(Foto Avvenire)

Di M. Elisabetta Gramolini

In calo, anche se le realtà che attraggono resistono e mantengono vivo uno spaccato di società. Il volontariato in Italia, secondo le rilevazioni dell’Istat, ha subito un’emorragia di un milione di cittadini negli ultimi anni. Le ragioni sono varie. Fra tutte, spicca l’incapacità di conciliare i tempi del lavoro a ciò che si vorrebbe fare per gli altri. A chi, nonostante tutto, trova la quadra fra impegni professionali, familiari e desiderio di donare le proprie capacità in favore del prossimo è dedicato il Giubileo del mondo del volontariato, in programma l’8 e il 9 marzo.
Solo nel nostro Paese sono circa quattro milioni i cittadini calcolati dai censimenti ufficiali che si mettono a disposizione di chi ha bisogno. Spesso si avvicinano alle organizzazioni per il passaparola o per un senso di riconoscenza per ciò che hanno ricevuto nella vita. Molti, comunque, dopo aver sperimentato il dono, si rendono conto dell’impossibilità di tornare indietro.

Tra le realtà attive, c’è la Fondazione Progetto Arca che a Roma ha appena aperto, nel quartiere Prati, un guardaroba solidale, in un locale confiscato alla criminalità organizzata, messo a disposizione dal Comune di Roma per diventare la Casa del Volontariato, sede del Forum Terzo Settore del Lazio e uno dei punti di accoglienza dei pellegrini Vol.A in Rete per il Giubileo.
Rivolto alle famiglie fragili in disagio economico e ai senza dimora, il nuovo spazio è il secondo, dopo quello di Milano, che il Progetto Arca avvia in collaborazione con il marchio di abbigliamento H&M Italia. La formula è semplice: ogni mese cento persone, del territorio o individuate dai servizi sociali, possono scegliere e prendere gratuitamente abiti e arredi donati dall’azienda. Il guardaroba affianca i servizi già attivi nello stesso locale e gestiti dalla Fondazione: il market solidale per il sostegno alimentare e lo sportello di ascolto e orientamento ai servizi.
La possibilità di scegliere come vestirsi non è una banalità. È anzi una tappa importante per riconquistare un po’ della dignità che le difficoltà economiche e la strada hanno rubato. “È un luogo prima di tutto di inclusione, dove le persone trovano una risposta rapida e concreta a un bisogno materiale, ma incontrano anche i volontari che le accolgono con un sorriso, che le ascoltano nel loro momento di difficoltà di vita, instaurando relazioni importanti per un processo di reintegrazione sociale”, spiega Alberto Sinigallia, presidente di Progetto Arca.

“Senza i volontari la Fondazione potrebbe fare il 10% di quello che fa, specie in strada”, ammette Sinigallia che non lamenta una crisi di candidature. “Al nostro sito – dice – arrivano in media sei nuove richieste al giorno e il mese prossimo, 47 ragazzi del servizio civile inizieranno il proprio periodo con noi. Avvertiamo il bisogno delle persone di restituire ciò che hanno avuto”. Chi dedica il proprio tempo offre qualcosa di diverso agli altri: “le aziende donano beni e le istituzioni consegnano spazi. Il volontario è l’ultimo anello a contatto con l’indigenza, ma è anche il più importante perché attraverso l’empatia e il sorriso riesce a fare ciò che lo psicologo o l’assistente sociale non fanno. Il volontario è immerso nella relazione con le persone, dà loro bellezza e dignità”.
C’è pure chi, da persona con fragilità, diventa a sua volta un volontario: “quando accade – racconta Sinigallia –, si avverte una sintonia. Ci sono volontari, per esempio, che hanno un trascorso di dipendenza e capiscono in maniera immediata i bisogni e lo stato d’animo guardando negli occhi l’altro”.
Il nuovo spazio è inserito inoltre in una zona benestante della Capitale. “È un bene – commenta il presidente –. In passato abbiamo avuto persone che hanno trovato lavoro perché nel quartiere dove era attivo il progetto i negozianti si sono resi disponibili. Credo infatti che l’uomo sia come la cassa di una chitarra: ciò che è intorno risuona all’esterno. Se l’uomo sta in un carcere, risuonerà violenza, ma se va in un bosco trasmetterà armonia”.
A parte il calo numerico, in Italia il ruolo dei volontari è cambiato perché alle persone vengono richieste sempre più competenze specifiche. “Devono avere una formazione, se vogliono incidere sulle politiche pubbliche. E infatti gli enti del Terzo settore sono quelli che producono più ore di formazione in questo Paese”, osserva Francesca Danese, portavoce del Forum del Terzo Settore del Lazio, a margine della presentazione del guardaroba.
Per consentire un futuro a chi mette a disposizione per gli altri il proprio tempo, secondo la portavoce, lo Stato dovrebbe prevedere maggiori garanzie. “In questo momento – afferma – dovremmo scendere in piazza per chiedere più risorse, più possibilità. Si avverte la fatica di dover rincorrere i bandi. Quando concorrono, agli enti viene chiesta una fidejussione in capo al presidente che impegna anche la propria casa. Come avviene per le aziende private, tutelate da fondi specifici di garanzia, la stessa cosa dovrebbe avvenire per gli enti del Terzo settore”.
Sulla disponibilità delle persone, Danese aggiunge: “i tempi di vita e di lavoro – spiega – sono cambiati. In questi anni abbiamo perso tanti volontari ma ne abbiamo guadagnati altri, per esempio i giovani che non è vero che non si interessano. Cercano, in verità, di conciliare i tempi del volontariato con la ricerca del lavoro. Si impegnano, eccome, sui temi della pace, dell’ecologia, della cultura. Siamo noi che ci dobbiamo adeguare ai loro orari”.

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