DIOCESI – “Grazie per aver pensato a Caritas per parlare di evangelizzazione. In genere nell’immaginario comune si pensa a Caritas come a quella parte di Chiesa che si occupa di poveri, di chi non ha nulla da mangiare, di chi non ha un letto per dormire. Caritas, invece, è parte di Chiesa e, come tale, è chiamata a dare il suo contributo nell’ambito dell’evangelizzazione. Parleremo insieme quindi di come, attraverso gesti di carità, possiamo incontrare il fratello, prenderci cura di lui ed annunciare a lui la buona notizia del Vangelo. L’evangelizzazione, infatti, consiste nel raccontare agli altri la propria esperienza di Dio. Ma le parole, se non si incarnano, risultano vuote. Al contrario, se sono capace di testimoniare la mia esperienza e sono quindi in grado di entrare in relazione con gli altri, allora evangelizzo davvero. In tal senso la Chiesa ha bisogno di testimoni più che di grandi predicatori“. – È con queste parole che Don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana, ha iniziato il suo intervento durante l’incontro dal titolo “La missione secondo lo stile della prossimità”, il secondo dei tre appuntamenti organizzati dalla Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto nell’ambito del percorso di discernimento intrapreso in questo secondo anno di Cammino Sinodale 2023/2024.

L’evento, che si è tenuto venerdì 15 dicembre, dalle ore 19:00 alle ore 23:00, presso il Monastero delle Clarisse in San Benedetto del Tronto, ha registrato la presenza anche del Vescovo Diocesano, Mons. Carlo Bresciani, del Vicario Generale Don Patrizio Spina e della Responsabile Diocesana della formazione, la Dott.ssa Chiara Verdecchia. Due gli aspetti approfonditi durante l’incontro : la prossimità e l’annuncio. In merito alla prima, si è detto che il “camminare accanto” si concretizza attraverso relazioni autentiche e non riguarda solo lo sforzo dei singoli, ma anche delle comunità, chiamate a diventare spazi di prossimità, dove ciascuno può davvero sperimentare accoglienza, ascolto empatico e compagnia. In merito al secondo, invece, si è concluso che la “buona notizia” va nuovamente annunciata, grazie al coinvolgimento dei laici, anche negli ambiti cruciali: la costruzione della pace, la cura dell’ambiente, il dialogo tra le culture e le religioni, l’inclusione dei poveri, degli anziani, delle persone ammalate o con disabilità. I vasti campi della missione per testimoniare il Regno di Dio sono terreni apparentemente duri, ma in realtà fertili, se coltivati nello stile della “prossimità” e non della conquista, quindi uscendo dai propri spazi protetti, dai recinti del “si è sempre fatto così”, per andare incontro all’altro.
In una sala gremita di presbiteri, religiosi e laici, don Pagniello ha fornito molteplici spunti di riflessione. Partendo dalla pagina di Vangelo di Marco che racconta la guarigione di un sordomuto da parte di Gesù (Mc 7, 31-37), ha detto: “Da questo brano possiamo comprendere cosa significhi evangelizzare attraverso la carità, attraverso la prossimità. Gesù si prende cura del sordomuto fino in fondo, con gesti di carità, sia spirituali che materiali. Mentre in altre occasioni, Gesù ha preso il malato e l’ha posto al centro, affinché tutti potessero guardare la guarigione e la stessa guarigione potesse divenire segno per gli altri, in questo caso, al contrario, prende l’uomo e lo porta in disparte dalla folla, come per salvaguardare la sua dignità e per non sottoporlo al giudizio degli altri. Solo dopo questo atto, compie una serie di gesti concreti: pone le dita nelle orecchie, con la saliva gli tocca la lingua, e così via. Gesù si prende cura di lui fino in fondo, non solo della sua malattia, ma di tutta la sua persona, tanto che la guarigione di Gesù permetterà a quest’uomo di rientrare all’interno della comunità, di rientrare in relazione con gli altri. Questo è il primo passaggio fondamentale. L’altro passaggio importante è quello finale, dove Gesù chiede alle persone presenti di non raccontare nulla, ma ‘più Egli lo proibiva, più essi lo proclamavano’. Nonostante Gesù chieda il silenzio, l’esperienza avuta è stata talmente grande che sentono il bisogno di raccontare, di dire agli altri quello che hanno vissuto. Questa è la definizione di evangelizzazione, ovvero raccontare agli altri l’esperienza che noi facciamo di Dio. E per annunciare a tutti il Vangelo, la bella notizia che Dio ci ha chiamato a testimoniare, occorrono le parole, ma anche i segni che rendono credibili le nostre parole, occorre davvero farci prossimi agli altri con gesti concreti”.

