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Sorelle Clarisse: “Un re che si “perde” nei diritti dei poveri”

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Termina così un libro che, come comunità, abbiamo appena finito di leggere: «Dunque dove abita l’infinito? La Bibbia risponde: “In luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati”. Dio dimora certamente in cielo, e in questo senso Egli si impone come Potenza che sfugge a ogni pretesa del potere, ma al tempo stesso Dio dimora anche in terra, soprattutto laddove gli uomini si sentono e sono davvero a terra, privi di potere».

Mi sembra di cogliere, in queste parole, un rimando alla liturgia di questa domenica, soprattutto alla pagina evangelica che oggi, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, la Chiesa ci propone.

«Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti? E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».

L’aspetto geniale di questo Vangelo sta nel fatto che Gesù Cristo è Re ed esercita il suo Regno e la sua signoria “fondendosi ed identificandosi” con coloro che soffrono di più nella vita. Il Re dell’universo sta in ogni essere umano, così regna. E così esercita la sua autorità, i suoi poteri, la sua gloria. Esercita tutto questo amando fino alla fusione coloro che più hanno bisogno di affetto, aiuto, consolazione.

E’ un re che vive sotto spoglie sconosciute, sotto le spoglie dei suoi piccoli fratelli, rimanendo fedele a quella logica di solidarietà che guidò Gesù in tutta la sua esistenza terrena.

Anche nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Ezechiele, sono descritti i lineamenti di questo re: è un pastore, ma non come i pastori di Israele, re, sacerdoti e maestri, più mercenari e tutori dei propri diritti che innamorati difensori del gregge. Il Signore “re” è un pastore che passa in rassegna le sue pecore, le raduna, le conduce al pascolo, le fa riposare. Un pastore che va in cerca della pecora perduta e che riconduce all’ovile quella smarrita, che fascia la pecora ferita e cura quella malata, che pasce con giustizia ogni componente del suo gregge.

Se prestiamo attenzione, notiamo che tornano gli stessi verbi presenti nel brano evangelico: curare, accogliere, visitare, sfamare, dissetare. Il Re Messia è un re per gli altri: la sua regalità è dono di sé e servizio, non dominio. Predilige i poveri e i deboli, non i forti.

Una Parola, quella di oggi, da interiorizzare bene visto che ci “svela il trucco” della salvezza.

Cosa ci chiederà il Signore alla fine dei tempi? Cosa ci chiede il Signore ogni giorno della nostra vita?

Possiamo mettere da parte il notes o la pen su cui abbiamo appuntato o salvato le nostre ore di preghiera, le nostre messe, le nostre confessioni.

Il Signore ci chiederà se lo avremo riconosciuto nel povero, nel debole, nel solo, nell’affamato.

La fede è concretezza, non parole; la preghiera contagia la vita, la cambia, non la anestetizza; la celebrazione continua nella città, non finisce nel tempio.

Nel giudizio ultimo, quindi, Dio non pone se stesso al centro, ma si “perde” dentro i diritti dei poveri, nel sogno di un uomo senza fame, senza sete, senza lacrime, senza prigioni, senza malattie. Apriamo, allora, le orecchie alla Parola che ci dice: il nostro cielo, il nostro avvenire, è frutto del bene che ciascuno di noi può donare e desidera donare ad ogni uomo, ad ogni donna, ad ogni vita.

Redazione: