DIOCESI – Da pochi giorni ha festeggiato i quarantacinque anni del Centro Famiglia di San Benedetto del Tronto di cui è presidente ormai da dodici anni, ma da sempre si è occupato di Pastorale Familiare, sia per incarichi ufficiali conferitigli dalla Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, sia per scelte personali di vita che lo hanno visto sempre a sostegno della famiglia: si tratta di Nicola Farinelli, 72 anni, sposato da 46 anni con Clara Mattioli, 3 figlie, 3 nipoti, tesoriere della Federazione Consultori di ispirazione cristiana Marche.

Come sono state la sua infanzia e la sua adolescenza?
Sono vissuto in una famiglia credente. Mia madre mi portava in chiesa e mi preparava la “cotta” per servire la Messa, ovvero la veste per poter fare il chierichetto. Fin da piccolo, quindi, ho avuto un profondo senso religioso. La fede per me è stata naturale. Ad undici anni sono entrato in Seminario, dove ho frequentato prima le Scuole Medie e poi il Liceo Classico. Terminati gli studi superiori, ho voluto verificare la mia vocazione, quindi sono uscito dal Seminario. Con il diploma di maturità classica che avevo conseguito, ho avuto la possibilità di ottenere in un anno il diploma da maestro elementare a Ripatransone e l’ho fatto. Quindi sono tornato in Seminario e per due anni ho studiato Teologia, ma onestamente non sono riuscito a chiarire bene la mia vocazione con il vescovo di allora, pertanto ne sono uscito nuovamente.

Dunque cosa ha fatto poi?
C’era un corso di specializzazione alla Cattolica di Milano chiamato “Insegnamento per sub-normali”: questa dicitura oggi sembra assolutamente inappropriata, ma all’epoca non c’era una grande sensibilità verso la disabilità. C’erano delle prove d’ingresso da sostenere: la prima è andata bene, la seconda no. Quindi mi sono reso disponibile per lavorare e mi sono prodigato per trovare lavoro nella città di Milano. Nel frattempo, però, avevo conosciuto una ragazza di Petritoli che mi era subito piaciuta, perché aveva i miei stessi valori, valori di cui avevo fatto esperienza con alcune spiritualità, che mi avevano formato come uomo e come cristiano. C’era stata da subito una grande intesa sia sulle scelte quotidiane sia sui grandi valori e progetti di vita. Purtroppo, però, pur essendoci molto affetto, il rapporto a distanza era difficoltoso, quindi non vedevo l’ora di rientrare nelle Marche. Invece,  tramite l’aiuto di un mio zio che era direttore della Innocenti, ho trovato lavoro in un’azienda metalmeccanica a Milano. Negli anni poi, mentre lavoravo, ho trovato il tempo per completare gli studi di Teologia con la Scuola Mariana dei Focolari.

Quali sono le spiritualità di cui ha fatto esperienza?
Già maggiorenne, sono stato nella comunità di Taizé per un mese e poi nella comunità dei Piccoli Fratelli di Gesù di Spello dove ho trascorso un altro mese, in cui ho avuto modo di conoscere anche Carlo Carretto. Precedentemente, a 14 anni, mentre ero in Seminario, avevo conosciuto il Movimento dei Focolari, esperienza che ancora continua. All’epoca il Movimento dei Focolari era agli inizi della sua nascita e il mio padre spirituale, Mons. Marcello Manfroni, cancelliere del Tribunale Ecclesiastico, mi disse che avrei potuto assistere agli incontri, ma mantenendo una certa riservatezza, in quanto il Movimento all’epoca era ancora sul nascere. Aggiunse anche, con un certo orgoglio, che avrebbe portato un grande contributo di rinnovamento alla Chiesa, cosa che poi è avvenuta davvero. Per me sono stati anni importanti che hanno contribuito alla mia formazione umana e cristiana e che negli anni mi hanno portano a fare quotidianamente scelte coerenti con il Vangelo.

Mi racconta di queste scelte?
Quando lavoravo a Milano, mi sono inserito da subito in parrocchia e partecipavo alla vita della comunità. Nel tempo libero facevo gratuitamente ripetizioni di greco e latino ai giovani studenti. Ero inoltre rappresentante sindacale, quindi aiutavo chi ne aveva necessità a farsi rispettare nei suoi diritti. Ricordo, ad esempio, che una sera ho notato un signore seduto su una panchina, il quale mi ha raccontato di essere argentino e di non mangiare da due giorni. Allora l’ho fatto venire a pranzo da me e mi ha raccontato che si era separato da poco e che lavorava presso una casa editrice per la quale vendeva enciclopedie, ma non veniva pagato da mesi. Essendo sindacalista, l’ho aiutato a recuperare i soldi che gli spettavano e poi nel fine settimane lo aiutavo a vendere le enciclopedie. Il tizio si chiamava Oscar Lozada, era un cantante lirico e con lui è nata una bellissima amicizia. Pensi che, quando mi sono sposato, è venuto a cantare al mio matrimonio!

