Giovanni Panozzo
“Sono giunto in un paese di sei abitanti e vivo in una modalità semi-eremitica, in una vecchia casa in pietra, con tanto silenzio e tanto contatto con la natura. Il mio padre spirituale mi aveva messo in guardia: quello è il tuo deserto, non la tua terra promessa. Qui non ho parrocchia, non sono parroco. Non servo a niente.”
Lo senti parlare, e ti viene in mente quel versetto di Luca (17, 10) che dice: «Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». Ma poi pensi che, invece, don Alessandro Deho’ inutile non lo è affatto, con la sua testimonianza di fede e di abbandono assoluto. Ha scelto di vivere nella piccola frazione di Crocetta di Mulazzo (sei anime in tutto), nel cuore della Lunigiana, in provincia di Massa-Carrara ma a due passi dalla Liguria. Accanto alla sua “vecchia casa in pietra” c’è un piccolo orto che va difeso dai cinghiali; dentro quella casa una cappellina in cui si può stare solamente in ginocchio, come tutti quelli che sono in cerca della verità.
Nato nel 1975 a Romano di Lombardia (BG), Alessandro cresce come un adolescente appassionato della vita e scopre l’Africa grazie a un’esperienza missionaria. Obiettore di coscienza e poi infermiere professionale in psichiatria ed ematologia, a 31 anni diventa sacerdote per la diocesi di Bergamo, e inizia a fare il prete in parrocchia, prima a Scanzorosciate e poi, da parroco, ad Arcene, dove è molto attivo con i giovani e nel sociale.
“Avevo investito tutto me stesso – racconta con pacatezza – per essere un bravo uomo di pastorale; lo scherzo divino è stato quello di spogliarmi di tutto:
sono passato dal credere di essere quello che doveva raccontare bene Dio, al diventare un ascoltatore.
Qui è il Risorto che viene a trovarmi”.
Il cane che vive insieme a lui viene a riscuotere la sua dose di carezze, mentre il silenzio dei boschi circostanti rende l’eco di quelle parole ancora più solenne. “Riuscire a capire questa cosa – riprende don Alessandro – è stata durissima, ma è stata la svolta che ha dato senso anche al mio essere qui”.
Nella diocesi di Massa Carrara – Pontremoli lo ha accolto mons. Mario Vaccari, il vescovo, un frate minore che vive il suo ministero episcopale senza perdere la propria indelebile impronta francescana. D’accordo col vescovo di Bergamo gli ha aperto le porte del suo presbiterio. Nonostante la necessità impellente di sacerdoti da destinare all’attività pastorale, mons. Vaccari ha accettato con coraggio la vocazione eremitica del nuovo arrivato e non se ne è certamente pentito: “Io penso che la sua presenza – spiega il presule -, insieme a quella di altri due eremiti che ci sono in diocesi, riconduca il nostro sguardo alla radicalità del Vangelo e dell’annuncio. Sono presenze che parlano di una primavera che sta nascendo. Sono gemme che ricordano che c’è uno Spirito che opera, anche in questa situazione di riduzione della Chiesa, se vogliamo chiamarla così”.
Gli fa eco Alessandro Conti, che in questa diocesi della Lunigiana è il laico responsabile della pastorale sociale e del lavoro. Apparentemente quanto di più lontano da una vita schiva e ritirata come quella del prete eremita, eppure quel che anche lui dice di don Deho’ è davvero sorprendente: “Incontrarlo, è incontrare un uomo innamorato del Vangelo e della Chiesa – spiega Conti –, che non nega i propri limiti ma li mette a disposizione degli altri per crescere, per conoscersi e per conoscere e amare sempre di più Cristo e la Chiesa”.
La verità di queste parole la ritrovi guardando la pila di lettere cartacee che arrivano a Crocetta, o scorrendo insieme a don Deho’ la pagina della posta in arrivo, sullo schermo del suo portatile.
“Per me la Chiesa ha dei confini universali, adesso – riprende con la sua lunga barba, i suoi occhiali e il girocollo di lana grigio –. Lo Spirito è ovunque e io mi ritrovo con amici che stanno in carcere, persone che hanno avuto storie di vita estrema, la suora che fa fatica o quella che è particolarmente felice, il prete in crisi… Io li incontro sentendomi in pieno dentro la Chiesa. Abito questa periferia vera, in cui un povero Cristo come me aveva bisogno di un luogo così per riscoprirsi e per riscoprire Dio in un altro modo.
Cosa è per me la Chiesa, dov’è? È dove ci sono mani che accolgono il volto di Dio che si manifesta nelle storie delle persone.
Si manifesta sulle vittime e sui carnefici, su chi crede di aver tradito la vita e su chi pensa di essere al centro del mondo. Ma puoi farlo solo se Qualcuno, su di te, è stato compassionevole…”
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