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Sorelle Clarisse: “Io sarò ciò che sarò”

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Gesù nel Vangelo di questa domenica cita due fatti di cronaca dei suoi tempi: una brutale repressione avvenuta nel tempio ad opera dei romani, repressione che causò la morte di molti Galilei e il crollo della Torre di Siloe, sotto le cui macerie persero la vita diciotto persone.

Gesù, partendo da questi esempi, cerca di smontare una credenza molto diffusa allora come, purtroppo, ancora oggi: quella di un Dio che ci manda le croci, che manda le disgrazie per punire le nostre colpe.

Quante volte, ciascuno di noi, si è fatto queste domande: cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo? Perché Dio permette tante sofferenze? Se Dio è buono perché non evita il male, non evita le guerre?

Peccato/punizione, merito/benedizione, buoni e cattivi, santi e peccatori…abbiamo tutti il medesimo problema di proiettare su Dio le nostre deliranti idee di giustizia, di verità, di meritocrazia e di dare, così, a Lui la colpa di ogni cosa. Ce la prendiamo con Dio che, evidentemente, non sa fare il suo mestiere.

No, dice Gesù, Dio non funziona così. Dio non spreca la sua eternità in condanne e vendette, Dio non ci ha dato la vita perché la passassimo dentro l’aula del suo tribunale, inermi, a ricevere la condanna per le nostre mancanze.

Se Dio ci amasse in base alla nostra morale, cesserebbe di essere Dio, perché il Suo Amore non si dà per meriti acquisiti ma perché non può farne a meno. Dio non è un terrorista che minaccia morte e condanna ogni nostro errore. No, il Signore è un contadino paziente, fedele, lo leggiamo nel Vangelo, che si prende cura del suo campo e scommette su di me, su questo terreno spesso incolto e infruttuoso. Per tre anni, inutilmente, il padrone del campo aspetta i frutti del fico piantato nella sua vigna. Alla minaccia di tagliarlo si oppone proprio il vignaiolo, il contadino. Questi ama quella terra e, con essa, tutto ciò che vi ha piantato e al quale ha dedicato tempo, energie, passione, fatica! La promessa del vignaiolo è quella di continuare a lavorare attorno al fico per zapparlo e concimarlo affinché possa tornare a portare frutto.

Chi è davvero il nostro Dio lo leggiamo anche nella prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo. Dio è preoccupato del suo popolo schiavo in Egitto e si rivolge a Mosè con queste parole: «Ho osservato la miseria del mio popolo…ho udito il suo grido…conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo e per farlo salire verso una terra bella e spaziosa…». Dio non stacca mai gli occhi da noi e dalla nostra storia, ascolta il nostro grido, non gli passano inosservati la nostra sofferenza e il nostro disagio. E mai ci condanna, ma continuamente ci fa dono di una Parola e di una Presenza che liberano, sfamano, rinfrancano, aprono ad orizzonti più ampi. E tutto questo nonostante le nostre continue infedeltà, il nostro non fidarci di Lui, il nostro voltargli le spalle, il nostro “sfigurare” il suo vero volto che è un volto di Padre. 

Questo ce lo conferma lo stesso suo nome che, proprio Dio, rivela all’uomo: «Io sono colui che sono». “Io sarò ciò che sarò!” è la vera traduzione, ed è questo il vero nome di Dio, un Dio che non può essere “solo al presente”. Infatti, quel nome lo definisce come Colui che, ogni giorno, si propone a ciascuno di noi, ogni giorno sempre “nuovo” secondo il grido che eleviamo a Lui. 

Allora invochiamo questo Dio con le parole del salmo: «Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome, benedici il Signore anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici».

Redazione: