
Di Chiara Biagioni

Kyiv, tavolo di lavoro in nunziatura con il Mean (foto Biagioni)
(da Kyiv) “Mi sembra che quello che l’altro giorno a Washington sia mancato, sia l’ascolto. Come spesso succede a livello politico, abbiamo assistito ad uno pseudo-dialogo con grande difficoltà ad ascoltare davvero l’altro, imponendo piuttosto la propria volontà e la propria visione sull’altro. E invece ci vuole tanta misericordia da parte dell’Ucraina e da parte dei partner verso l’Ucraina”. A parlare con il Sir dell’incontro a Washington tra il presidente ucraino Zelensky e il presidente Usa Trump, è il nunzio apostolico a Kiev, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas. Il Sir lo ha incontrato durante un incontro a Kyiv con una delegazione del Mean, il Movimento Europeo per la Nonviolenza. “L’impressione – aggiunge il nunzio – è che per i politici, è difficile avere come priorità il popolo. Il discorso che abbiamo ascoltato a Washington, era concentrato su chi deve ringraziare chi e quanto. Direi su aspetti secondari, dal mio punto di vista. Perciò la grande domanda è: come costruire la pace e con quali forze? Certamente non possiamo fare a meno di politici e ogni paese, ogni politico ha un linguaggio diverso. E’ sempre una sfida. Per questo, ci vuole una collaborazione a vasto raggio, tra politici, tra politici e mondo dei media, tra professionisti e mondo religioso perché tutti insieme si riesca a costruire un linguaggio comune. Il dialogo non è soltanto quello tra Ucraina e Russia. Dialogo richiede più livelli. Dialogo all’interno di ogni paese, tra le chiese, tra i credenti, tra i politici. La guerra interroga e pone domande a tutti. Il fatto che da oltre tre anni, non siamo riusciti a risolvere una guerra così pesante e così drammatica come quella che si sta vivendo qui in Ucraina, dimostra che nel ventunesimo secolo noi come umanità non siamo stati capaci a lavorare e costruire la pace”.
Soprattutto in questi ultimi giorni, la diplomazia gira intorno a questi accordi sulle terre rare. Sembra di stare di fronte alla “diplomazia dei prezzi” e “degli affari”. Che rischio ha una diplomazia impostata in questo modo?
Si capisce perché la realtà umana è anche questo. Ci sono anche gli interessi politici ed economici, quindi realisticamente parlando, capisco che non si possa escludere del tutto questi aspetti. Inoltre, spesso un paese viene in aiuto di un altro perché ha degli interessi. Ma rimane la domanda: questo tipo di vicinanza è di lunga durata? A mio avviso no. Queste saranno sempre strategie di durata limitata e limitata agli interessi. Ed è proprio qui che giocano un ruolo fondamentale le chiese e la società civile, perché mettono al centro la persona e il popolo. Mi pongo sempre questa domanda: cosa e chi ha priorità in una guerra? Perseguire i propri interessi o piuttosto perseguire la pace? Mi è sembrato che l’altro giorno a Washington, la priorità non fosse la pace, anche se sulla bocca c’era la parola “pace”. D’altronde non possiamo neanche metterci a criticare. La politica dipende anche da ciò che noi tutti esigiamo dai politici a cui abbiamo dato il nostro mandato, da che cosa facciamo come chiese, e persino dall’esempio e dalla testimonianza che diamo.In questo momento, ripongo più fiducia nelle persone, nei gruppi e nelle associazioni, laddove c’è un cuore che vuole stare vicino ad altre persone. Questa è la mia speranza.
Dopo quello che è successo a Washington, lei il futuro come lo vede? È preoccupato?
Sarebbe un eufemismo parlare di preoccupazione perché è più che preoccupazione. Ogni giorno in più di guerra significa distruzione, centinaia e centinaia di morti, senza parlare delle tantissime altre conseguenze molto negative sulla popolazione. La mia grande speranza è che quando vediamo che proprio nulla sembri portare alla pace, questo spinga le persone che hanno in mano gli strumenti, a fare qualcosa, a capire che così non può funzionare.
Siamo tutti nudi di fronte alla guerra. E’ nudo di fronte alla guerra anche l’aggressore perché quando ti metti a fare la guerra e non c’è nessuno capace di fermarti, la guerra diventa un problema anche per te.

Kyiv, celebrazione della “domenica del Perdono” in nunziatura (foto Biagioni)
Domenica 2 marzo si è celebrata qui in Ucraina “la domenica del perdono” secondo il rito bizantino. Si arriverà mai al perdono tra i popoli russo e ucraino?
Chiedere perdono anche quando ci sembra che non abbiamo fatto nulla di male. Questo non significa essere ingenui. Certamente ci sono dei processi che esigono del tempo. Nella bolla di indizione del Giubileo, Papa Francesco ci ha chiesto di osservare la natura e la natura non evolve per salti. Ci sono dei processi che evolvono e ci vuole tanta pazienza per attendere il risultato di ciò che si semina. Quindi dobbiamo seminare un futuro di riconciliazione ma lo seminiamo, predicando la giustizia e la verità. Rispondendo alla domanda di quando si potrà cogliere il frutto della riconciliazione, è difficile da prevedere.
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