L’insicurezza alimentare acuta è destinata ad aumentare in ampiezza e gravità in 18 “aree calde” che comprendono un totale di 22 Paesi, secondo un nuovo rapporto di allerta precoce delle Nazioni Unite. Il rapporto mette in luce il rischio di una ricaduta della crisi del Sudan – con un aumento del rischio di impatti negativi nei Paesi vicini, e spiega come “l’aggravarsi degli shock economici continui a peggiorare le crisi nei Paesi a basso e medio reddito, avvertendo che il probabile fenomeno climatico El Niño potrebbe sollevare timori di eventi meteorologici estremi nei Paesi vulnerabili di tutto il mondo”. Il rapporto rileva come molte aree calde stiano affrontando una fame crescente e sottolinea il preoccupante effetto moltiplicatore che shock simultanei e sovrapposti stanno avendo sull’insicurezza alimentare acuta. Il rapporto “Hunger Hotspots – Fao-Wfp early warnings on acute food insecurity” – pubblicato oggi dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e dall’agenzia Onu World food programme (Wfp) – chiede “un’urgente azione umanitaria per salvare vite e mezzi di sussistenza e prevenire la fame e la morte nelle aree calde dove è alto il rischio che la fame acuta peggiori tra giugno a novembre 2023”.

Il rapporto avverte di un grave rischio per il El Niño, i cui effetti gli esperti meteorologi prevedono emergeranno entro la metà del 2023 con una probabilità dell’82 per cento.
“Le ricadute della crisi in Sudan stanno provocando un massiccio sfollamento di popolazione e fame tra le persone costrette a lasciare le loro case in cerca di rifugio e coloro che le ospitano”, avverte il rapporto. Si prevede che più di un milione di persone lasceranno il Paese, mentre altri 2,5 milioni all’interno del Sudan dovranno affrontare la fame acuta nei prossimi mesi. Il Sudan ospitava già più di un milione di rifugiati, e se il conflitto persiste è probabile che centinaia di migliaia ritornino nei loro Paesi di origine, molti dei quali sono già alle prese con crisi di rifugiati, protratte e sottofinanziate, ulteriormente aggravate da problemi sociali, politici ed economici.
Shock e stress economici continuano inoltre a causare la fame acuta in quasi tutti le aree calde, in una tendenza globale che continua dal 2022. Questi rischi sono in gran parte legati alle ricadute socioeconomiche della pandemia e all’effetto domino della guerra in Ucraina. Si prevede che il 2023 porterà un rallentamento dell’economia globale con una stretta monetaria nei Paesi ad alto reddito, aumentando il costo del credito, indebolendo le valute locali e aggravando ulteriormente la crisi del debito nelle economie a basso e medio reddito. Il Fondo monetario internazionale prevede una crescita del Pil globale al 2,8 per cento nel 2023, il livello più basso in dieci anni, ad eccezione del crollo dovuto al Covid-19 nel 2020. Secondo il rapporto, Afghanistan, Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Yemen rimangono al massimo livello di allerta, mentre preoccupano ai massimi livelli Haiti, Burkina Faso, Mali e il Sudan.

La Repubblica Centrafricana, la Repubblica Democratica del Congo, l’Etiopia, il Kenya, il Pakistan e la Siria rientrano tra i Paesi che destano forte preoccupazione, e in questa edizione del rapporto l’allerta è estesa anche al Myanmar.

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