(Foto AFP/SIR)

Di Gianni Borsa

Dazi, controdazi, misure coercitive… Termini che confliggono con il libero mercato, misure che pesano sul commercio internazionale e, al fondo, sulla collaborazione economica tra gli Stati. Il tutto avviato di recente dalle iniziative dell’amministrazione Trump, turbando i mercati e, soprattutto, generando ricadute sulle imprese, sui lavoratori, sui consumatori. Quindi su tutti, indistintamente: cittadini europei, statunitensi e di altri Paesi. “I dazi sono tasse”, ha più volte ribadito la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. La minaccia che giunge dagli Stati Uniti sta, non a caso, sollevando reazioni da Pechino, Tokyo, da innumerevoli Paesi aderenti all’Organizzazione mondiale del commercio. Persino da Mosca.
Così, mentre i Ventisette votano i controdazi in risposta alle pressioni americane sulle relazioni bilaterali, la stessa Commissione ricorda di avere pronto il “bazooka”, aggiungendo subito:

“Speriamo di non doverlo usare”.

Una osservazione preliminare. Il bazooka è in questo caso il nome corrente dello “Strumento anti-coercizione” (in inglese Anti-Coercion Instrument, Aci), varato dall’Ue nel 2023. Ma non a caso si sfodera l’appellativo militaresco che corrisponde al clima da “guerra commerciale” sollevata proprio da Trump. Purtroppo, siamo in tempi di guerra reale, e le tensioni ora si riversano sull’economia, che andrebbe invece intesa come attività fondata sulla cooperazione e per la creazione di benessere.
Dunque, si parla di Bazooka per indicare una risposta a forme di pressione provenienti da uno o più Paesi terzi contro l’Unione europea o uno dei suoi Stati membri. Per il suo utilizzo è previsto un iter istituzionale preciso, che coinvolge dapprima la Commissione, la quale solleva il caso dinanzi al Consiglio (Stati membri), chiamato a decidere se mettere in campo l’Anti-Coercion Instrument; sarà poi ancora la Commissione, organismo “esecutivo” ad adottare le misure nei tempi e nelle modalità stabiliti.
Quali misure? Anzitutto si parte da una fase di dialogo con il o i Paesi terzi coinvolti. Se l’azione politica non porta al risultato sperato, possono essere introdotte alcune iniziative ritenute “punitive”, vere e proprie ritorsioni che rispondono alla coercizione esterna, che siano proporzionali e ritenute necessarie per proteggere gli interessi europei.
Tali misure – attuate per rispondere a dazi discriminatori, boicottaggi, oneri burocratici, specifiche imposizioni doganali – possono colpire l’import di beni, la fornitura di servizi, investimenti transnazionali, ma anche appalti pubblici, oppure le proprietà intellettuali, fino a regole sanitarie o ambientali. Uno strumento, il bazooka, potente, in grado di innescare ulteriori ritorsioni, e infatti finora mai utilizzato. Viene definito come uno strumento di “deterrenza” (ancora dal vocabolario bellico), che dovrebbe prevenire una escalation di ritorsioni.

Per queste ragioni il bazooka non è un mezzo che l’Ue intende utilizzare.

Si preferisce la cooperazione economica e il libero scambio. Ma semmai occorresse, l’Aci è stato normato. Al momento alcuni Stati membri ne ritengono possibile, se non auspicabile, l’utilizzo (soprattutto Paesi economicamente forti come Germania e Francia); altri, come l’Italia, vorrebbero evitare che lo scontro con gli Usa prendesse una brutta piega. Molto dipenderà da Washington. Gli ultimissimi segnali (e il linguaggio) provenienti da Donald Trump non incoraggiano. L’Ue – e Bruxelles lo conferma a ogni piè sospinto – mira, come sempre, a negoziare. I prossimi giorni potranno fornire ulteriori chiavi di lettura.

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