Di Chiara Biagioni

(da Kharkiv) Una distesa di bandiere ucraine, blu e gialle. Sono così tante che si disperdono fino all’orizzonte. Ad ogni bandiera corrisponde una tomba ed un caduto di guerra. Sono i giovani eroi della “martoriata Ucraina”. Siamo in uno dei cimiteri di Kharkiv. Nelle foto sono ritratti i volti di ragazzi e ragazze, tutti in divisa, spesso appena ventenni. Hanno dato la vita per questo Paese. E sono una moltitudine. L’Ucraina sta pagando un prezzo altissimo per questa guerra che dura dal 2014. Un prezzo su cui però è calato un velo di mistero. Non si sa esattamente quanti siano i soldati ucraini morti sul fronte. Sul loro numero, il governo ha imposto un segreto militare. Siamo in uno dei cimiteri di Kharkiv.Da qui, il fronte dista solo 30 chilometri. Ma il silenzio sovrasta i rumori della guerra. Si sente solo il suono delle bandiere che sbattono al vento gelido dell’inverno.

Kharkiv, la cattedrale greco-cattolica di San Nicola (foto Biagioni)

La strada che porta dal centro della città verso la cattedrale greco-cattolica di San Nicola a Kharkiv è deserta. È la strada che conduce verso il confine russo, praticamente verso il fronte, verso i territori in cui si combatte e da dove partono i droni. I villaggi che si trovano lungo questa linea, sono occupati dai russi. Appena fuori dalla città, i soldati stanno dando la vita per conquistare o difendere qualche metro di terra. In realtà, l’accesso a questa parte di territorio è vietato. Ci sono posti di blocco che impediscono i passaggi non autorizzati. D’altronde, al di là della linea, ci sono le trincee. L’intera area è “protetta”. Appena giunti qui, le linee telefoniche e gli apparecchi elettronici cominciano gracchiare. Sono disturbati dalle onde che i militari mandano per disturbare i droni russi o per deviare i missili.Si tratta di una protezione fragilissima perché se un missile per arrivare a Kiev impiega un’ora, lo stesso missile per colpire Kharkiv ci mette appena 3 o 4 minuti. Non c’è dunque allarme che tenga. E lo “scudo antiaereo” che protegge Kiev qui non funziona.

Mons. Vasyl Tuchapets, esarca di Kharkiv (foto Biagioni)

È qui che vive il vescovo greco-cattolico Vasyl Tuchapets, esarca di Kharkiv. Ed è lui ad accogliere nella cattedrale di San Nicola la piccola delegazione del Mean, il Movimento europeo per la nonviolenza, a cui aderiscono movimenti e associazioni come il Masci, Comunione e Liberazione, il Movimento dei Focolari Europa. “Quando è iniziata l’aggressione russa su vasta scala – racconta – questa cattedrale è diventata immediatamente un luogo di prima accoglienza delle persone che fuggivano dai villaggi”.

Oggi, la cattedrale è un centro di arrivo e spedizione di aiuti umanitari.

Ancora in via di costruzione – visto che a causa della guerra i lavori sono stati congelati – la chiesa ha adibito tutto il piano interrato a deposito. Il vano è stracolmo di scatole. Si fa addirittura fatica a camminare. In uno scaffale c’è ancora parte del carico arrivato qui qualche settimana fa dal “tir degli aiuti di Papa Francesco”, con la bandiera bianca e gialla del Vaticano. Una volta alla settimana, gli aiuti vengono ordinatamente disposti dentro delle tende, divisi per generi e distribuiti alla popolazione. Sono molto richiesti pannolini per bambini, cibo a lunga conservazione, abbigliamento e medicine. Si calcola che ogni settimana siano 1.500 le persone che si mettono in fila e 100 i volontari che rendono possibile la distribuzione. Partecipa alla missione anche un gruppo di medici.

“Gli aiuti sono diminuiti”, confida il vescovo Tuchapets. “Vorrei però cogliere questa occasione per ringraziare l’Italia e in modo particolare la parrocchia  di Santa Sofia  a Roma con il card. Krajewski e la diocesi di Como”. E aggiunge: “Nonostante tante persone siano andate vie, tantissime sono rimaste e hanno bisogno di tutto. Ci tenevo a farvi vedere le conseguenze reali di questa guerra. Spesso le persone mi chiedono: ma quando finirà la guerra? È una domanda a cui è molto difficile rispondere.La gente è stanca, vuole tornare a vivere una vita serena ma fin quando un nemico ci aggredisce, ogni giorno, non è possibile pensare alla pace. Possiamo solo pregare e sperare in Dio”.

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