A proposito di matrimonio, come è andata a finire con la ragazza di Petritoli?
È diventata mia moglie! Da Milano mi sono trasferito a San Benedetto del Tronto, dove nel frattempo avevo trovato lavoro presso l’azienda Italiana Manifatture, e il 28 agosto 1977 ci siamo sposati. Abbiamo avuto tre figlie: Michela, Stefania e Annalisa. Oggi abbiamo anche tre nipoti: Sara, Tommaso e Lorenzo, rispettivamente di 25, 12 e 5 anni.

Quando ha iniziato ad occuparsi della Pastorale Familiare?
Con mia moglie abbiamo cercato sempre di impostare il nostro rapporto di coppia su valori cristiani, cercando di mettere in pratica l’amore reciproco, il volerci bene quotidiano, collaborando con i figli e con le nostre famiglie di origine e non rimanendo mai chiusi nella nostra famiglia, bensì cercando di portare all’esterno quello che vivevamo in casa. La nostra famiglia è sempre stata un po’ la palestra in cui ci alleniamo per la vita esterna. Fin da fidanzati ci siamo dedicati alla Pastorale Familiare, prima con i corsi dei fidanzati in Diocesi, poi con l’accompagnamento delle giovani coppie e poi con la Pastorale Familiare che Mons. Gestori ci affidò insieme ai coniugi Mori, Marco e Anelide. Negli ultimi dodici anni, infine, mi è stato chiesto di prendere la presidenza del Centro Famiglia, un’esperienza straordinaria, perché siamo a contatto con tante realtà della famiglia, da quelle più belle a quelle meno belle, e ci rendiamo conto di come, oggi più che mai, la famiglia sia ferita, ingabbiata e in difficoltà. Spesso i coniugi si trovano a dover affrontare tante situazioni in cui mai, durante il fidanzamento, avrebbero pensato di potersi trovare. Durante il corso per i fidanzati nessuno pensa che il proprio matrimonio possa terminare, quindi la crisi o addirittura la fine di un matrimonio genera nelle persone sentimenti inaspettati: per tale ragione è molto importante l’accompagnamento di queste famiglie o anche delle singole persone. Negli anni io e mia moglie siamo stati un punto di riferimento anche dopo il matrimonio di tante coppie, sia in occasione di eventi dolorosi, come la morte di un coniuge o di un figlio, ma anche per momenti di gioia, come gli anniversari di matrimonio. La nostra vocazione non è un semplice servizio, è una offerta di disponibilità incondizionata, che consiste nell’ascoltare, nello stare vicino, nel non essere bacchettoni, nel dare speranza, nell’indicare una via d’uscita o nell’aiutare a trovare un equilibrio, accettando anche una decisione insanabile e riuscendo comunque a vivere al meglio una situazione.

Quali sono le difficoltà maggiori che negli anni lei e sua moglie avete incontrato e siete riusciti a superare?
Le difficoltà sono state molteplici. La prima è legata, senza dubbio, alla diversità dei nostri caratteri. Mia moglie, insegnante di scuola media, è più impegnata all’interno della nostra famiglia, fortunatamente. Io, al contrario, trovo nella socialità uno strumento per esprimermi e dare qualcosa di me. Nonostante questa diversità, abbiamo sempre trovato il punto di sintesi: mia moglie ha capito me e le mie scelte e io ho capito lei e le sue scelte. La coppia, infatti, se si vuole bene, funziona perché al suo interno ognuno dei due comprende quello che l’altro vuole. Noi, inoltre, sin dal fidanzamento, ci siamo mostrati per quel che eravamo e mia moglie mi ha aiutato tantissimo ad armonizzare questi due aspetti della mia vita, il privato e la socialità. In alcune occasioni ci sono stati momenti forti di chiarezza che mi hanno portato anche a cambiare rotta, ma grazie a Dio siamo riusciti sempre a trovare un equilibrio.
Un’altra difficoltà è legata al rapporto con i figli, i quali non sempre fanno scelte che i genitori condividono, perché hanno la loro personalità, la loro storia, le loro vedute. Dunque qual è l’atteggiamento giusto dei genitori? Non c’è una regola! L’importante è che sia preservata l’unione della coppia e che i figli siano amati come qualsiasi prossimo: sembra scontato, ma a volte questo non avviene oppure avviene con fatica perché con i propri figli si è più esigenti che con i figli degli altri! Non è affatto facile crescere i figli, perché pensiamo che siano nostri e invece ce li abbiamo solo in gestione, dobbiamo trattarli come prossimo a cui rivolgere il nostro amore.
Poi negli anni abbiamo superato anche altre difficoltà, come ad esempio gestire i rapporti con le famiglie di origine che, per vedute, abitudini e formazione, sono completamente diverse. Ecco allora che insieme abbiamo imparato ad abituarci all’accoglienza: con i figli, con i suoceri, con gli amici, con gli estranei.
È chiaro che, senza la fede, quindi solo con le forze umane, non riesci ad amare in questo modo! Se non vivi la Parola e l’Eucarestia, non reggi nel tempo. Fortunatamente, nel nostro caso, Gesù Cristo è entrato con noi fin dal primo sì. Poi noi crediamo che il primo figlio della coppia sia la coppia stessa; dopo vengono i figli. Questo è molto importante da comprendere e da vivere, perché è il vero segreto per vivere insieme bene e a lungo. A volte facciamo difficoltà a distinguere l’amore verso il coniuge da quello verso Dio, perché possono sembrare due amori diversi; invece Uno solo è l’Amore, Dio, e, attraverso mia moglie, io amo Dio. È l’amore verso Dio che mi aiuta ad amare mia moglie. Non c’è dicotomia; al contrario è un tutt’uno! Questo ci ha sempre dato un grande respiro e ci ha fatto andare avanti sempre, nonostante i nostri limiti e difetti, alcuni dei quali permangono!

