GROTTAMMARE – Nuovo appuntamento con la rubrica con la rubrica “Libri da leggere di autori locali” per conoscere le opere letterarie scritte da chi vive nel territorio. Questa settimana abbiamo intervistato il giornalista Marcello Iezzi, Cavaliere della Repubblica Italiana in merito alla sua recente pubblicazione “Il Profumo dello Zafferano” che dedica alla moglie Laura, ai figli Silvia e Marco e alle nipoti Chiara ed Eleonora. In queste pagine Iezzi ripercorre le storie dei luoghi dove è nato e cresciuto e si snoda tra Massignano, Ripatransone e San Benedetto del Tronto.

Un capitolo del libro si intitola “Grazie ai miei genitori “. Qual è l’insegnamento più grande che hai ricevuto e hai fatto tuo?
Più di uno direi. In primo luogo l’amore per il lavoro che si sceglie di fare; tutti i lavori sono dignitosi se fatti bene. Il rispetto e l’educazione che, diceva mia madre Elva “stanno bene dappertutto”. La raccomandazione più grande era sempre quella dell’onestà. Nella mia vita ho fatto tanti lavori anche all’interno dello stesso lavoro. Non è un gioco di parole, perché a scuola, ad esempio, oltre che fare il Tecnico delle attività alberghiere, restavo molte ore in più per progettare e costruire qualsiasi cosa la scuola avesse bisogno. Da giovane ho fatto il ragazzo di bottega per consegnare a domicilio, il venditore di frutta e verdura, il cameriere, il giornalista televisivo e della carta stampata, il direttore di radio e tv, il barman e il contadino. Passo volentieri dalla scrivania alla campagna, senza sentire la fatica, perché li faccio con amore allo stesso modo.

Quando eri molto piccolo, frequentavi la scuola elementare, per te arriva il momento di indossare gli occhiali da vista. A quel tempo, affermi, rappresentava un handicap. Tante anche le prese in giro. Cosa ti ha precluso?
Molte cose, purtroppo. Intanto ero costretto sempre a subire, perché ogni volta che rimanevo invischiato un parapiglia tra compagni, rompevo un occhiale e quando tornavo a casa, mi attendeva la seconda razione di legnate. Quindi ero costretto sempre a tenermi lontano da ogni situazione complicata. Ho sempre amato le auto da corsa e, visto che avevo un buon “manico” avrei voluto conseguire il brevetto di pilota e la Licenza CSAI, ma avevo gli occhiali con difetto al nervo ottico. Durante il servizio militare, nel corpo dell’Aeronautica, avrei voluto conseguire il brevetto di elicotterista, ma avevo gli occhiali. Insomma sempre così.

Avevi solo otto anni quando sei venuto a conoscenza del fatto “che si potesse morire nascendo” perché tuo fratello non è riuscito a sopravvivere. Cosa ricordi di quella giornata?
Ero piccolo, ma ricordo bene quando mio zio, sudato e imprecando, uscì dalla camera di mamma dicendo che il bambino era troppo grosso e la levatrice non ce l’aveva fatta a farlo nascere. Se non correva lui in aiuto sarebbe morta anche mia madre. Altra immagine indelebile, il funerale. Quella piccola bara bianca, portata a mano da casa nostra, abitavamo in contrada Montecantino, a Massignano e poi al cimitero, oltre un’ora e mezzo di camminata lungo strade bianche, salendo e scendendo le colline, con le persone che si radunavano lungo la strada per un saluto, un segno della croce, una dimostrazione di vicinanza. Sono stato un figlio unico, egoisticamente parlando non mi sono trovato male, ma un fratello o una sorella con cui potersi confidare nei momenti difficili, l’avrei voluto.

Hai sempre fatto quello che ti piaceva, dal lavoro all’istituto Alberghiero (più di 40 anni) al giornalismo. Dov’è che hai avuto maggiori soddisfazioni?
In entrambi i posti. All’Alberghiero si sono alternati molti presidi e segretari e poi dirigenti scolastici e Dsga che mi hanno sempre stimato. Gli studenti ancora oggi mi ricordano con stima e simpatia. Nella scuola non si riesce ad avere di più. Sono sempre stato la persona che non creava problemi, ma li risolveva. Nella carriera giornalistica mi sono tolto belle soddisfazioni. Ho condotto per circa 20 anni, telegiornali, speciali, ho realizzato documentari, ho curato la regia di spot pubblicitari, ho ideato e condotto rubriche in studio e in esterno, in diretta. Insomma ho fatto tutto quello che era possibile fare in una televisione privata.

Non solo lavoro ma anche tanti progetti, tra i quali la creazione dell’associazione “43°Parallelo”
Fu una felice intuizione, una sorta di sfida con l’allora sindaco di Grottammare Luigi Merli, al quale proposi di inventare qualcosa, con finalità turistiche, sul 43° Parallelo. Sposò l’idea e mi invitò a creare qualcosa. Era il 2011. Primo passo la fondazione di un’associazione con Filippo Olivieri, Giuseppe Marcozzi e Luigi Santori. Poi la realizzazione del Dream Point sulla pista ciclo pedonale, opera dello scultore Francesco Santori, oggi punto di riferimento come curiosità turistica, poi la Dog Beach a sud del Tesino, che doveva essere tutt’altra cosa, opere bocciate dalla Soprintendenza per impatto ambientale, che contestò anche la scultura del cane, opera di Donato Gentili. Poi il Dreamworld, il Mappamondo aperto, attraversabile, di 5 metri di diametro in piazza Kursaal, con il sostegno del comune. In mezzo, convegni, il dolce della Pace, la stampa di cartoline e infine, un altro Dream Point nella piazza davanti al comune di Ripatransone, con il sostegno dell’Amministrazione comunale e la stampa del libro “Parallelo 43, la strada di un sogno” con il sostegno della Bcc di Ripatransone e del Fermano, della Cantina dei Colli Ripani, di Ediltesino, Vivai Acciarri e Recfer Capocasa Group. Ultimamente abbiamo portato il nostro logo del 43° Parallelo a Montalcino, Chiusi e Golfo di Baratti (Piombino). Tutto in 10 anni, ricorrenza che abbiamo festeggiato quest’anno con una grande cena al Ristorante Valle Verde, con le specialità delle Nazioni attraversate dal Parallelo 43 nel mondo”

