(Foto gentile concessione di Nunzio Primavera)

Di Daniele Rocchi

Il motto “Estote parati” (siate pronti) e la legge scout come bussola per orientarsi nella vita. È stato un legame profondo quello di Nicola Calipari – funzionario del Sismi (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare), morto vent’anni fa (4 marzo 2005), in Iraq per liberare la giornalista de “Il Manifesto”, Giuliana Sgrena – con lo scautismo. Una formazione che ha permeato la sua vita e la sua professione, costellata di incarichi importanti, fondate su valori come il servizio, la lealtà, l’operosità e la generosità.

(Foto gentile concessione di Nunzio Primavera)

Calipari è morto facendo scudo, con il suo corpo, a Giuliana Sgrena, colpito da alcuni colpi di mitragliatrice partiti da un check point dell’esercito americano, presente in Iraq dopo l’invasione del 2003. Dopo venti anni, la sua morte non ha avuto (ancora) giustizia. Forte il legame di Nicola Calipari con la sua terra di origine, lui nativo di Reggio Calabria nel 1953. In Aspromonte si recava con i suoi scout a campeggiare, a osservare il volo del nibbio, rapace, abile predatore, facile da vedere in quelle zone. “Ed è forse anche per questo motivo che scelse ‘Nibbio’ come nome in codice”, racconta al Sir suo fratello Maurizio. Ma “Nibbio” è anche il titolo del film che esce oggi nelle sale italiane, per la regia di   Alessandro Tonda, che racconta i 28 giorni che precedettero quel 4 marzo del 2005.

A venti anni dalla morte i suoi scout lo raccontano così. “È stato il mio Maestro dei Novizi (Branca Rover e Scolte, giovani di età compresa tra i 16 ed i 20/21 anni, ndr.) nel Gruppo di Reggio Calabria 3 – ricorda Nino Gangemi – Nicola proveniva dal Reggio Calabria 1 dove aveva fatto l’esploratore. Eravamo un gruppo di una decina di giovani, giunti alla fine dell’esperienza del Reparto e arrivati in Noviziato. Qui siamo stati accolti da Nicola che ci ha trasmesso un forte senso di comunità, di unione, di fratellanza. Erano i primi anni ’70 e si stava preparando la nascita dell’Agesci, con la fusione di Agi e Asci. Ricordo che il nostro noviziato, Reggio Calabria 3, fu tra i primi se non il primo Noviziato misto in Calabria e forse in Italia. Furono anni ricchi di avventura – aggiunge Gangemi -. Nicola poi seguì la sua strada professionale, dopo la laurea, che lo ha portato a ricoprire incarichi di grande prestigio. Era un uomo allegro, ironico, dalla battuta sempre pronta, davvero un grande amico. Con noi in quel gruppo c’erano anche, tra gli altri, Mario Zappia oggi presidente della Sin, la Società italiana di neurologia e Pietro Gaeta l’attuale procuratore generale della Cassazione. La notizia della sua morte ci lasciò sgomenti. Quel giorno ci ritrovammo tutti in chiesa a pregare”.

“Nicola Calipari l’ho conosciuto nel 1973 quando da maestro dei novizi ha accolto me e una ‘banda’ di ragazzi sedicenni al clan ‘Anassila’ del Gruppo Asci Reggio Calabria 3 – racconta al Sir Nunzio Primavera, per anni al vertice della comunicazione di Coldiretti -. Immediatamente siamo stati catturati dalla sua personalità e dal suo carisma, quello che solo gli autentici leader possiedono. Carisma che ci ha permeati e che in noi è rimasto vivo anche da adulti. Una forza e una capacità quella di Nicola di essere, allo stesso tempo, fratello maggiore e educatore che ancora oggi, dopo 52 anni, in quegli adolescenti di allora, fa vedere in questo uomo un vero capo, il punto di riferimento, l’esempio da seguire, l’amico al quale chiedere consigli”.

“Calipari era determinato e mai aggressivo verso gli altri – sottolinea Primavera-. Sapeva guidare con piglio deciso quel gruppetto di ragazzi scalmanati che eravamo e che per la prima volta ci avvicinavamo con curiosità ai grandi temi esistenziali e sociali”.

Era la “difficile stagione” del referendum sul divorzio, ma anche quella a Reggio Calabria del “boia chi molla” e della “sanguinosa guerra cittadina per Reggio capoluogo”, oltre che la stagione di grandi sconvolgimenti economici e sociali nel Paese. “Di tutte queste cose nel nostro clan discutevamo anche scontrandoci, noi ragazzi pieni di desiderio di confronto e di comprendere cosa accadeva attorno a noi. La presenza di Nicola era discreta, mai invadente e aggressiva, ma sempre attenta a farci capire che dovevamo lasciare spazio a un confronto che fosse basato sul rispetto degli altri senza pregiudizi e prese di posizione preconcette”.

Insegnava l’ascolto. Ma su tutto vale l’insegnamento “della virtù dell’ascolto dell’altro e della comprensione delle sue ragioni.

Nicola ci ha insegnato a vivere senza bigottismo l’adesione ai valori cristiani di solidarietà

verso gli altri e di impegno per fare qualcosa di concreto per migliorare il mondo. Principi che ci ha trasmesso e che tutti noi di quel gruppo abbiamo condiviso allora e ancora oggi sono un collante che ci tiene uniti”. “Pensare che abbia salvato la vita di Giuliana Sgrena con il suo corpo non mi meraviglia nemmeno un po’, perché è coerente con quello che ci ha trasmesso fin da ragazzini. Con quei forti valori che erano alla base di un carattere deciso, determinato, ma anche tenero con gli amici, allegro nella condivisione dei momenti di comunità, aperto alla gioia per una meta condivisa. Una persona timida e poco espansiva in pubblico, anche per i ruoli di primo piano che ricopriva. Sapeva essere più che un fratello e sapeva spendersi al massimo per gli altri, per la gente che aveva bisogno. Nicola era un uomo che sapeva dare tutto, anche se stesso. Così è stato”.

“Serio e ironico al tempo stesso, leggero ma profondo, sempre con il sorriso sulle labbra come si conviene ad uno scout”: Giuliana Periti ricorda così Nicola Calipari. Anche in questo caso una vita con il foulard scout appeso al collo. Giuliana, all’epoca era Capo Reparto del gruppo Agi Reggio Calabria 1. Con quello che sarebbe poi diventato suo futuro marito, Giuseppe Partinico, contribuì con Nicola Calipari a fondare il gruppo Reggio Calabria 3 “Candelora” facendolo transitare nella neonata Agesci. Partinico era anche il migliore amico di Nicola Calipari. “L’amicizia tra le nostre famiglie – spiega Periti – è andata oltre l’ambito scout. Abbiamo condiviso tanti momenti belli, il matrimonio, la nascita dei figli. Quando successe la tragedia i primi a correre a Roma siamo stati io e mio marito Giuseppe. Sapere che dopo 20 anni non è stata fatta giustizia della sua morte ci lascia interdetti. Non si capisce come un’operazione così importante sia potuta finire tragicamente”.

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