Vaste zone del Sudamerica, in particolare le regioni amazzoniche, della Chiquitania boliviana, del Pantanal brasiliano e del Chaco paraguaiano, sono in preda a devastanti incendi, che stanno distruggendo milioni di ettari di territorio. Aiutati dal periodo di calore e siccità, molti roghi sono intenzionali. Nel fine settimana si sono susseguiti numerosi pronunciamenti da parte di vescovi e realtà ecclesiali e sociali. La situazione peggiore è quella della Bolivia, dove gli incendi di susseguono da settimane e il fumo, arrivando fino al grande altipiano di La Paz, ha costretto alla chiusura dell’aeroporto internazionale di El Alto, oltre ad altri scali nazionali. Mons. Estanislao Dowlaszewicz, vescovo di Santa Cruz de la Sierra, ha affermato ieri, durante l’omelia domenicale: “Il nostro cielo ancora una volta, invece di essere il più puro d’America, continua ad essere il più inquinato del mondo”. E ha proseguito: “È così difficile per le nostre autorità ottenere mezzi adeguati per spegnere gli incendi, invece di dare ai pompieri e ai volontari strumenti che sono praticamente inutili per spegnere il fuoco?”.
Grande siccità e incendi record anche in Brasile, dove la Conferenza nazionale dei vescovi (Cnbb) attraverso la sua presidenza, ha pubblicato una nota, nella quale sottolinea che “la gravità di questo momento richiede a tutti coraggio, saggezza e una pronta correzione di rotta”.
La nota richiama l’attenzione sui cambiamenti del clima, che ultimamente sta cambiando a una velocità sorprendente. La siccità nel sud del Paese, una delle più grandi siccità del Paese, e lo spaventoso aumento del numero di incendi sono sintomi di questo cambiamento. “Mentre ci avviciniamo alla festa di san Francesco d’Assisi, siamo sollecitati a riconoscere questo momento cruciale e decisivo per la protezione dell’equilibrio ambientale e climatico dell’intero pianeta”, proseguono i vescovi, i quali affermano inoltre che i popoli e le comunità che dimostrano maggiore abilità e cura nella protezione dei biomi sono, paradossalmente, i più minacciati e trascurati. La nota sottolinea l’urgenza che le autorità pubbliche adottino interventi rapidi, efficaci e strutturati per far fronte agli eventi climatici e per garantire l’applicazione delle leggi, il monitoraggio e la punizione dei responsabili, nonché l’investimento in politiche ambientali che promuovano i diritti di tutto il Creato.
A intervenire è anche la Conferenza episcopale colombiana, la quale chiede “alle autorità municipali, dipartimentali e nazionali, così come alle varie società, di adottare misure urgenti per evitare ulteriori danni alle comunità e agli ecosistemi”. I vescovi segnalano che le situazioni più gravi si verificano nei dipartimenti di Tolima, Huila, Cundinamarca, Cauca, Valle del Cauca e Nariño, nel centro e nel sud del Paese, e invitano, inoltre, le comunità a essere più consapevoli della necessità di prendersi cura della nostra Casa comune.
Anche l’Amazzonia peruviana sta attraversando una delle più gravi crisi ambientali della sua storia recente. Gli incendi boschivi hanno causato la morte di 16 persone e colpito 22 regioni. Intere comunità indigene sono minacciate, mentre il governo centrale dichiara solo un parziale stato di emergenza ambientale e ignora le crescenti richieste delle organizzazioni indigene e delle autorità locali. Di fronte a questa gravissima situazione, il Centro amazzonico di antropologia e applicazione pratica (Caap) chiede al governo peruviano di “estendere la dichiarazione a tutte le regioni colpite e coordinare immediatamente le azioni di prevenzione e mitigazione degli incendi”, oltre che di abrogare la legge “antiboschiva” che “promuove la distruzione dell’Amazzonia e viola i diritti delle popolazioni indigene. La sua abrogazione è essenziale per fermare la deforestazione e preservare le foreste amazzoniche”.
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