Quali sono le fragilità maggiori delle famiglie di oggi?
Noto oggi che manca un elemento determinante, che è il progetto. Si sta insieme, ma non c’è una progettualità vera e propria. Questa mancanza è legata a vari motivi: la precarietà del lavoro, la mancanza di sicurezza di poter avere una casa, …. Oltre a questo, riscontro anche una fragilità maggiore, nella relazione di coppia, dovuta alla non accettazione dei difetti e ad aspettative troppo alte verso il coniuge. Infine un’altra difficoltà è quella di non saper vivere il sacrificio. Io, invece, ritengo che il sacrificio non vada semplicemente accettato, bensì che ad esso vada dato un valore. Anche Gesù ha detto il suo sì alla croce, per amore. Il dolore è un passaggio, che va vissuto per amore per un traguardo più grande. Questo non è solo un buon umanesimo, un buon andare d’accordo, per noi cristiani è molto di più.

Come è possibile superare queste difficoltà?
Oltre a mettere sempre al primo posto Dio, ci sono alcuni segreti pratici per superare con successo le difficoltà. A livello comunitari oggi è importante curare la relazione, ritornare ai piccoli gruppi, anche dal punto di vista dell’evangelizzazione e saper veder il grano buono che c’è in ognuno. Non è più il tempo delle masse, ma del contatto personale, della relazione che va curata. A livello di coppia, invece, è importante saper vedere il positivo che c’è nell’altro coniuge, nei figli, nei parenti, e non puntare il dito sui difetti e sulle mancanze. È altresì fondamentale non farsi preconcetti nei confronti del coniuge, non incasellarlo, bensì avere la capacità di vedersi nuovi ogni giorno. Questo non è facile, perché richiede attenzione, disponibilità, ma l’aspetto più bello nella vita di coppia è che possiamo sempre ricominciare, anche dopo lo sbaglio più grande.

Come immagina il suo futuro?
Attualmente ho 72 anni, sto quindi entrando nel periodo della vecchiaia. Non ci penso molto, forse perché sono impegnato o forse per carattere. Però me ne accorgo. Accidenti se me ne accorgo! Ma non me ne preoccupo, perché so che Dio mi ama, che mia moglie, con la quale condivido tutto, mi ama e che anche le mie figlie mi vogliono bene: il sentirmi amato mi dà tanta sicurezza. Pertanto il mio futuro lo vedo buono.

E cosa prevede nel futuro del Centro Famiglia?
Oggi tutti i Centri Famiglia di ispirazione cristiana, 10 nelle Marche, sono in un momento di sviluppo e anche di cambiamento, perché la società è sempre più complessa e i Centri devono aggiornarsi sempre di più su nuove tematiche. I consultori pubblici sono in grossa difficoltà e non riescono a soddisfare le esigenze delle famiglie e delle singole persone, perché hanno strutture poco flessibili, poco adattabili alle svariate situazioni familiari. Pertanto i nostri consultori, se si struttureranno meglio dal punto di vista professionale ed organizzativo, potranno dare un grosso contributo sociale. Perché tutto ciò si possa realizzare, però, c’è bisogno di un appoggio maggiore dei nostri vescovi. Tra questi non annovero il mio, Mons. Bresciani, che ci sostiene sia economicamente che spiritualmente, anzi ci incentiva ad essere sempre migliori e professionali. Ma è una perla rara! Poi c’è anche bisogno del contributo della politica, che invece attualmente è assente: giusto qualche riconoscimento ogni tanto, ma questo non basta. Le istituzioni non hanno ben compreso l’importanza sociale dei nostri consultori: noi svolgiamo un servizio che altri non sono in grado di fornire e lo facciamo con competenza, professionalità e amore. Se non ci fossimo stati noi, che siamo volontari, a chi si sarebbero rivolte tutte le persone che abbiamo preso in carico in tutti questi anni?

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