alcune sante educatrici che hanno lasciato il segno nell’istruzione cattolica come Lucia Filippini e Luigia Tincani. Ho cercato di raccontare, pensando anche ai giovani che verranno a Roma per il Giubileo, chi erano queste persone, in quali luoghi si sono adoperate per aiutare bambini, poveri e indigenti, in cosa possono ancora adesso esserci utili. Chi era quell’uomo burbero e generoso che i ragazzini di Trastevere chiamavano Tata Giovanni? Cosa fece don Giovanni Bosco quando venne nella nuova capitale italiana? In che modo Ignazio Silone fu cambiato per sempre dall’incontro alla stazione Termini con don Luigi Orione? Sono andato nel quartiere di San Lorenzo sulle tracce di Maria Montessori. Ho rievocato la straordinaria avventura, non solo televisiva, di Alberto Manzi e, al Tiburtino, dei meno noti Albino Bernardini e don Emilio Grasso. Ho idealmente riparlato con don Roberto Sardelli, il prete delle periferie capitoline, e con mons. John Patrick Carroll Abbing, l’inventore della Città dei ragazzi.

Qual è il fil rouge che, pur nella diversità delle caratteristiche personali e dei periodi storici, li unisce?
Il tratto comune che mi è sembrato di poter individuare è

la spasmodica attenzione nei confronti dei ragazzi difficili, ribelli, svantaggiati.

Come se l’adolescenza in crisi, quella del passato e quella a noi contemporanea, mettesse allo scoperto un’incrinatura della natura umana a cui l’uomo etico sente di dover porre rimedio, oscuramente richiamato a sanare le piaghe e asciugare le lacrime. In questo senso i bambini “frenastenici”, ovvero con ritardi mentali, di via della Lungara, accanto al Tevere, verso i quali Maria Montessori rivolse le sue cure, rappresentano un paradossale strumento di osservazione per comprendere la radice profonda dell’istruzione.

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