A proposito di prossimità, don Pagniello ha poi fatto molti esempi esplicativi su come viverla concretamente, sottolineando come il modo in cui viene eseguito un servizio determini la vera qualità del rapporto che si va ad instaurare con gli altri: “La vera vera prossimità è dunque l’incontro con l’altro, quella prossimità che è fatta di parole, di sguardi, di gesti di accoglienza, di cura. Per entrare in relazione con gli altri abbiamo bisogno di riconoscerci poveri, così come Papa Francesco ci invita a fare, così come il Vangelo ci invita a fare. Ma non poveri perché bisognosi di cibo o di un posto letto, ma poveri perché consapevoli della nostra vulnerabilità. Se sono consapevole di essere fragile, non mi metterò mai nella situazione di chi sa di più, di chi è migliore. Nell’incontro con l’altro abbiamo bisogno di stabilire una relazione alla pari, che poi diventa fraternità. Se questo non avviene, nascerà un rapporto in cui io, che sono più bravo, devo fare qualcosa per te. Se invece avviene, nascerà davvero un rapporto di prossimità”.

Il relatore ha quindi proseguito il suo intervento, approfondendo le cosiddette opere segno, che “non sono soltanto le grandi opere, come le mense o altre strutture, a cui invece devono provvedere in prima istanza le istituzioni o comunque le comunità che dovrebbero essere pronte a condividere, proprio come facevano le prime comunità cristiane. Le opere segno non sono soltanto per chi le fa o le riceve, ma diventano segno per tutta la comunità. Papa Benedetto XVI diceva che devono essere ‘opere parlanti, che devono annunciare il Vangelo’, non l’efficienza di una comunità. In secondo luogo le opere buone devono animare la comunità. Spesso siamo presi dalla logica dei numeri, anche per la celebrazione domenicale, mentre forse dovremmo badare di più alla qualità e pensare che non è quella la comunità cristiana che noi dobbiamo animare, bensì quella formata da battezzati che forse a Messa non ci sono e che vanno aiutati a riscoprire la loro fede. Liberiamoci dall’ansia dei numeri e puntiamo alla qualità delle relazioni che si instaurano tra le persone e che fanno crescere davvero le nostre comunità”.

Don Marco Pagniello ha infine indicato tre punti essenziali su come far fiorire le comunità: la conoscenza, la condivisione e l’accompagnamento.Innanzitutto – ha detto – una bella comunità nasce e cresce se c’è alla base una vera conoscenza tra le persone che vengono a Messa e tra le persone che collaborano con il parroco, una vera conoscenza degli abitanti del quartiere, del territorio, del paese, una vera conoscenza della storia e della cultura del posto, una vera conoscenza dei problemi esistenti e delle risorse disponibili. Poi la conoscenza deve diventare condivisione della vita. In tal senso, tra i tanti meriti che il sinodo ha, forse è proprio il fatto che ci sta facendo condividere non tanto i progetti, ma la vita. La via più bella per vivere la carità è la condivisione, non il servizio. Il servizio, infatti, per quanto utile e lodevole, rischia sempre di mettermi nell’atteggiamento di pensare che io sono migliore di te e quindi faccio qualcosa per te, mentre la condivisione consiste nel trascorrere del tempo insieme, nel parlare di quello che sono, nel condividere la mia storia e i miei sogni. La condivisione diventa infine accompagnamento. Tutti abbiamo sperimentato nella vita un momento in cui abbiamo sentito il bisogno di essere accompagnati: quando infatti scopriamo una fragilità, scopriamo anche l’esigenza e il valore di essere accompagnati. Se a noi piace essere accompagnati in quelle circostanze, ancora di più dobbiamo imparare ad accompagnare”. “Tutti questi passaggi – ha concluso – possono essere fatti solo all’interno di un sistema di relazioni. Il sinodo stesso è un’opportunità di cammino in relazione che ci permette – come dice Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium – di iniziare processi più che occupare spazi. Quello che avete iniziato a fare, che state facendo stasera e che continuerete a fare, è un modo nuovo di abitare, di vivere la nostra fede. Il rischio per noi cristiani è quello di vivere la nostra fede solo a Messa, come se fosse una parentesi della nostra vita; invece la bellezza della nostra fede consiste nel viverla all’interno di una comunità, facendo crescere la fraternità. La bellezza di vivere il Vangelo nelle relazioni, nella prossimità, il prendersi cura gli uni degli altri, ci permette di costruire comunità inclusive ed è il primo passaggio per evangelizzare davvero”.

