(Foto Oleksandr Savransky – Ugcc)

M. Chiara Biagioni

(Foto Sir)

“Preghiamo affinché il Signore ascolti la voce del sangue che grida dalla terra ucraina verso i cieli. Chiediamo che il mondo non chiuda gli occhi di fronte alle piaghe e alle sofferenze del popolo ucraino”. È l’appello lanciato da S.B. Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore dei greco-cattolici ucraini ad un anno dall’inizio dell’invasione russa su vasta scala. Parlando lunedì 20 febbraio in collegamento via zoom con un gruppo di giornalisti italiani, Sua Beatitudine ha detto: “Chiediamo anche che il mondo non si stanchi di questo tema. Spesso il dolore della guerra sparisce dai giornali. Non fa più notizia. Lo stesso è accaduto nel 2014 quando è iniziata l’invasione russa”.“Speriamo che il grido del nostro popolo non sia dimenticato e che coloro che ci ascoltano, non rimangano indifferenti perché abbiamo sperimentato che la menzogna e l’indifferenza veramente uccidono, anzi portano ad un genocidio”.

(Foto Eparchia di Kharkiv)

L’arcivescovo maggiore di Kiev fa il “punto” del servizio che in questo anno di guerra ha svolto la Chiesa a fianco della popolazione. Ad Kharkiv, per esempio, una delle città più colpite dall’esercito russo, che si trova a 40 chilometri dal confine, ogni giorno davanti alla cattedrale greco-cattolica viene distribuito cibo e aiuti per 3mila persone. Ma è così in tutto il Paese. “Ogni nostra parrocchia è diventata un centro di servizio sociale. Sono orgoglioso – dice Shevchuk – dei miei vescovi e sacerdoti, monaci e monache” anche se “si sentono demoralizzati per i funerali senza fine di vittime civili e militari che celebrano. Ma la Chiesa oggi è una piccola luce di speranza. Questa solidarietà cristiana, questo amore e questo affidamento totale al Signore, ci donano la possibilità di sperare”. Sul tavolo delle grandi diplomazie mondiali ci sono tante proposte di pace. Alcuni reclamano la liberazione dei territori ucraini occupati. Altri parlano di compromesso e negoziato. “Quando ascolto queste discussioni – confida Sua Beatitudine – mi viene un brivido di dolore, perché per noi, per la Chiesa, non si tratta di territorio, ma di persone, di nostri fedeli”. Shevchuk ricorda che il 17% del territorio ucraino è stato occupato dall’esercito russo e sottolinea come in quelle terre non c’è più nessun prete cattolico. Alcuni sono stati cacciati via, altri sono stati addirittura imprigionati.

Due sacerdoti detenuti a Berdyansk (Foto Ugcc)

Il riferimento va ai due “eroici padri redentoristi”, padre Ivan Levytskyi e padre Bohdan Heleta, arrestati il 16 novembre scorso, nella città di Berdyansk. “Da 100 giorni – dice Shevchuk – sono sottoposti a torture quotidiane. Nessun negoziato, nessuna diplomazia, nessun strumento di dialogo sono stati capaci di alleviare i dolori di questi due sacerdoti. Il dolore cresce”.

(Foto Ugcc)

Nella “lista” delle ferite che questa guerra ha inferto alla chiesa greco-cattolica, ci sono anche il sacerdote e la suora dell’esarcato di Kharkiv che sono stati gravemente feriti mentre portavano aiuti umanitari. Una comunità del Verbo incarnato vive in una città occupata. “Non posso dire dove perché ciò potrebbe mettere a rischio la loro vita”. Non possono esercitare il loro ministero. Vivono in maniera clandestina “ma stanno lì e pregano”. 17 sono le chiese greco-cattoliche danneggiate e distrutte e molte sono state abbandonate nei territori occupati. Anche nella cattedrale di Donetsk, dopo le celebrazioni del Natale e dell’Epifania, da metà gennaio, non c’è più nessuno.

Joe Biden è a Kiev, nel cuore della capitale ucraina. La visita, tenuta riservata fino all’ultimo, si svolge nel nono anniversario della rivoluzione di Maidan e alla vigilia del primo anno di invasione russa. L’arcivescovo Shevchuk non nasconde la sua soddisfazione. “L’esercito russo – commenta – ci ha letteralmente condannato a morte ma questa solidarietà anche mostrata nel contesto di queste visite ci dà la speranza che questa condanna non sarà eseguita, che saremo capaci non solo di sopravvivere ma anche di difenderci e costruire un Paese libero e democratico”. Ai leader mondiali che si stanno recando in Ucraina, tra i quali c’è anche il premier italiano Giorgia Meloni, l’arcivescovo greco-cattolico formula “un grido: non lasciateci soli, non abbandonateci”. E ricorda: “Un anno fa, proprio in questo momento, tutte le rappresentanze diplomatiche lasciavano Kiev. Gli stessi americani invitavano tutti i loro concittadini a uscire dal territorio ucraino. Il 24 febbraio di un anno fa a Kiev sono rimaste soltanto due rappresentanze diplomatiche: il nunzio apostolico l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas e l’ambasciatore di Polonia. Tutti gli altri sono fuggiti. A distanza di un anno, non soltanto tutti sono tornati ma è addirittura arrivato il presidente degli Stati Uniti”.

(Foto Oleksandr Savransky – Ugcc)

“L’uso delle armi dimostra l’impotenza della società moderna di prevenire e fermare una guerra”. Sua Beatitudine si sofferma a parlare anche del tema dell’invio di armi in Ucraina, al centro dei dibattiti politici e ricorda quando alla fine del 2021, già si prevedevano “questi fantasmi di guerra che si avvicinavano”. “Ho cercato di sensibilizzare tante istituzioni di questo pericolo ma purtroppo né i meccanismi del diritto internazionale né gli strumenti diplomatici né lo stesso dialogo negoziale non sono stati capaci di prevenire questa tragedia. Tutto il mondo oggi si sente impotente di fronte a questa cieca, assurda e sacrilega guerra”. Riguardo poi all’uso proporzionale delle armi, l’arcivescovo osserva: “per il momento vediamo che il numero di bombardamenti e l’uso di armi da parte dell’esercito russo sono molto più elevati rispetto alla intensità del fuoco con il quale l’esercito ucraino sta rispondendo. La capacità dell’Ucraina di difendersi non è ancora proporzionata alla quantità e alla capacità dei russi di aggredirci”. Per questo, “il Consiglio panucraino delle Chiese considera moralmente accettabile l’invio delle armi in Ucraina per aumentare la capacità della auto-difesa. Queste armi sono per la difesa non per l’avanzata”.

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