Nel corso della tua lunga carriera giornalistica, che porti avanti brillantemente, hai seguito diverse vicende di cronaca come il sequestro e l’uccisione di Roberto Peci. Tra le tragedie che ti hanno maggiormente colpito c’è il terremoto in Irpinia.
TVP era già una bella realtà nel 1980, quando il 23 novembre l’Irpinia fu sconvolta dal terremoto. Era di domenica ed io ero da solo nella redazione di via Ferri, al piano superiore, pronto per scendere negli studi per andare in onda con la trasmissione sportiva. Ebbi come la sensazione di sentirmi improvvisamente girare la testa. Decisi di scendere per non rimanere da solo, quando squillò il telefono. Era la centrale operativa della polizia locale di San Benedetto che mi chiedeva se sapevo dov’era stato il terremoto. Capii cos’era stato il leggero malessere e mi attivai per saperne di più. Ormai la sigla stava per partire e mi misi seduto, annunciando per primo, forse a livello nazionale, che c’era stata una forte scossa di terremoto in Campania. Come televisione, nei giorni successivi, coordinammo le scuole e le Parrocchie nella raccolta di fondi a favore delle zone terremotate. Con don Marino, parroco di Cristo Re, decidemmo di puntare tutto su Sant’Angelo dei Lombardi, dove realizzammo il “Villaggio Cristo Re di San Benedetto”. Un centro sociale e 12 mono locali da destinare alle giovani coppie. Costo, 107 milioni. Ricordo che venivano in TV bambini con il salvadanaio a portare il loro contributo. Non fu sprecata una lira. I primi reportage che feci da Sant’Angelo furono terrificanti. La gente ci raccontava di familiari morti cui erano state mozzate le dita per sfilare gli anelli. Cadaveri spogliati di tutto l’oro. Tra tanta devastazione non posso dimenticare i bar allestiti all’aperto, qualche settimana dopo la tragedia, con tubi di gomma volanti per portare acqua potabile. Luoghi dove la gente si ritrovava a bere e a giocare a carte, mentre tutt’attorno militari, volontari e vigili del fuoco scavano le macerie. Quando andammo con i camion a scaricare le casette prefabbricate, per farci dare una mano dovemmo pagare gli abitanti del luogo.

Per un periodo sei stato segretario personale di Maurizio Costanzo. Cosa ti è rimasto di questa esperienza?
Molto e poco nello stesso tempo. Costanzo era stato allontanato dalla Rai per appartenenza a una loggia massonica, si diceva. Venne a TVP per presentare un programma contenitore che si chiamava “Domani Domenica”. Per circa un anno fui il suo segretario organizzativo. Ci sentivamo al telefono più volte durante la settimana. Intervistavo gli ospiti per sapere cosa avevano da raccontare predisponendogli così la cartellina con tutto ciò di cui aveva bisogno per il programma. Lui arrivava con l’autista nel pomeriggio, aveva una nuova Giulietta e vi restava fino a tarda sera per la messa in onda della trasmissione. Era un periodo difficile per lui. Aveva paura di ogni cosa. Prima di andare in onda dovevo cacciare dalla televisione tutte le persone che non facevano parte del programma. Dovevo scendere a liberare lo studio di ogni cosa. Una sera il Market A&B di Ascoli, uno degli inserzionisti del Gran Bazar, programma di vendite televisive in diretta, aveva lasciato uno scaffale dietro una tenda da studio con le scatolette dei prodotti da vendere. Quando vide quella sorta di gobba dietro la tenda, fuggì gridando il mio nome. Ero in regia e mi preoccupai non poco. Di corsa raggiunsi lo studio, ma lui era già scappato. Inutili ogni spiegazione. Non si andava in onda se quello scaffale con scatole di tonno, pelati, piselli, ecc. non veniva portato fuori. Era un uomo spaventato. La tecnica di fare interviste televisive, però, mi è rimasta”.

Per l’impegno in campo umanitario nel 1982 hai avuto un incontro privato con Papa Giovanni Paolo II. Cosa vi siete detti?
Nulla di particolare, eravamo in diversi, tutto lo staff di TVP che aveva lavorato alla realizzazione del “Villaggio Cristo Re” a Sant’Angelo dei Lombardi e in più vi era anche la Sambenedettese calcio che il giorno dopo doveva giocare contro la Lazio a Roma. Mi diede la mano, mi disse grazie per quello che avevamo fatto. Non riuscii a dire una parola. Fu un momento di grande emozione. Quel papa aveva uno sguardo e un calore magnetico.  Chiudo gli occhi, lo rivedo e lo risento nella stretta di mano.

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