di Pietro Pompei

SAN BENEDETTO DEL TRONTO- A separare il vero dal falso, virtù e difetti  nella storia degli uomini c’è sempre la sentenza di Aristotele a complicare le cose. L’insistere da parte nostra a vedere nel Santo Martire Benedetto l’eponimo della nostra città, potrà essere limitativo per alcuni, per noi è gratificante e ce lo teniamo stretto stretto. Gli anni della fine del XX secolo e l’inizio del XXI sono stati definiti “gli anni dello stupore”. Ed anche la nostra storiografia pecca in tal senso e si va alla ricerca dello scoop per stupire e dimostrare i falsi storici (a loro dire), che ci portiamo dietro da secoli e secoli, quasi che la memoria non sia un documento storico. “ Anzi è l’unico giunto fino a noi, mentre altri documenti, cui noi annettiamo impropriamente maggiore importanza, sono andati perduti. Si tratta quindi di una tradizione produttiva che affonda le sue radici molto in là nel tempo e ha dato luogo a “leggende” integrative che soddisfacessero la legittima curiosità dei devoti, ha plasmato efficacemente una storia ed un popolo che ha serbato viva memoria d’un suo antico “eroe”, un martire cristiano vero. Questo è ciò che conta. Il resto è utile, ma non necessario”. ( da S.Benedetto Martire, 2ª edizione, P.Pompei).

In tempo di “pandemia” in attesa di un prodigioso “vaccino”, sembra che qualcuno  abbia voglia di scoop e rivoluzionare tradizione e storia! Il “virus” è diventato un hobby e sta entrando un po’ dappertutto.

Povero Benedetto! Diocleziano si preoccupò di fargli tagliare la testa, qualche storiografo lo vorrebbe sfrattare dall’ “Ager Cuprense”.  Tra leggende e leggendine si sta riaffacciando forse l’ipotesi che il nostro nome derivi da un imprecisato convento di Benedettini, testimoniato da una effigie, con tanto di pastorale e mitra, rinvenuta, a dire di qualcuno, presso Archivi romani. E’ tempo il nostro di Archivi segreti . Già il “Supplemento mensile del Secolo” in data 30 Aprile 1897 scriveva : “ Si dice (chi lo avrà poi detto? ndr.) che in origine S.Benedetto non fosse che un monastero dei Benedettini…La storia vera di San Benedetto quella che si fonda sui documenti, non risale oltre al secolo XIII, nel qual secolo, si sa positivamente che gli Ascolani distrussero in parte il convento di S.Benedetto”. (E l’altra parte dove l’avranno nascosta?).Tutto questo  e altro si può leggere nella “Guida della provincia di Ascoli Piceno a cura del C.A.I. del 1889”. Quanta ignoranza intorno alla nostra storia. Basta leggere il Guidotti per capire quanto sia assurda quest’ipotesi. Va subito detto, per rispondere ai nuovi ricercatori che certi ornamenti posti addosso ai Santi  hanno valore simbolico. Inoltre va detto che gli abati mitrati sono del tardo Medioevo ed infine il nome di Abbazia, insieme a quello di Pieve per la nostra chiesa matrice, appare nelle Sacre Visite nel 1572 come titolo onorifico.

A tener ferma la data del 1145, costruzione del Castello  da parte dei fratelli Gualtieri, fin da quell’anno si parla della nostra chiesa come di pieve dipendente dai Vescovi fermani, nulla a che vedere con il convento. Da una mia ricerca puntigliosa fatta sul “Chronicon Farfense” (sia sulla Costructio farfensis sia sugli scritti dei secoli IX-XII), mai viene nominato “Benedictus (S) monasterium de Albula” e si che ci sono tutti e per la precisione 6 nomi Benedicta e 138 Benedictus senza contare i “Campus S.Benedicti”. E sono elencati tutti i nostri circondari da Monte Prandone, Monte Cretaccio, Sculcula, Ragnola, Monte Aquilino, il Monastero di S.Benedetto de Ripa ecc.ecc.

C’è stato pure chi ha fatto venire dalle catacombe romane il nostro Martire, suscitando la meraviglia del Catalani, valente studioso fermano del XIX secolo, il quale affermava : “S.Benedictus Martyr, qui ei oppido nomen dedit, in quo sacrae ipsius exuviae debito honore coluntur”. (De Ecclesia Firmana pag.46).

Per evitare tante altre inutili e speciose interpretazioni sul nostro Martire Benedetto, sarebbe cosa meritoria ripubblicare, in anastatica, la “ Memoria intorno a S.Benedetto M.” scritta da Vincenzo Maria Michettoni, che ci ha lasciato la più seria interpretazione dell’unico reperto in nostro possesso: un frammento della lapide che era stata posta sulla tomba del Santo Patrono e che è stata murato vicino alla porta destra di chi entra dall’ingresso principale dell’attuale chiesa.

A chi non è capace di tenere a freno la fantasia e pensa di sbalordirci come il “Coronavirus”, ricordo che il secolo XX ha visto il lavoro certosino di molti nostri concittadini veramente innamorati della nostra città, in un momento in cui sono stati rimessi a nuovo molti Archivi  Diocesani, Parrocchiali e Statali.

 

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