Marco Guerra – Vatican News

In Sudan non accenna a placarsi la guerra che imperversa dal 15 aprile scorso. Ad affrontarsi sono ancora da una parte l’esercito regolare guidato dal generale Abdel Fattah Burhan e dall’altra le milizie delle Rapid Support Forces (Rsf) al cui vertice siede il generale Mohammed Hamdan Dagalo, detto Hemedti. Le due fazioni militari ora si contendono il Paese ma nel 2021 erano alleate durante il colpo di Stato che ha portato all’interruzione del processo di transizione democratica. I due leader non hanno voluto cedere il potere ai civili e non sono stati capaci di creare un esercito unificato.

Orrori in Darfur

I combattimenti sono particolarmente cruenti nella capitale Khartoum e nella regione occidentale del Darfur dove le milizie di Supporto Rapido hanno preso il controllo di diverse aree. Le violenze finora hanno provocato oltre 10mila morti, più di cinque milioni di sfollati interni e circa 1,3 milioni di persone fuggite negli Stati limitrofi quali Ciad, Egitto, Sud Sudan, Etiopia e Repubblica Centrafricana. Testimoni hanno riferito ad Amnesty International uno degli ultimi attacchi avvenuti in Darfur. Le milizie arabe alleate delle Fsf hanno compiuto “orrori inimmaginabili” nella zona di Ardamata, nel Darfur occidentale, dove si trova un campo per profughi interni. Sempre secondo le testimonianze raccolte da Amnesty, uomini, donne e bambini sono stati uccisi nelle loro case o in strada, mentre cercavano di fuggire e il 6 novembre scorso sono stati trovati 95 corpi, tra cui quello di un neonato.

Padre Lorenzo: Khartoum e Darfur campi di battaglia

In questi otto mesi di guerra anche la Chiesa locale e le missioni hanno subito danneggiamenti e molte restrizioni. Molti religiosi e religiose sono stati costretti a lasciare parrocchie, monasteri, scuole cattoliche e luoghi di culto di ogni tipo per motivi di sicurezza. La maggior parte di loro si è trasferita nelle città dove sono affluiti i profughi per dare prossimità spirituale e sostegno umanitario a chi ne ha bisogno. Fra questi c’è anche padre Lorenzo, missionario che abbiamo raggiunto telefonicamente a Port Sudan, città portuale sul Mar Rosso. “Sono fuggito 7 mesi fa da Khartoum per rifugiarmi come altre migliaia di persone. Siamo scappati da una vera e propria situazione di guerra, nella capitale c’erano bombardamenti, spari e aerei che giravano sopra le nostre teste. Una situazione insostenibile”. Secondo il religioso la capitale e il Darfur si sono trasformati in campi di battaglia ma questa guerra è diventata di seconda categoria nonostante abbia provocato il numero più alto del mondo di rifugiati interni. “Altre guerre che sono sempre sui giornali – sottolinea – non contano numeri così alti e una crisi alimentare così grave, la vita umana in Sudan non vale meno, non dimentichiamoci di questo Paese”.

Sfollati accampati nelle scuole

Port Sudan è una delle principali città dove le persone hanno trovato rifugio, molti, spiega padre Lorenzo, sono ospitati dai parenti, “tutte le famiglie della nostra parrocchia ospitano parenti sfollati, le case sono affollate”. “Chi non ha nessuno – prosegue – ha trovato posto nelle scuole e questo ha creato ulteriore disagio, fatto sta che l’anno scolastico è stato chiuso ad aprile scorso e non ha mai riaperto, milioni di bambini sono senza scuola e il sovraffollamento in molte città è diventato insostenibile”. A tutto questo si aggiunge un sistema sanitario in crisi e casi di colera nelle aree dove si concentrano i rifugiati. Il religioso italiano si sofferma poi sulla condizione della minoranza cristiana: “I cristiani accolti in molti casi erano rifugiati anche prima perché la maggior parte di loro sono o sudsudanesi oppure originari dei Monti Nuba (regione nel Sud del Sudan, ndr), si tratta di aree in cui hanno imperversato guerre negli anni recenti, quindi “erano in Sudan da rifugiati prima e lo sono ancora di più adesso”. Molti sono a Port Sudan per andare in Egitto, altri si spingono verso sud per raggiungere il Sud Sudan. “Siamo testimoni di persone che girano di guerra in guerra e non trovano in posto dove stare”.

La Chiesa resta un riferimento per molti sfollati

Nonostante la guerra, la Chiesa continua a fare sia un’azione pastorale sia una umanitaria. Molti membri del clero hanno dovuto lasciare le proprie zone di competenza, “ma  si continua ad operare come si può”, continua a raccontare padre Lorenzo. “Proseguono le celebrazioni e le catechesi – aggiunge – e si aiutano le persone a trasferirsi in zone più sicure e a fornire loro alimenti e beni di prima necessità”. “Noi osserviamo un grande attaccamento alla Chiesa di queste persone – evidenzia il missionario -, per loro la Chiesa era e rimane un punto di riferimento, c’è una grande bisogno di Vangelo e di accesso ai sacramenti”. “Queste persone hanno bisogno di sentire una parola di speranza che altrove non trovano”.

I fedeli guidano la preghiera nelle zone di guerra

Infine, padre Lorenzo offre un’altra testimonianza del dramma vissuto in prima persona: “La Chiesa dove mi trovavo a Khartoum è stata colpita, la sacrestia è stata distrutta da un incendio, è stata la molla che ci ha fatto muovere altrove”. Il missionario italiano parla di tante altre zone del Sudan da cui i sacerdoti sono dovuti scappare perché attaccati. “Le strutture religiose sono state colpite come molte altre civili”, nessuno è al sicuro. In Darfur la minoranza cristiana è ancora più esigua e il religioso è in contatto con persone che riferiscono quanto sia difficile trasferirsi da quelle zone. La Chiesa cerca di mantenere una presenza ovunque “ma ci raccontano che dove non è stato possibile sono i fedeli e i catechisti a guidare una preghiera comune e una liturgia della parola”. Padre Lorenzo conclude con l’auspicio che i media tornino a porre i riflettori sul Sudan “perché sono convinto che in questo modo la comunità internazionale sarebbe spinta ad agire” e chiede la preghiera dei cristiani per questa terra martoriata.

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