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Ripatransone, spostamento anziani dalla RSA, il personale: “Quanti di loro avranno le energie necessarie per superare anche questo?”

iaRIPATRANSONE – Pubblichiamo la nota de personale della RSA di Ripatransone in seguito alla decisione di trasformare la struttura in luogo per malati Coronavirus.

Noi, personale della RSA di Ripatransone, vogliamo condividere  alcune riflessioni su quanto sta accadendo presso la nostra struttura. 

Come avrete sentito dai TG locali o letto dalla stampa locale o sui social,stanno  trasferendo gli ospiti per convertire l’RSA in struttura Covid. 

Tutti conosciamo la situazione nel nostro territorio: ormai ognuno di noi ha  almeno un conoscente positivo in isolamento, i malati Covid aumentano e  servono posti letto in aree dedicate per curarli; questa è la realtà che non  vogliamo assolutamente mettere in discussione. 

L’unica questione sulla quale vogliamo invitare a riflettere, è quella della scelta  di utilizzare delle RSA per questo. 

Gli anziani vengono definiti ormai da tempo “persone fragili” e tanto più lo  sono quelli accolti in una RSA che hanno l’aggravante di non essere  autosufficienti e con patologie (mai una sola!). Talvolta basta un banalissima  febbre o una brutta notizia, per rompere quel labile equilibrio a cui è legata la  loro vita ed noi che ci lavoriamo li abbiamo visti tante volte: iniziano a  mangiare sempre meno, ad aggravarsi, non reagiscono e si lasciano morire. 

Gli ospiti che stanno da noi o in qualsiasi altra struttura, hanno già dovuto  adattarsi allo stress, alla rabbia e al dolore provocati dall’istituzionalizzazione:  dall’oggi al domani si sono ritrovati in un posto sconosciuto, non autonomi e  senza poter decidere più nulla per loro stessi…nuovi ritmi, nuovi orari, nuovi  luoghi, nuovi volti … e persone sconosciute che li toccano, li accudiscono e li vedono nei loro vissuti più imbarazzanti. Pochi sono quelli che accettano ilfatto  di non poter tornare a casa; a volte viene da sorridere a sentirli dire «quando  torno a casa faccio… » oppure che ti chiedono «a che ora passa il medico?»  perché credono di stare in ospedale e aspettano la dimissione, e poi ci sono  quelli che perennemente ti chiedono di aprire il cancello perché devono andare  a casa. E questo nonostante che stiano qui da anni! 

Poi col passare del tempo li vedi ogni giorno un po’ più tranquilli e rilassati,  cominciano a sorridere tra loro e con noi e a poco a poco quei ritmi sempre  uguali, vedere sempre le stesse facce, sedersi sempre allo stesso posto … diventa per loro una sicurezza e guai se arrivi a cambiarli mezz’ora dopo, o se il  pranzo tarda ad arrivare o se gli metti seduta vicino una vecchietta diversa dalla  solita: dovreste vederli come si arrabbiano!

Ma non sempre per tutti è così: alcuni non si adattano e non ce la fanno a  superare il primo malanno che gli capita. 

Quest’anno è arrivato anche il Covid. Purtroppo per proteggerli abbiamo  dovuto vietare gli ingressi a gente esterna per ridurre il rischio di contagio e  così gli è stato tolto anche il conforto che ricevevano dalle visite dei loro cari;  un ulteriore stress che ha minato ancor di più quei fragili equilibri. Sono più  nervosi, arrabbiati … e tristi. Alcuni di loro continuano a chiedersi «cosa ho  fatto di male che i miei figli non vengono più a trovarmi?», perché la demenza  non permette di ricordare che c’è in corso una pandemia. E noi lì ad  accarezzarli e a tranquillizzarli. Siamo diventati ancor di più loro punto di  rifermento ed anche noi, a volte, ci siamo lasciati andare alla commozione  insieme a loro. 

Ora li costringono ad andarsene, ad abbandonare le poche sicurezze che hanno,  a trasferirsi da soli (perché i familiari non potranno esserci questa volta!) in  posti nuovi e a ricominciare tutto da capo. 

Quanti di loro avranno le energie necessarie per superare anche questo? Quanti non ce la faranno? 

Chi ha preso questa decisione ha veramente valutato tutto? O hanno guardato  solo le piantine della struttura per valutarne l’idoneità? 

Possibile che non si possano recuperare dei posti letto in altre parti, senza  mettere a repentaglio la vita di questi anziani? 

Davvero per curare delle persone dobbiamo rischiare la vita di altri? O si pensa  che la vita di queste persone valga meno di altre? 

Queste le riflessioni che vogliamo condividere. 

Nessuno ci ha informato di questa scelta e tantomeno hanno chiesto il nostro  parere, ma non importa! Noi continueremo il nostro lavoro: assistere persone  che hanno perso la salute di qualsiasi età, sia Covid che non-Covid, qui o  altrove (neanche questo è dato sapere!). 

Di una cosa però siamo certi: 

NON SAREMO COMPLICI DEL DECESSO DI ANCHE UNO SOLO DI  QUESTI ANZIANI COL NOSTRO SILENZIO.

Redazione: