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Colloqui ebraico-cristiani. Mons. Russo: “L’antisemitismo non deve avere diritto di cittadinanza”

Andrea Regimenti

“È particolarmente significativo poter presentare oggi un frutto concreto di questo cammino di dialogo, conoscenza e collaborazione tra ebrei e cattolici, reso possibile dalla dichiarazione ‘Nostra Aetate’ del Concilio Vaticano II”. Lo ha detto il segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Stefano Russo, intervenendo ieri a Camaldoli alla tavola rotonda “L’impegno per il dialogo nella scuola: i testi Irc”, che si è svolta nell’ambito del XLI incontro nazionale dei “Colloqui ebraico-cristiani”. Nel corso della stessa, è stato presentato un progetto comune tra Cei e Ucei (Unione delle comunità ebraiche italiane) che prevede la redazione di alcune schede riguardanti i fondamentali della tradizione ebraica, da consegnare agli editori dei libri di testo per l’insegnamento della religione cattolica, in modo che nella stesura dei testi gli autori evitino il più possibile errori e distorsioni, superando in questo modo interpretazioni ambigue o scorrette che spesso portano a semplificazioni e luoghi comuni. Questo, ha spiegato mons Russo, “ha richiesto un lavoro di analisi critica su alcuni testi già pubblicati in modo che i nuovi volumi possano contenere aggiornamenti e arricchimenti”.

Un dialogo stretto e intellettualmente onesto. “La redazione delle schede è un esercizio che ci sta molto a cuore, perché la conoscenza della cultura ebraica e cristiana è molto importante. Questo lavoro ha permesso alla Cei e all’Ucei di collaborare insieme crescendo nella conoscenza e nella fiducia reciproca. Prima della pandemia sono state già presentate a livello nazionale proposte formative interessanti, positive, importanti, promettenti. Ad esempio, il seminario nazionale ‘Ebraismo e cristianesimo a scuola’ per insegnanti e formatori, volto alla corretta comprensione e diffusione delle due religioni nell’insegnamento scolastico. Un’esperienza incoraggiante perché ha pianificato e portato avanti un programma a due voci. Alcuni uffici della Segreteria generale della Cei hanno avviato un processo che sta segnando positivamente le relazioni con l’Ucei:

stima reciproca fondata su un dialogo stretto e intellettualmente onesto, nel rispetto delle differenze e nella conoscenza delle reciproche tradizioni. La volontà è quella di far sì che questo modello sia declinato nei diversi territori italiani. Il Covid ci ha costretto a interrompere questo percorso, ma certamente non a rinunciarvi. Anzi, ha rafforzato ancora di più il desiderio di condividere e camminare insieme.

La Segreteria generale della Cei, infatti, investe e vuole investire in questi processi perché siano sempre più radicati nel territorio nazionale e raggiungano il maggior numero possibile di insegnanti e formatori in modo permanente”. Tuttavia, ha precisato il segretario della Cei, “non penso solo al mondo scolastico che è fondamentale, ma anche agli operatori pastorali e a chi, in generale, ha un compito nei settori della formazione che costituiscono il tessuto connettivo della comunità credente e della stessa società, la polis. Senza dimenticare i giovani, che per quel che riguarda l’ecumenismo e il dialogo interreligioso sono molto più avanti di noi, soprattutto se vengono coinvolti, vivendo in contesti pluriconfessionali e plurireligiosi. Il loro ascolto è prezioso e importante”.

Nel segno dell’Enciclica “Fratelli Tutti”. Penso a Papa Francesco, ha raccontato mons. Russo, alle sue parole. Quando nella ‘Fratelli Tutti’ parla dell’alta politica. “Riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie – scrive il Papa -. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità. Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto della carità. Infatti,

un individuo può aiutare una persona bisognosa ma, quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel campo della più vasta carità, della carità politica.

Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale”. Pertanto, per il segretario della Cei, “urge più che mai, nel contesto contemporaneo, una conoscenza degli elementi fondamentali del cristianesimo e dell’ebraismo per combattere quei pregiudizi che hanno condizionato, e purtroppo continuano a condizionare, anche la storia di oggi con atti di antisemitismo e di odio. L’antisemitismo non deve avere diritto di cittadinanza”.

È lo Spirito che fa la Chiesa. L’Ufficio per l’ecumenismo e la Segreteria hanno attivato sul territorio un processo di azione pastorale che ha portato alla nomina di referenti di area regionale attenti alla dimensione ecumenica e interreligiosa. “È un processo nuovo – ha affermato mons. Russo – che richiede tempo e pazienza, che non significa immobilismo, ma cura e attenzione nel tessere relazioni autentiche e generative di progettualità. È il lavoro prezioso di chi conosce la fatica di camminare insieme, perché le comunità cristiane avviino processi strutturali per il bene della Chiesa,

senza dimenticare che è lo Spirito che fa la Chiesa. È Lui che dobbiamo ascoltare, perché lui lavora prima di noi, più di noi e meglio di noi. È lo Spirito che dobbiamo assecondare per rispondere pienamente alla chiamata che abbiamo ricevuto, la nostra fede.

I fatti fanno la storia e ci dicono che quello che possiamo fare deve essere fatto, e fatto bene, con convinzione e competenza”. Ci auguriamo, ha concluso, che “questa collaborazione possa continuare e crescere nel tempo, e che ci spinga a lottare affinché la pace e la giustizia possano germogliare in una società sempre più assetata e bisognosa di esse”.

Non un mero esercizio teologico. A far eco alle parole di mons. Russo, anche Noemi Di Segni, presidente dell’Ucei, che intervenuta per un saluto in collegamento da Gerusalemme ha sottolineato come questo sia “un momento di dialogo sincero e reciproco che porta a qualcosa di concreto e duraturo nel tempo.

Non si tratta di un esercizio meramente teologico, come conoscere uno le preghiere dell’altro, ma un saper stare insieme, ascoltare e conoscere.

Difatti, oggi la conoscenza e l’educazione sono fondamentali per dar inizio a qualsiasi progetto, prospettiva di convivenza. E tutto questo parte dai giovani e dai giovanissimi”. Da loro, ha concluso, “dobbiamo ripartire”.

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