Al termine della relazione di don Marco Pagniello e dopo una breve pausa per il ristoro, il Vicario generale Don Patrizio Spina ha letto la sintesi del primo incontro del cammino sinodale avvenuto lo scorso novembre e la Dott.ssa Chiara Verdecchia ha invitato a riflettere su come favorire la cultura dell’incontro: “Siamo chiamati a ragionare sulle strutture, sui linguaggi, sullo stile e ad argomentare possibili proposte, tenendo conto di due obiettivi, ovvero da un lato valorizzare quello che già c’è e dall’altro migliorare quello che si fa, ma al contempo tenendo sempre presente che non siamo chiamati a giudicare, bensì ad accogliere”. Tutti i presenti sono stati quindi invitati a vivere un momento di discernimento secondo la modalità sinodale, quindi in piccoli gruppi di lavoro, ciascuno guidato da un facilitatore. In tutti i tavoli sinodali si è riflettuto in particolare su due domande, una relativa alle relazioni ed una riguardante la missione:
Come le nostre comunità possono diventare luoghi di prossimità per favorire la cultura dell’incontro?
Che cosa dobbiamo cambiare, quali spazi, quali modalità e quali forme possiamo immaginare affinché il Vangelo arrivi a tutti?

Le conclusioni sono state affidate al Vescovo Bresciani il quale ha affermato: “Mi pare che stasera abbiamo capito una cosa importante, ovvero che la Chiesa non è fatta di strutture, ma di relazioni che hanno bisogno di strutture per essere vissute. La riforma della Chiesa dunque parte dal costruire relazioni diverse, nuove, sia con Dio sia tra di noi. Il Vangelo infatti passa attraverso le relazioni che noi costruiamo, altrimenti non c’è Chiesa. Ci è stato detto anche che c’è bisogno di evangelizzazione e testimonianza: per essere veri possiamo testimoniare la nostra esperienza. Ci chiediamo dunque: ‘Qual è la mia esperienza di Gesù e del Vangelo? Tutto parte da qui, se vogliamo essere una Chiesa che porta Cristo in questo mondo”. Il Vescovo Bresciani ha poi colto l’occasione per fare a tutti gli auguri di Natale: “Il Natale – ha concluso – altro non è che Dio che si comunica, facendosi come noi. Vogliamo comunicare Dio? Prendiamo allora l’esempio di Gesù Cristo, prendiamo l’esempio del Natale e tutto quello che esso comporta”.

L’evento con don Pagniello rientra nell’ambito dei tre incontri programmati dalla Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto per approfondire i tre temi scelti dall’Equipe Sinodale. Dopo l’appuntamento del 17 dicembre con Mons. Claudio Giuliodori su sinodalità e corresponsabilità e quello del 15 dicembre con Don Marco Pagniello sull’evangelizzazione di prossimità, il prossimo si terrà il 26 gennaio 2024 e registrerà la partecipazione di Mons. Valentino Bulgaressi, sottosegretario della CEI, incaricato dell’Ufficio Catechistico Nazionale, il quale approfondirà il tema della “Formazione alla fede e alla vita”. Come di consueto, agli incontri sono invitati tutti i fedeli, con particolare riguardo ai presbiteri, ai religiosi, ai membri dei consigli pastorali, alle realtà ecclesiali e quanti sono impegnati nella pastorale parrocchiale attraverso ministeri laicali o altro.

 

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