GROTTAMMARE – Riprendiamo la rubrica di interviste ai pescatori della nostra Diocesi attraverso i quali vogliamo conoscere meglio la Marineria di San Benedetto del Tronto, le sua ricca storia, le difficoltà contingenti e i sogni per un futuro possibile. È la volta oggi di Marco Castelletti, grottammarese di cinquant’anni, Comandante del peschereccio Carfagna Giuliano.

Proprio ieri voi marinai avete festeggiato San Francesco da Paola, protettore dei Marittimi. Come ha vissuto questa ricorrenza?
Come è tradizione ormai consueta, il vescovo Carlo Bresciani ha celebrato una Messa dedicata a noi pescatori. Non essendo ancora agibile la Chiesa di San Francesco in Grottammare, ci siamo ritrovati nel giardino dietro l’edificio sacro ed abbiamo pregato all’aperto: fortunatamente le condizioni atmosferiche ce lo hanno permesso. Terminata la celebrazione, tutti insieme ci siamo recati presso la Casa del Pescatore a San Benedetto del Tronto, di fronte alla Capitaneria di Porto, dove abbiamo festeggiato con le nostre famiglie e abbiamo avuto l’onore di avere con noi a pranzo anche il vescovo diocesano Carlo Bresciani e il sindaco di San Benedetto del Tronto Antonio Spazzafumo. È stato un bel momento di convivialità e di condivisione: alcune imbarcazioni hanno offerto il pesce, io ho cucinato, la moglie di un collega ha preparato le varie porzioni sui piatti e due ragazze hanno servito. Oltre ad essermi divertito, sono contento anche di aver contribuito a restituire valore a questa festa che in passato era molto sentita, ma che invece, durante la pandemia e anche un po’ prima, era scesa ai minimi storici. Negli ultimi anni a Messa partecipava si e no una decina di persone; quest’anno, al contrario, siamo arrivati a circa sessanta. Questo mi ha reso veramente felice e, in ricordo di questa giornata speciale, porterò sempre con me la preghiera degli uomini di mare a San Francesco da Paola che il vescovo Carlo ci ha regalato.

Veniamo alla sua storia. Quando e come ha iniziato questo lavoro?
Sono sempre stato affascinato da questo lavoro in quanto lo faceva mio padre. La cosa che da piccolo più mi colpiva era il fatto che in casa non avessimo mai avuto problemi economici: mentre altre famiglie erano costrette ad affrontare spesso difficoltà economiche, io e mio fratello Giovanni potevamo toglierci anche tante soddisfazioni. Pertanto, fin da subito, ho pensato che questo lavoro potesse assicurarmi un futuro sereno e potesse permettermi di dare ai miei figli le stesse sicurezze che avevo ricevuto io.
Per tale ragione, appena terminate le Scuole Medie, ho iniziato a frequentare l’Ipsia per ottenere la qualifica di Padrone Marittimo. Dopo i tre anni di studio, a Giugno del 1989 mi sono imbarcato immediatamente sul peschereccio di cui mio padre era comandante e tutti hanno visto che questo lavoro mi piaceva moltissimo, ero proprio appassionato. Così, nel 1992, mio padre Venanzio ha deciso di acquistare una barca di seconda mano. Io e mio padre, insieme a mio fratello, abbiamo scelto di darle il nome di nostra madre, Mariella, come segno di riconoscenza e gratitudine verso una donna che aveva trascorso tutta la vita a casa ad occuparsi da sola della famiglia e dell’educazione di noi due figli. Mio padre infatti viaggiava anche all’estero e restava fuori per lunghi periodi che potevano essere anche di 6/7 mesi e, a volte, anche di più. Pensi che mio padre ha conosciuto mio fratello a nove mesi! Dopo l’acquisto di questa barca mio fratello maggiore, che ha due anni e mezzo più di me e che all’epoca frequentava la Scuola per diventare Odontotecnico, ha deciso di abbandonare il suo percorso di studi per dedicarsi anche lui alla vita di mare. Quindi ci siamo ritrovati noi uomini tutti e tre in mare a fare questo lavoro e nostra madre che gestiva la situazione economica qui a terra. Io avevo vent’anni e mio fratello ventidue.

