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Martina Ioime e Franco Veccia ci raccontano il Seminario nazionale di pastorale sociale e del lavoro a Palermo

Di Martina Ioime, Adc progetto Policoro e Franco Veccia, Direttore della pastorale sociale e del lavoro

DIOCESI – La pastorale sociale e del lavoro ha vissuto giornate di confronto e formazione dall’8 all’11 Febbraio a Palermo. L’obiettivo era quello di fornire un contributo ai Cantieri di Betania del Cammino sinodale della Chiesa italiana. Nell’incontro, che ha visto la partecipazione dei direttori regionali e diocesani di pastorale sociale ma anche delle associazioni che collaborano con l’Ufficio nazionale, si sono toccati numerosi temi. Per la nostra diocesi hanno partecipato Franco Veccia direttore della pastorale sociale e del lavoro, e l’animatrice di comunità del progetto Policoro Martina Ioime
Il quadro di riferimento è stato il brano evangelico di Marta e Maria (Lc 10, 38-42), nella ricerca della “parte migliore”.
Il tema era incentrato dunque sulla spiritualità, che in questo tempo, non può essere marginale per chi si occupa di problemi sociali, lavoro, economia, politica, giustizia, pace e cura del creato. La formazione spirituale è il proprium della pastorale sociale e consente di illuminare una visione della spiritualità che oggi appare debitrice di una tradizione dualista e di un modello estetico, come ha rilevato il teologo don Giuliano Zanchi nella sua relazione. È diffusa la convinzione che quando si parla di spiritualità si debba mettere in campo la preghiera, la liturgia come “cose da fare”, da aggiungere alla vita che in realtà va per la sua strada, fatta di impegni, di corse, di affari, di compromessi, di sogni. Inoltre, la spiritualità in salsa postmoderna soffre di deriva estetica: coincide con il benessere psicofisico, con le meditazioni interiorizzanti, con l’adesione a un modello puramente cultuale.
Si è fatto riferimento anche a S. Paolo che parla di “incorporazione” a Cristo, mettendo insieme il legame di fede con il corpo. Geniale intuizione. Nella spiritualità cristiana, perciò, la cura della giustizia scommette sul compimento dei legami umani.
A partire da questi temi, le giornate di Palermo sono state scandite da momenti di ascolto, di incontro e di laboratori. Si sono interrogati, grazie ad alcune testimonianze concrete, su come sia possibile dare un’anima alla comunicazione, all’economia e alla politica.
Sono stati aiutati dal beato Pino Puglisi, entrando nei luoghi della sua missione e del suo martirio al quartiere Brancaccio. Questo per rendere più chiaro che non siamo all’anno zero: c’è una storia di spiritualità feconda che ha attraversato il nostro Paese e ci sono persone, animate dalla fede in Cristo, che provano quotidianamente a prendersi cura dei rapporti sociali. Il Cammino sinodale fa emergere la necessità di passare dal fare alla cura delle relazioni. Si sa quanto sia pastoralmente sterile la serie ripetitiva di attività che non disegna un senso e che non valorizza le persone. Perciò, avvertiamo l’urgenza di creare reti comunitarie. E’ idea comune che gli uffici diocesani lavorano in autonomia senza sintonizzarsi con gli altri, si è ribattuto spesso, invece, che deve prendere piede lo stile di lavoro per progetti. Ogni volta che si avviano processi comunitari e si condivide una visione, la pastorale ne esce convertita. Diventa meno autocentrata e più decentrata. Al centro tornano le persone e non i sogni di grandezza di qualcuno. Altra esigenza molto sentita è il creare comunità territoriali con tutti i soggetti che hanno a cuore il bene comune. Le diocesi dovrebbero mettersi in relazione con tutti gli ambienti di vita che animano il tessuto sociale di un territorio. Quando si creano momenti di incontro con le amministrazioni, con le imprese, con gli enti del terzo settore, la qualità della vita sociale ne esce migliorata e accresciuta.
Bisogna entrare nell’ottica che, il lavoro è molto di più della professione; la politica è molto di più dei risultati elettorali; l’economia è molto di più della produzione di beni. La persona fa la differenza. Una pastorale che si affida non agli eventi ma ai cammini mostra un linguaggio rinnovato. Ci si dovrebbe prendere cura delle esperienze sociali e aggregative come la ricchezza più importante del territorio. La preoccupazione non diventa più quella di onorare le scadenze annuali, ma di far sentire accolte le persone nell’ordinario. La profezia di partire dalla povertà vecchie e nuove diventa lo stile inconfondibile della Chiesa che annuncia il valore della vita al di là della sua utilità. Le realtà penultime sono così rivelative di quelle ultime. Solo nella fedeltà ad esse ci si apre al dono di Dio. I cristiani sono chiamati ad essere animatori della storia.

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