Di Vincenzo Tosello
II papa venuto “dalla fine del mondo” ha voluto andare “fino ai confini del mondo”. Paesi e nazioni certamente con la stessa dignità degli altri, ma molto lontani dai “Paesi che contano”, in molti sensi, e certamente dalle nostre cronache.
A quasi 13.000 km da Roma e percorrendo oltre un terzo della circonferenza della terra, papa Francesco si è trovato perfettamente a suo agio: affettuoso con i bimbi, sorridente con la gente, paterno con le Chiese, severo con i responsabili e i governanti della terra. Simbolo di fortezza interiore ma anche fisica: chiaro nei discorsi, brillante nei fuori testo spontanei, consapevole e competente nelle diverse problematiche, inserito agevolmente e amabilmente nei diversi contesti; ottantottenne (il 17 dicembre) in piena forma e incurante dei fusi orari, in carrozzina ma sempre attivo, all’altezza di ogni situazione… Non si tratta di una performance a favore di telecamera, ma di una piena presenza di spirito e di un autocontrollo personale che gli deve costare, ma che vive come un tutt’uno con la sua missione pastorale universale. Il 45° viaggio apostolico che, iniziato all’indomani della Giornata mondiale del Creato, il 2 settembre, si conclude questo venerdì 13, è in assoluto il più lungo (cronologicamente e geograficamente) e, per molti aspetti, il più impegnativo del suo pontificato: una sorta di manifesto anche della sua personalità e del suo messaggio. I temi che egli affronta e rilancia nel suo magistero ormai abbiamo imparato a conoscerli, ma in questo contesto hanno assunto una incisività particolare e un’efficacia tangibile. Andare alle periferie, accogliere i piccoli e gli ultimi, fare spazio ai poveri, prendersi cura di chi ha bisogno, rispettare ogni persona e tutelare l’ambiente, dialogare con ogni confessione e con ogni religione, attuare una politica di autentico servizio, realizzare un’economia che non miri solo all’interesse personale o nazionale, operare sempre per la pace e la riconciliazione… E non sembri solo un magistero orizzontale, poiché il riferimento principe è sempre Cristo, il suo esempio e il suo Vangelo; la fonte di ogni ispirazione è il Padre misericordioso; la forza che anima è lo Spirito. Ai “confini del mondo”, lontanissimo, ma non poi tanto per noi, poiché proprio quei Paesi e nazioni abbiamo potuto conoscere in qualche modo da vicino grazie a rapporti “missionari” che hanno segnato e segnano la nostra diocesi clodiense.
Senza dimenticare che in questa impresa lo accompagna fedelmente – come sempre – il nostro concittadino direttore editoriale dei media vaticani Andrea Tornielli, che ce ne riferisce con intensa partecipazione. Tra le oltre 17000 isole indonesiane, tra le Piccole isole della Sonda c’è Flores dove sono presenti le “nostre” Suore del Santo Volto, alcune delle quali sono già da noi, a loro volta missionarie.
In Papua Nuova Guinea ha operato per decenni prima come presbitero del PIME e poi per 25 anni fino al 2018 come vescovo, a Vanimo, il “nostro” mons. Cesare Bonivento (ora 84enne, ancora missionario in India!); e con lui dal 1994 al 2000 alcune “nostre” suore Serve di Maria Addolorata, tra cui l’attuale priora generale sr. Antonella Zanini. A Timor Est operò per oltre vent’anni fino al 2010 il “nostro” salesiano don Dino Donaggio, zio di un nostro sacerdote. Tutti pastori e ministri che hanno annunciato la Parola e distribuito i sacramenti, incontrato gli ultimi, promosso la società, costruito comunità; che hanno seminato per lunghi anni, si potrebbe dire, ciò che anche papa Francesco ha in questi giorni raccolto incontrando popoli gioiosi anche se segnati dalla povertà e proclamando il suo messaggio apostolico. A Giacarta il segno più eloquente è stato il dialogo con l’Islam, firmando un documento comune per la pace: religione dominante ma conformata alla “pancasila” (i 5 principi di rispetto reciproco) che rende l’Indonesia modello di convivenza, pur tra non poche difficoltà. A Port Moresby e Vanimo in PNG (che si divide la grande isola di Papua con l’Indonesia) il tema della bellezza della gente e dell’ambiente, esaltato nel copricapo con le piume dell’uccello del Paradiso (di cui è adornata anche la mitria lasciata dal vescovo Cesare al nostro Museo…). A Dili, con 600.000 fedeli (il 50% dell’intera popolazione di Timor Est – anch’essa nella metà orientale dell’isola, strappata recentemente all’Indonesia -, che è al 98% cattolica!) l’invito ad andare verso gli ultimi dando voce ai dimenticati, contro ogni umiliazione.
La conclusione infine nella città-stato di Singapore, immersa in un’atmosfera certamente diversa ma non meno bisognosa di Vangelo. Una sintesi impossibile di un viaggio quasi impossibile per un ottantottenne che non finisce di stupire.
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