Quante vicende sono avvenute in questi trent’anni di avventure in mare?
Sono successe tantissime cose: alcune bellissime, come il mio matrimonio con Simona e la nascita dei miei due figli, Mattia e Rebecca, rispettivamente di 19 e 12 anni; altre purtroppo meno belle che hanno segnato per sempre la mia vita. A distanza di dieci anni dall’acquisto della nostra barca, dopo tanto lavoro e sacrifici, mio padre, mio fratello ed io, abbiamo deciso di venderla e ne abbiamo comprato un’altra più grande, sempre di seconda mano, per avere introiti migliori. Dopo ulteriori cinque anni, ci siamo resi conto che, pur andando bene gli affari, dovevamo ogni volta spendere gran parte dei guadagni per risistemare il peschereccio, che, non essendo nuovo, necessitava di frequenti lavori di manutenzione. Quindi a quel punto abbiamo deciso di acquistare una barca nuova. Era il 2008 e nel frattempo mio padre era già andato in pensione da qualche anno. Finalmente io e mio fratello avevamo realizzato il nostro sogno! Eravamo veramente felici e mai avremmo pensato che le cose sarebbero presto cambiate drasticamente. Anche se – a dire il vero – qualche presagio c’era stato. Quando viene montata la “pezza santa”, ovvero l’ultimo strato di lamiera di un’imbarcazione, è consuetudine lanciare una bottiglia di spumante e festeggiarne la rottura: se il vetro si fa in mille pezzi, infatti, è considerato un segno di prosperità e fortuna; al contrario, se non si rompe, viene considerato un segno di malaugurio. La nostra bottiglia non si era rotta. Nonostante questo, siamo andati avanti fino ad agosto 2008, quando abbiamo fatto il varo in mare. E anche qui abbiamo rivissuto la stessa esperienza. Quando si fa il varo, si procede nuovamente a rompere un’altra bottiglia di spumante e anche questa volta la nostra non si era rotta, facendoci presagire che qualcosa non sarebbe andato per il verso giusto. Dopo varie difficoltà burocratiche per avere la licenza, comunque abbiamo avuto il permesso per andare in mare il 14 settembre 2008. Nonostante le tradizioni ci venissero contro, eravamo sempre contenti e felici. Almeno fino alla sera del 28 maggio 2009, quando, appena sette mesi dopo il varo, mentre eravamo al largo a Porto San Giorgio diretti verso il porto di San Benedetto del Tronto, verso le 21:30, è scoppiato un incendio a bordo e l’imbarcazione è andata a fuoco. In barca eravamo in quattro: io, mio fratello e altri due marinai esperti. Abbiamo provato a spegnere l’incendio, ma, quando ci siamo resi conto che la situazione non era affrontabile solo con le nostre forze, ci siamo dovuti buttare in acqua con le scialuppe di salvataggio per evitare il peggio. Nel frattempo avevamo dato l’SOS e un’altra imbarcazione era venuta in nostro soccorso. Pertanto ci siamo allontanati dal nostro peschereccio e siamo saliti su quest’altra barca e portati a terra. Tramite satellitare, abbiamo subito avvisato anche nostro padre il quale si è recato immediatamente alla Capitaneria di Porto di San Benedetto del Tronto per essere aggiornato sulla situazione in tempo reale. Giunti a terra, abbiamo trovato tutti i nostri familiari. Quello è stato un momento importante: avere l’appoggio della famiglia in una situazione del genere è stato determinante. Al mattino, alle prime luci dell’alba, i vigili del fuoco ci hanno avvisato che l’incendio era stato domato e siamo partiti con la stessa barca che ci aveva salvato la vita per andare a recuperare quel che restava del nostro peschereccio. Arrivati a Porto San Giorgio, abbiamo trovato una situazione tragica: un ammasso di rottami e lamiere bruciate. Abbiamo rimorchiato la povera imbarcazione per condurla al cantiere di costruzione a Giulianova, dove l’avevamo acquistata, con la speranza di poter salvare la situazione; purtroppo, invece, il danno era talmente elevato che la sua sistemazione non era più alla nostra portata. Inizialmente abbiamo tentato di fare causa al cantiere, che però non aveva capitale e non poteva risarcirci in alcun modo. In seguito abbiamo coinvolto anche l’assicurazione della barca e la nostra assicurazione personale. Tramite avvocati ed ingegneri e dopo numerose perizie, siamo giunti a determinare la possibile causa dell’incendio, ma purtroppo la compagnia assicurativa della controparte era la stessa nostra, quindi non ci è stata data la possibilità di proseguire la pratica tramite assicurazione, bensì solo tramite legale. Non avendo la certezza della causa, né delle tempistiche né delle spese a cui saremmo andati incontro, abbiamo deciso di lasciar perdere. E così ci siamo resi conto che la nostra vita era ormai cambiata: tutto ciò su cui avevamo investito, sia a livello economico che a livello di tempo e lavoro, all’improvviso non c’era più. Ottant’anni di esperienza e di fatiche persi in pochi minuti. Insieme alla nostra barca, erano andati in fumo anche i nostri sogni e progetti.

