(Foto Gruppo Teddy)

Di Alberto Baviera

“Un imprenditore porta in sé una speranza. Infatti ogni impresa non nasce innanzitutto da un progetto ma da un uomo che vive un desiderio grande di realizzazione che è quello di costruire qualcosa di utile per sé e per il mondo”. Ne è convinto Alessandro Bracci, 51enne presidente e amministratore delegato del gruppo d’abbigliamento Teddy. Vicepresidente della Compagnia delle Opere, è sposato con Cristiana Tadei, una delle figlie di Vittorio (scomparso a 81 anni nel 2016) che nel 1961 ha fondato Teddy, gruppo con sede a Gatteo, poco distante da Rimini, e forte presenza internazionale, con quattro marchi (Terranova, Rinascimento, Calliope e QB24). Lo intervistiamo in occasione del Giubileo degli imprenditori.

Alessandro Bracci

Alessandro Bracci (Foto Gruppo Teddy)

Ieri e oggi si celebra a Roma il Giubileo degli imprenditori. In che modo si sente coinvolto da questo evento?
È un evento che rende concretissima ed evidente la stima e la cura che la Chiesa ha verso l’imprenditore e verso tutte le persone che con lui vivono l’avventura dell’impresa secondo una visione della stessa che deve

avere come vocazione quella di creare ricchezza diffusa, occupazione dignitosa, dialogo e pace tra le persone e tra i popoli.

Teddy nasce da questa visione che il nostro fondatore, Vittorio Tadei, ha abbracciato al punto da impostare l’azienda su questi principi. “Sono fermamente convinto che se ho svolto bene il mio lavoro è grazie al mio socio di maggioranza, che è il Padre Eterno” (Il socio di Minoranza. L’avventura umana e imprenditoriale di Vittorio Tadei). Queste erano le parole con cui alla fine della sua vita giudicava la sua esperienza di imprenditore.

In un’epoca come quella che viviamo oggi, credo che il Giubileo sia un invito a riscoprire il senso profondo del nostro lavoro, del tentativo che facciamo di costruire ogni giorno qualcosa di grande per noi e per tutti coloro che sono coinvolti in questo.

Aprendo il Giubileo alla vigilia di Natale, Papa Francesco esortava tutti a “ritrovare la speranza perduta, rinnovarla dentro di noi, seminarla nelle desolazioni del nostro tempo e del nostro mondo: senza indugio”. Come può un imprenditore concretamente declinare questo invito?

Un imprenditore, naturalmente, è una persona che porta in sé una speranza, altrimenti non sarebbe nemmeno partito per un’avventura cosi affascinante e complessa.

Ogni impresa, infatti, non nasce innanzitutto da un progetto ma da un uomo che vive un desiderio grande di realizzazione che è quello di costruire qualcosa di utile per sé e per il mondo. La speranza dell’imprenditore cristiano nasce dalla carezza con cui la Chiesa gli dice che questo desiderio è buono e che nella sua avventura l’imprenditore ha una missione giusta.

Per questo

credo che il compito dell’imprenditore, ma non solo dell’imprenditore, anche dei manager che lavorano con lui, sia quello di coltivare questi desideri, illuminare queste certezze, soprattutto nei momenti di difficoltà; ricordarle, valorizzarle, proteggerle, perché è questo che aiuta ad affrontare ogni giorno in azienda con speranza.

Quale contributo può dare alla società di oggi la figura dell’imprenditore per costruire un mondo più giusto, un’economia più sostenibile, un lavoro dignitoso e rispettoso delle persone?

(Foto Gruppo Teddy)

Il nostro contributo sono le nostre stesse aziende, affinché crescano sempre di più come luoghi in cui le persone possano appartenere, riconoscersi, compiere un cammino di realizzazione umana e professionale.
Ci siamo accorti, in questi anni tante volte, del bisogno di appartenenza dell’uomo, del bisogno di un luogo. Questo può essere il nostro contributo, oltre a quello di

costruire aziende sostenibili, non solo dal punto di vista ambientale e sociale ma, soprattutto in questi tempi, anche economico.

In una fase e in una società caratterizzate da sfiducia, smarrimento, preoccupazione e incertezza – anche per via delle dinamiche internazionali – come può un imprenditore essere testimone di speranza nel contesto lavorativo che guida e nel territorio in cui opera?

L’imprenditore ha bisogno di una compagnia;

questo è quello che per me ha sempre fatto la differenza: la relazione con qualcun altro che ti aiuta a guardare la realtà per le sue opportunità, che ti sostiene in un compito che a volte magari ti toglie qualche ora di sonno.

Nel mio percorso professionale, anche quando non facevo l’imprenditore, non essere solo è quello che mi ha permesso di sperare e di aiutare gli altri a guardare la realtà con speranza.

Negli ambiti che vivo, vedo tanti manager e imprenditori che decidono di non stare da soli, ma di aiutarsi l’un l’altro. Questo è il fattore che vedo più interessante e tante volte accade perché c’è un’esperienza di fede alle spalle.

Per volere del suo fondatore, Vittorio Tadei, il vostro gruppo è da sempre e convintamente impegnato sul fronte della responsabilità sociale. In quali ambiti è andato attuandosi questo impegno? E perché non è – anche oggi – semplicemente una scelta di buoni sentimenti?

(Foto Gruppo Teddy)

Non è una scelta di buoni sentimenti perché, prima di tutto, lo facciamo per noi: ci guadagniamo noi, impariamo noi quando sappiamo che stiamo aiutando gli orfani di Aids dell’Africa o i ragazzi di Rimini a ricevere un’educazione che li aiuti in una reale scoperta di sé. Lo abbiamo scritto anche nel nostro magazine, reagendo a tendenze che dicono che è finito il momento dei buoni sentimenti; per noi

non è questione di buoni sentimenti, è questione di educarci al dono di sé, educazione che aiuta a fare meglio il proprio lavoro, a innovare, a relazionarsi con i clienti.

Ne siamo fortemente convinti.

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