È in quel momento che ha iniziato ad avere fede?
Io sono credente da sempre, quindi la fede era un cammino che già in parte avevo intrapreso. Quando mi è successo di perdere il nostro peschereccio, ho detto: “Grazie, Signore, per avermi salvato la vita. Nonostante quello che mi è accaduto sia un brutto colpo per la mia vita, ti ringrazio di essere qui a raccontarlo e di non averci rimesso la pelle, come è capitato a tanti miei colleghi. Ti chiedo, Signore, di farmi vivere un bel po’ per poter recuperare quanto perso”. Quei momenti sono stati durissimi: mi sentivo vuoto, come se avessi perso anche me stesso. Saranno state le responsabilità e il peso di tante altre cose, ma questo lavoro mi aveva portato negli anni a bestemmiare parecchio. Da quel momento in poi, un po’ alla volta, sono riuscito a non imprecare più, ad essere molto più tranquillo e a prendere il lavoro in un altro modo. Con il passare degli anni, grazie anche ad alcuni incontri che ho fatto e grazie all’esperienza degli avvenimenti accaduti, quella fede è cresciuta sempre di più. La morte di mio padre poi ha rappresentato un altro tassello importante nel mio avvicinamento a Dio. Anche se papà era anziano ed aveva 77 anni, per 48 anni io l’ho avuto sempre vicino: oltre a stare in barca insieme, avevamo anche l’hobby delle moto, quindi trascorrevamo insieme anche il fine settimana. La sua perdita mi ha segnato molto; allora, per sentirlo ancora un po’ vicino, ho imparato a pregare quotidianamente. In questo periodo della mia vita, ad esempio, prego un Rosario al giorno, ma non so quanto durerà. La fede, infatti, è un percorso che va di pari passo con la vita: a volte ci sono salite, a volte discese, anche con il rapporto con Dio.

Dunque cosa fa lei oggi?
Dopo l’incendio sulla nostra imbarcazione, le vite professionali mia e di mio fratello si sono separate. Comunque, nonostante la brutta esperienza che abbiamo avuto con la nostra imbarcazione, avendo un grande amore per il mare, sia io che lui non potevamo immaginare la nostra vita in altro luogo se non in mare, quindi io ho proseguito come comandante su un’altra nave, l’Annunziata Malaccari di Civitanova Marche, e mio fratello come motorista sul peschereccio Carfagna Giuliano di San Benedetto del Tronto. Oggi, dopo 14 anni, mi trovo a fare il comandante proprio sul Carfagna Giuliano, mentre mio fratello lavora su un puntone che trasporta e sistema le scogliere.

Come si svolge la sua giornata di lavoro?
Attualmente a bordo siamo in cinque. Usciamo la domenica in tarda serata. In genere io alle 21:00 mi trovo già in zona porto per sistemare i piccoli dettagli, poi partiamo verso le 23:00 circa e ci dirigiamo verso la nostra meta settimanale, al largo delle nostre coste, nel punto che riteniamo più fruttuoso a seconda del periodo. Mentre in passato ho fatto esperienza anche nell’Oceano Atlantico, nei territori della Guinea e del Senegal, già da tempo ho preferito tornare nel nostro Mediterraneo per restare più vicino alla mia famiglia. Oltre a fare il comandante della nave, controllo ed aiuto nelle operazioni di pesca. Quando sono a terra, in genere il venerdì mattina, riparo anche le reti per il peschereccio con cui lavoro.

Riparare le reti è una vera e propria arte che in pochi conoscono. Lei come ha imparato?
Si tratta di un’attività che richiede grande esperienza e tempo. Non si impara dall’oggi al domani e si tramanda di generazione in generazione: non esiste una scuola che insegni questa competenza, tutto è frutto di sacrificio ed impegno. Le nostre reti sono a strascico, utilizzate quindi per la pesca a strascico, e, sfregando con frequenza il fondo del mare, spesso presentano degli strappi, dei consumi di materiale, delle rotture e quindi ogni settimana hanno bisogno di manutenzione. Per acquistare una rete occorrono circa 5.000 euro, quindi non è che possa essere sostituita ogni volta che si rovina o si strappa in un punto; al contrario, viene aggiustata più volte, mai buttata. Questa attività mi piace davvero tanto, anche perché siamo rimasti in pochi a svolgerla e mi rendo conto anche dell’immenso valore che essa assume nel nostro contesto di lavoro e anche all’interno della tradizione marinaresca marchigiana di cui ne costituisce un patrimonio tecnico e culturale molto prezioso.

Come vede il suo futuro? Cosa si aspetta?
Questo periodo è molto complesso per il nostro settore, sia dal punto di vista economico sia per quanto concerne le condizioni di lavoro. Il guadagno va in percentuale all’incasso, quindi non in base alla quantità del pescato, bensì in base all’effettivo ricavo della vendita. Questo vale per me come anche per tutti i marittimi, che si tratti di comandante, motorista o semplice marinaio, chiaramente in percentuale diversa, a ciascuno secondo le proprie competenze. In linea di massima possiamo dire che il marinaio ha uno stipendio medio paragonabile a quello di un operaio specializzato, chi più chi meno, mentre per il motorista ed il comandante lo stipendio è maggiore, ma sempre basso rispetto al passato. Per quanto riguarda le condizioni di lavoro, anche queste negli anni sono cambiate, un po’ perché il caro gasolio sta penalizzando parecchio la nostra categoria, un po’ perché gli adempimenti burocratici sono tanti e quindi è complesso stare dietro a tutte le buone prassi. Il nostro è un lavoro sacrificato e rischioso che meriterebbe maggiori garanzie e soddisfazioni che, però, i tempi di ristrettezza che stiamo vivendo, non riescono a fornirci. Spero quindi che il futuro riservi a me e ai miei colleghi una nuova era di lavoro soddisfacente e gratificante, ma soprattutto la salute e la pace, due elementi essenziali per vivere una vita felice.

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